Traditori dei parenti
Sono i dannati della prima zona (Caina) del IX Cerchio dell'Inferno, detta così dal nome di Caino che secondo il racconto biblico uccise il fratello Abele (Gen., IV, 8); la loro pena è descritta nel Canto XXXII dell'Inferno e consiste nell'essere imprigionati nel lago ghiacciato di Cocito, dal quale emerge solo la loro testa rivolta all'ingiù. Dante include fra di loro i conti di Mangona, i fratelli Napoleone e Alessandro figli di Alberto: questi apparteneva a una nobile famiglia fiorentina che teneva la contea di Vernio e Mangona e possedeva vari castelli in Val Bisenzio e Val di Sieve (aveva sposato la contessa Gualdrada). I due fratelli, divisi dall'odio politico essendo ghibellino il primo e guelfo il secondo, ebbero uno scontro violento fra 1282-1286 e si uccisero a vicenda. Dante li rappresenta confitti nel ghiaccio uno di fronte all'altro, così vicini che i capelli si mischiano: quando il poeta chiede loro chi siano, i due alzano la testa e le lacrime gocciolano fino alle labbra, congelando e chiudendo loro gli occhi (i due cozzano le teste l'una contro l'altra per rabbia, come due montoni). A fare il loro nome è un altro dannato, Alberto Camicione della famiglia ghibellina dei Pazzi di Valdarno, il quale uccise a tradimento il suo congiunto Ubertino per impadronirsi forse di alcune fortezze che avevano in comune. Camicione spiega a Dante che in tutta la Caina non troverà neppure un'anima che sia più degna dei due fratelli di stare lì, e indica inoltre la presenza di altri dannati: Mordrec (o Mordret), nipote o forse figlio di re Artù, che secondo i romanzi del ciclo bretone cercò di assassinarlo a tradimento e fu da lui ucciso con un colpo di lancia che gli squarciò il petto, al punto da far passare la luce del sole (per questo è detto che Artù gli ruppe il petto e l'ombra... / con un colpo); Vanni de' Cancellieri, detto il Focaccia, nobile pistoiese di parte bianca che nella faida famigliare tra Cancellieri neri e bianchi uccise Detto di Messer Sinibaldo e Detto dei Rossi; Sassolo Mascheroni, della nobile famiglia fiorentina dei Toschi, di cui scarse sono le notizie (forse uccise a tradimento il figlio o lo zio). Camicione preannuncia infine la venuta nella Antenòra del suo congiunto Carlino, che farà apparire meno grave la sua colpa: questi, Guelfo bianco che teneva per conto degli esuli fiorentini il castello di Piantravigne assediato dai Neri, per denaro cedette il castello al nemico nel 1302 e ottenne di rientrare a Firenze. Poiché i traditori della patria dell'Antenòra sono colpevoli di un peccato più grave, Carlino farà sembrare più lieve il tradimento di Camicione.