Purgatorio, Canto XXIX
G. Doré, I ventiquattro seniori
Ed ecco un lustro sùbito trascorse
da tutte parti per la gran foresta,
tal che di balenar mi mise in forse...
Sotto così bel ciel com'io diviso,
ventiquattro seniori, a due a due,
coronati venien di fiordaliso...
Lo spazio dentro a lor quattro contenne
un carro, in su due rote, triunfale,
ch'al collo d'un grifon tirato venne...
da tutte parti per la gran foresta,
tal che di balenar mi mise in forse...
Sotto così bel ciel com'io diviso,
ventiquattro seniori, a due a due,
coronati venien di fiordaliso...
Lo spazio dentro a lor quattro contenne
un carro, in su due rote, triunfale,
ch'al collo d'un grifon tirato venne...
Argomento del Canto
Ancora nel Paradiso Terrestre. Dante e Matelda risalgono il Lete; improvviso fulgore e melodia. Invocazione di Dante alle Muse. La processione simbolica: apparizione del carro.
È la mattina di mercoledì 13 aprile (o 30 marzo) del 1300.
È la mattina di mercoledì 13 aprile (o 30 marzo) del 1300.
Dante e Matelda risalgono il Lete (1-15)
Matelda canta piena d'amore e dichiara beati coloro i cui peccati sono stati coperti dal perdono, quindi inizia a risalire lentamente il corso del fiume Lete, simile ad antiche ninfe boscherecce che giravano sole per le foreste. Dante segue la donna adeguandosi alla sua lenta andatura e dopo meno di cento passi il fiume compie un'ansa verso levante. A un tratto Matelda si volta verso Dante e lo invita a guardare e ascoltare con attenzione.
Improvvisa luce e melodia (16-36)
Improvvisamente un fulgore attraversa tutta la foresta e Dante per un attimo pensa si tratti di un lampo, salvo che questo, a differenza dei lampi naturali, non termina ma persiste nel tempo. Il poeta si chiede di che si tratti, quando una dolcissima melodia si diffonde nell'aria e Dante rimprovera l'ardimento di Eva, la quale non volle rispettare i divieti divini e privò così lui e tutti gli uomini del godimento delle delizie dell'Eden. Mentre Dante prosegue il cammino tra quelle meraviglie, comprende che il fulgore è una luce rossastra che filtra tra i rami e la melodia si rivela come un canto melodioso.
Invocazione alle Muse. La processione simbolica: i sette candelabri (37-60)
S. Vouet, Urania e Calliope (1634)
Dante si rivolge alle Muse e ne invoca l'assistenza in nome dei sacrifici spesi per dedicarsi alla poesia, dal momento che si accinge a descrivere cose difficili da pensare e avrà bisogno in particolare dell'aiuto di Urania. Poco lontano, infatti, a Dante sembra di vedere nell'aria sette alberi d'oro, che però quando si avvicina gli appaiono chiaramente come candelabri, mentre ascolta il canto Osanna. I sette candelabri risplendono in modo tale da rischiarare tutto il cielo, per cui Dante si rivolge interrogativamente a Virgilio il quale, tuttavia, si mostra non meno sorpreso del discepolo. A questo punto Dante torna a osservare quegli oggetti, che si muovono verso di lui più lentamente di spose novelle.
Le genti biancovestite: le sette liste luminose (61-81)
Cristo e gli Evangelisti (cod. Amiatinus)
Matelda esorta Dante a non guardare solamente i candelabri, ma a osservare ciò che viene dietro di essi: il poeta scorge allora delle figure vestite di bianco che seguono i candelabri come fossero le loro guide. L'acqua del Lete risplende della luce dei candelabri e Dante vi vede il proprio fianco sinistro riflesso. Il poeta avanza ancora, finché la distanza che lo separa dai candelabri è solo quella del fiume, quindi si arresta e vede che le lampade avanzano lasciando dietro di sé sette liste luminose, simili ai colori dell'arcobaleno. Le liste luminose si estendono al di là della vista di Dante, il quale crede che tra le due più esterne vi sia una distanza di dieci passi.
I ventiquattro seniori. I quattro animali (82-105)
Dietro i candelabri avanzano ventiquattro vecchi, a due a due e coronati con gigli, che cantano tutti le lodi della bellezza della Vergine. I vecchi passano oltre e dietro di loro compaiono quattro animali, ognuno coronato con una fronda verde: ciascuno di essi ha sei ali le cui penne sono piene d'occhi simili a quelli di Argo, e il lettore che volesse ulteriori dettagli è invitato da Dante a leggere il libro di Ezechiele, che descrive quelle creature tali e quali salvo il particolare delle penne, tratto invece dall'Apocalisse.
I ventiquattro seniori. I quattro animali (82-105)
Dietro i candelabri avanzano ventiquattro vecchi, a due a due e coronati con gigli, che cantano tutti le lodi della bellezza della Vergine. I vecchi passano oltre e dietro di loro compaiono quattro animali, ognuno coronato con una fronda verde: ciascuno di essi ha sei ali le cui penne sono piene d'occhi simili a quelli di Argo, e il lettore che volesse ulteriori dettagli è invitato da Dante a leggere il libro di Ezechiele, che descrive quelle creature tali e quali salvo il particolare delle penne, tratto invece dall'Apocalisse.
Il carro trainato dal grifone (106-120)
W. Blake, Il carro trionfale
I quattro animali circondano un carro trionfale a due ruote, trainato da un grifone che porta il giogo al suo collo. Le due ali del grifone si ergono tra la lista luminosa al centro e le altre tre da ciascun lato, salendo tanto in alto da non essere vedute; l'animale ha le parti da uccello di colore dorato, le altre di colore bianco e rosso. Non solo l'antica Roma non aveva un carro così bello con cui celebrare i trionfi di Scipione o Augusto, ma addirittura il carro del Sole sarebbe povero a paragone di esso (Dante ricorda come questo deviò dal suo cammino sotto la guida di Fetonte, occasione nella quale Giove esercitò la sua giustizia in modo misterioso).
Le sette donne e i sette personaggi. Il carro si arresta (121-154)
G. Doré, Le virtù teologali
Accanto alla ruota destra del carro avanzano danzando tre donne, delle quali una è di colore rosso fuoco, l'altra di verde smeraldo, l'altra ancora di bianco candido. Esse sembrano guidate ora dalla bianca, ora dalla rossa, mentre è quest'ultima a dare il ritmo alla danza. Accanto alla ruota sinistra ci sono altre quattro donne, vestite di porpora, che seguono una di loro che ha tre occhi nella testa.
Dietro tutti costoro avanzano due vecchi, vestiti diversamente ma simili negli atti: uno di essi sembra un seguace di Ippocrate, cioè un medico, l'altro invece impugna una spada che incute timore a Dante. Dietro di loro avanzano ancora quattro personaggi dall'aspetto umile, seguiti a loro volta da un vecchio solitario che dorme ma ha il volto espressivo. Questi ultimi sette personaggi sono biancovestiti come i ventiquattro vecchi, ma non hanno una corona di gigli bensì di rose e altri fiori rossi che sembra ardere sopra le loro ciglia. Quando il carro giunge di fronte a Dante si sente un tuono, quindi tutti i personaggi e il carro si arrestano come se fosse loro proibito procedere oltre.
Dietro tutti costoro avanzano due vecchi, vestiti diversamente ma simili negli atti: uno di essi sembra un seguace di Ippocrate, cioè un medico, l'altro invece impugna una spada che incute timore a Dante. Dietro di loro avanzano ancora quattro personaggi dall'aspetto umile, seguiti a loro volta da un vecchio solitario che dorme ma ha il volto espressivo. Questi ultimi sette personaggi sono biancovestiti come i ventiquattro vecchi, ma non hanno una corona di gigli bensì di rose e altri fiori rossi che sembra ardere sopra le loro ciglia. Quando il carro giunge di fronte a Dante si sente un tuono, quindi tutti i personaggi e il carro si arrestano come se fosse loro proibito procedere oltre.
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Qui è possibile vedere un breve video con il riassunto dei Canti XXVIII-XXIX, tratto dal canale YouTube "La Divina Commedia in HD" |
Interpretazione complessiva
Il Canto è dedicato pressoché per intero alla descrizione della processione simbolica che rappresenta la vicenda storica della Chiesa, costituendo una pausa didascalica che, da un lato, prepara l'arrivo di Beatrice nel Canto successivo, dall'altro prefigura le vicende allegoriche del carro che saranno al centro del Canto XXXII. Tutto l'episodio è pervaso da un intenso fervore mistico, sottolineato da uno stile e da un linguaggio alto e solenne che si rifà ampiamente alle Sacre Scritture e si allontana decisamente dal tono idilliaco e poetico del Canto precedente: ciò è sottolineato dall'invocazione alle Muse e in particolare a Urania, la Musa dell'astronomia e della scienza celeste, che dovranno assistere Dante per mettere in versi cose difficili da pensare (è un innalzamento della materia cui si accompagna uno stile più elevato, come già era avvenuto in Purg., IX, 70-72 e come accadrà varie volte nel Paradiso). La protagonista iniziale è ancora Matelda, che però ha qui l'unica funzione di accompagnare Dante alla visione delle figure simboliche e richiamarlo con una certa durezza alla necessità di non perdere alcun dettaglio (La donna mi sgridò, v. 61), mentre Virgilio osserva la scena con lo stesso stupore del discepolo senza poter spiegare nulla, segno evidente del fatto che il suo ufficio di guida si è ormai definitivamente concluso (il maestro ha pronunciato le sue ultime parole nel poema alla fine del Canto XXVII e non parlerà più fino alla sua scomparsa nel XXX).
La processione simboleggia il procedere della Chiesa nella storia umana, che ha al centro la venuta di Cristo sulla Terra raffigurato dal grifone che traina il carro: quest'ultimo rappresenta più propriamente la Chiesa di Roma e, come si vedrà, Beatrice apparirà nel Canto seguente proprio su di esso, a significare la sua interpretazione come allegoria di Cristo-verità rivelata. Il carro è preceduto e seguito da una serie di figure e personaggi allegorici, su cui si è speso un intenso lavorio interpretativo e che rappresentano le vicende umane che precedono e seguono l'evento centrale della nascita di Cristo nella storia della redenzione dell'uomo: i sette candelabri che aprono la processione sono probabilmente il settemplice spirito di Dio, da cui derivano i sette doni dello Spirito Santo rappresentati dalle liste luminose che i candelabri tracciano nell'aria; l'immagine dei candelabri deriva probabilmente da Apoc., IV, 5 (septem lampades ardentes ante thronum qui sunt septem spiritus Dei, «le sette lampade che ardono davanti al trono e che sono i sette spiriti di Dio») ed essi sono stati interpretati anche come le sette chiese d'Asia, in riferimento ad Apoc., I, 20, o come i sette ordini del chiericato, i sette sacramenti, ecc. La prima ipotesi sembra la più probabile, anche perché l'Apocalisse giovannea sarà fonte di altre immagini della processione, a cominciare dai ventiquattro vecchi biancovestiti che seguono i candelabri come a lor duci e che sono concordemente interpretati come i ventiquattro libri dell'Antico Testamento: il colore bianco della loro veste e delle corone di gigli che portano in testa rimanda alla fede, sottolineando il fatto che le genti vissute prima di Cristo vissero nell'attesa della venuta del Messia e quindi ebbero fede in Cristo venturo; essi rimandano certo ad Apoc., IV, 4 (super thronos viginti quattuor seniores sedentes, circumamicti vestimentis albis, et in capitibus eorum coronas aureas, «sopra i troni erano seduti ventiquattro vecchi, cinti di vesti bianche, con corone dorate in testa») e il canto messo loro in bocca scioglie un inno alla bellezza della Vergine, mentre l'Osanna sentito prima era rivolto probabilmente a Cristo.
Dopo i libri dell'Antico Testamento vengono i quattro Evangelisti, raffigurati secondo l'iconografia tradizionale come altrettanti animali (Matteo era un angelo, Marco un leone, Luca un bue o un vitello, Giovanni un'aquila) e con particolari che fondono le descrizioni di Ezech., I, 4-14 e Apoc., IV, 6-8; sono coronati di verde fronda, in riferimento probabilmente al colore della speranza che è annunciata dai Vangeli, e circondano da quattro lati il carro trionfale trainato dal grifone, che rappresentano rispettivamente la Chiesa (le cui vicende allegoriche saranno descritte nel Canto XXXII) e Cristo, che quindi è posto al centro della processione mistica. Il grifone è un animale mitologico dal corpo di leone e le ali e la testa di aquila, interpretato nel Medioevo come allegoria di Cristo in quanto le parti da uccello erano simbolo della sua natura divina, le altre di quella umana: il carro ha due ruote, in cui sono stati riconosciuti vari significati (nessuno pienamente convincente: i due Testamenti, la vita attiva e contemplativa, gli Ordini francescano e domenicano...) e accanto ad esse vi sono in tutto sette ninfe danzanti, tre alla destra e quattro alla sinistra. Le tre donne sono le virtù teologali, come testimonia il colore della loro figura (rosso vivo per la carità, verde per la speranza e bianco per la fede, che saranno anche i colori di cui sarà vestita Beatrice), guidate ora dalla carità, ora dalla fede, mentre è la carità a dare il ritmo alla danza (la speranza è la virtù che deriva dalle altre due e da esse dipende); le altre quattro sono le virtù cardinali, vestite di rosso porpora in quanto derivanti dalla carità, e fra loro è la prudenza a condurre la danza (essa ha tre occhi, poiché è la virtù che ha memoria delle cose passate, conoscenza delle presenti e preveggenza delle future, come Dante stesso afferma in Conv., IV, 27). Il carro è al centro della processione in quanto la fondazione della Chiesa è lo spartiacque della storia umana, quindi è seguito da altri personaggi che simboleggiano le vicende successive alla venuta di Cristo, nonché i libri del Nuovo Testamento: i primi due sono gli Atti degli Apostoli e le Lettere di san Paolo, raffigurati rispettivamente da un vecchio in sembianze di medico (tale era, secondo la tradizione, la professione di Luca, autore degli Atti) e da un altro che impugna una spada, simbolo tradizionalmente attribuito a san Paolo. Chiudono la processione altri quattro personaggi dall'aspetto umile, che simboleggiano le Lettere di Pietro, Giovanni, Giacomo e Giuda, seguiti a loro volta da un vecchio che procede solo e sembra dormire, nonostante l'espressione arguta (è l'Apocalisse, così raffigurata in riferimento alla lunga vita dell'autore, Giovanni, al valore profetico del libro e alla sua diversità dagli altri del Nuovo Testamento, il che si evince dal fatto che è solo rispetto alle altre figure). Gli ultimi sette personaggi indossano vesti bianche come i ventiquattro seniori ma sono coronati di rose e altri fiori rossi, in riferimento al colore della carità di cui essi ardono in seguito alla venuta di Cristo.
La processione si arresta quando il carro è di fronte a Dante, sempre dall'altro lato del fiume, e ciò è stato interpretato come espediente narrativo per creare l'attesa che sarà sciolta nel Canto seguente, ovvero dell'arrivo di Beatrice che è l'evento centrale del poema: non sono mancate altre ipotesi, come l'annuncio profetico di un futuro evento che sconvolgerà il mondo e in preparazione del quale la storia umana, rappresentata dalla processione, deve arrestarsi (in effetti una profezia ci sarà, quella enigmatica del «DXV» pronunciata proprio da Beatrice, benché nulla autorizzi a metterla in relazione con la conclusione di questo Canto). Più probabile che l'intera processione prepari il lettore all'arrivo di Beatrice che, in quanto allegoria della grazia santificante e di Cristo, è fondamentale per il prosieguo del viaggio dantesco e che non per caso occuperà il carro ora vuoto che si ferma proprio a rimpetto a Dante: il viaggio del poeta è un viaggio a Beatrice e l'incontro con lei rappresenta una tappa essenziale nel raggiungimento della salvezza, quindi la conclusione «sospesa» del Canto XXIX crea l'aspettativa dell'avvento di qualcuno o qualcosa che il lettore sa essere molto importante, e che di lì a pochi versi si manifesterà come l'apparizione di Beatrice, il cui «trionfo» allude forse a quello di Cristo giudicante il Giorno del Giudizio.
La processione simboleggia il procedere della Chiesa nella storia umana, che ha al centro la venuta di Cristo sulla Terra raffigurato dal grifone che traina il carro: quest'ultimo rappresenta più propriamente la Chiesa di Roma e, come si vedrà, Beatrice apparirà nel Canto seguente proprio su di esso, a significare la sua interpretazione come allegoria di Cristo-verità rivelata. Il carro è preceduto e seguito da una serie di figure e personaggi allegorici, su cui si è speso un intenso lavorio interpretativo e che rappresentano le vicende umane che precedono e seguono l'evento centrale della nascita di Cristo nella storia della redenzione dell'uomo: i sette candelabri che aprono la processione sono probabilmente il settemplice spirito di Dio, da cui derivano i sette doni dello Spirito Santo rappresentati dalle liste luminose che i candelabri tracciano nell'aria; l'immagine dei candelabri deriva probabilmente da Apoc., IV, 5 (septem lampades ardentes ante thronum qui sunt septem spiritus Dei, «le sette lampade che ardono davanti al trono e che sono i sette spiriti di Dio») ed essi sono stati interpretati anche come le sette chiese d'Asia, in riferimento ad Apoc., I, 20, o come i sette ordini del chiericato, i sette sacramenti, ecc. La prima ipotesi sembra la più probabile, anche perché l'Apocalisse giovannea sarà fonte di altre immagini della processione, a cominciare dai ventiquattro vecchi biancovestiti che seguono i candelabri come a lor duci e che sono concordemente interpretati come i ventiquattro libri dell'Antico Testamento: il colore bianco della loro veste e delle corone di gigli che portano in testa rimanda alla fede, sottolineando il fatto che le genti vissute prima di Cristo vissero nell'attesa della venuta del Messia e quindi ebbero fede in Cristo venturo; essi rimandano certo ad Apoc., IV, 4 (super thronos viginti quattuor seniores sedentes, circumamicti vestimentis albis, et in capitibus eorum coronas aureas, «sopra i troni erano seduti ventiquattro vecchi, cinti di vesti bianche, con corone dorate in testa») e il canto messo loro in bocca scioglie un inno alla bellezza della Vergine, mentre l'Osanna sentito prima era rivolto probabilmente a Cristo.
Dopo i libri dell'Antico Testamento vengono i quattro Evangelisti, raffigurati secondo l'iconografia tradizionale come altrettanti animali (Matteo era un angelo, Marco un leone, Luca un bue o un vitello, Giovanni un'aquila) e con particolari che fondono le descrizioni di Ezech., I, 4-14 e Apoc., IV, 6-8; sono coronati di verde fronda, in riferimento probabilmente al colore della speranza che è annunciata dai Vangeli, e circondano da quattro lati il carro trionfale trainato dal grifone, che rappresentano rispettivamente la Chiesa (le cui vicende allegoriche saranno descritte nel Canto XXXII) e Cristo, che quindi è posto al centro della processione mistica. Il grifone è un animale mitologico dal corpo di leone e le ali e la testa di aquila, interpretato nel Medioevo come allegoria di Cristo in quanto le parti da uccello erano simbolo della sua natura divina, le altre di quella umana: il carro ha due ruote, in cui sono stati riconosciuti vari significati (nessuno pienamente convincente: i due Testamenti, la vita attiva e contemplativa, gli Ordini francescano e domenicano...) e accanto ad esse vi sono in tutto sette ninfe danzanti, tre alla destra e quattro alla sinistra. Le tre donne sono le virtù teologali, come testimonia il colore della loro figura (rosso vivo per la carità, verde per la speranza e bianco per la fede, che saranno anche i colori di cui sarà vestita Beatrice), guidate ora dalla carità, ora dalla fede, mentre è la carità a dare il ritmo alla danza (la speranza è la virtù che deriva dalle altre due e da esse dipende); le altre quattro sono le virtù cardinali, vestite di rosso porpora in quanto derivanti dalla carità, e fra loro è la prudenza a condurre la danza (essa ha tre occhi, poiché è la virtù che ha memoria delle cose passate, conoscenza delle presenti e preveggenza delle future, come Dante stesso afferma in Conv., IV, 27). Il carro è al centro della processione in quanto la fondazione della Chiesa è lo spartiacque della storia umana, quindi è seguito da altri personaggi che simboleggiano le vicende successive alla venuta di Cristo, nonché i libri del Nuovo Testamento: i primi due sono gli Atti degli Apostoli e le Lettere di san Paolo, raffigurati rispettivamente da un vecchio in sembianze di medico (tale era, secondo la tradizione, la professione di Luca, autore degli Atti) e da un altro che impugna una spada, simbolo tradizionalmente attribuito a san Paolo. Chiudono la processione altri quattro personaggi dall'aspetto umile, che simboleggiano le Lettere di Pietro, Giovanni, Giacomo e Giuda, seguiti a loro volta da un vecchio che procede solo e sembra dormire, nonostante l'espressione arguta (è l'Apocalisse, così raffigurata in riferimento alla lunga vita dell'autore, Giovanni, al valore profetico del libro e alla sua diversità dagli altri del Nuovo Testamento, il che si evince dal fatto che è solo rispetto alle altre figure). Gli ultimi sette personaggi indossano vesti bianche come i ventiquattro seniori ma sono coronati di rose e altri fiori rossi, in riferimento al colore della carità di cui essi ardono in seguito alla venuta di Cristo.
La processione si arresta quando il carro è di fronte a Dante, sempre dall'altro lato del fiume, e ciò è stato interpretato come espediente narrativo per creare l'attesa che sarà sciolta nel Canto seguente, ovvero dell'arrivo di Beatrice che è l'evento centrale del poema: non sono mancate altre ipotesi, come l'annuncio profetico di un futuro evento che sconvolgerà il mondo e in preparazione del quale la storia umana, rappresentata dalla processione, deve arrestarsi (in effetti una profezia ci sarà, quella enigmatica del «DXV» pronunciata proprio da Beatrice, benché nulla autorizzi a metterla in relazione con la conclusione di questo Canto). Più probabile che l'intera processione prepari il lettore all'arrivo di Beatrice che, in quanto allegoria della grazia santificante e di Cristo, è fondamentale per il prosieguo del viaggio dantesco e che non per caso occuperà il carro ora vuoto che si ferma proprio a rimpetto a Dante: il viaggio del poeta è un viaggio a Beatrice e l'incontro con lei rappresenta una tappa essenziale nel raggiungimento della salvezza, quindi la conclusione «sospesa» del Canto XXIX crea l'aspettativa dell'avvento di qualcuno o qualcosa che il lettore sa essere molto importante, e che di lì a pochi versi si manifesterà come l'apparizione di Beatrice, il cui «trionfo» allude forse a quello di Cristo giudicante il Giorno del Giudizio.
Note e passi controversi
Il v. 3 corrisponde al versetto iniziale del Salmo XXXI: Beati, quorum remissae sunt iniquitates / et quorum tecta sunt peccata («Beati coloro le cui iniquità sono state perdonate e i cui peccati sono stati coperti [dal perdono]»).
Le primizie / de l'etterno piacer (vv. 31-32) sono le prime esperienze che Dante prova delle bellezze del Paradiso.
Al v. 41 Uranìe indica Urania, la Musa dell'astronomia e della scienza celeste; Dante ne conosceva forse l'etimologia (da ouranós, cielo).
La virtù ch'a ragion discorso ammanna (v. 49) è la facoltà percettiva o stimativa, che elabora i dati offerti dai sensi e fornisce alla ragione gli elementi del giudizio. Dante intende dire che quando è più vicino ai candelabri, la sua vista fornisce la giusta informazione a tale virtù ed essa li riconosce come tali.
Al v. 52 il bello arnese è l'insieme dei sette candelabri; il loro splendore è paragonato alla luna, perché, anche se la processione avviene di giorno, la fitta vegetazione non lascia filtrare i raggi del sole e l'atmosfera è oscura (cfr. XXVIII, 3, 31-33).
Ai vv. 58-60 l'incedere lento dei candelabri è paragonato a quello di novelle spose, così come spesso avveniva nella tradizione letteraria fiorentina (cfr. Frezzi, Quadriregio, I, 16, vv. 64-65: E come va per via sposa novella / a passi radi, e porta gli occhi bassi...).
Al v. 67 imprendea è voce settentrionale e vuol dire «splendeva».
Al v. 75 tratti pennelli si può interpretare come «tratti di pennello», oppure come «stendardi», in entrambi i casi adatti a descrivere le liste luminose simili ai colori dell'iride (più avanti, al v. 79, le liste sono definite ostendali, «stendardi»).
I vv. 77-78 indicano i colori dell'iride, che il sole produce nell'arco (arcobaleno) e la luna (Delia, detta così dall'isola di Delo in cui era nata Diana, identificata con la luna) nel cinto, nel suo alone. È discusso se le sette strisce luminose corrispondano ognuna a un colore diverso dell'iride, oppure se ciascuna li rifletta tutti; è più logica la prima ipotesi, anche se al tempo di Dante non era certo che i colori dell'iride fossero proprio sette.
I ventiquattro seniori citati al v. 83 sono con tutta probabilità i libri dell'Antico Testamento, che secondo il Canone ebraico (diverso da quello attualmente accettato dalla Bibbia cattolica) sono appunto 24; tale interpretazione è confortata da Girolamo, che nel Prologus galeatus della Bibbia afferma che i viginti quattuor seniores di Apoc., IV, 4 sono i libri dell'Antico Testamento.
I vv. 100-102 sono la traduzione quasi letterale di Ezech., I, 4: Et vidi, et ecce ventus turbinis veniebat ab aquilone, et nubes magna, et ignis involvens... («E vidi un vento tempestoso venire da nord, una gran nube e fuoco che vi si avvolgeva»). Da la fredda parte corrisponde a ab aquilone, mentre igne è un forte latinismo.
I vv. 118-120 alludono al mito di Fetonte, che ottenne dal padre il permesso di guidare il carro del Sole: non seppe governare i cavalli ed uscì dal giusto cammino, per cui Giove lo fulminò. Si è pensato che Dante alluda a una deviazione del carro della Chiesa dal suo retto cammino e a una prossima punizione divina.
La parola brolo (v. 147) significa propriamente «boschetto» e qui vale «ghirlanda».
Le primizie / de l'etterno piacer (vv. 31-32) sono le prime esperienze che Dante prova delle bellezze del Paradiso.
Al v. 41 Uranìe indica Urania, la Musa dell'astronomia e della scienza celeste; Dante ne conosceva forse l'etimologia (da ouranós, cielo).
La virtù ch'a ragion discorso ammanna (v. 49) è la facoltà percettiva o stimativa, che elabora i dati offerti dai sensi e fornisce alla ragione gli elementi del giudizio. Dante intende dire che quando è più vicino ai candelabri, la sua vista fornisce la giusta informazione a tale virtù ed essa li riconosce come tali.
Al v. 52 il bello arnese è l'insieme dei sette candelabri; il loro splendore è paragonato alla luna, perché, anche se la processione avviene di giorno, la fitta vegetazione non lascia filtrare i raggi del sole e l'atmosfera è oscura (cfr. XXVIII, 3, 31-33).
Ai vv. 58-60 l'incedere lento dei candelabri è paragonato a quello di novelle spose, così come spesso avveniva nella tradizione letteraria fiorentina (cfr. Frezzi, Quadriregio, I, 16, vv. 64-65: E come va per via sposa novella / a passi radi, e porta gli occhi bassi...).
Al v. 67 imprendea è voce settentrionale e vuol dire «splendeva».
Al v. 75 tratti pennelli si può interpretare come «tratti di pennello», oppure come «stendardi», in entrambi i casi adatti a descrivere le liste luminose simili ai colori dell'iride (più avanti, al v. 79, le liste sono definite ostendali, «stendardi»).
I vv. 77-78 indicano i colori dell'iride, che il sole produce nell'arco (arcobaleno) e la luna (Delia, detta così dall'isola di Delo in cui era nata Diana, identificata con la luna) nel cinto, nel suo alone. È discusso se le sette strisce luminose corrispondano ognuna a un colore diverso dell'iride, oppure se ciascuna li rifletta tutti; è più logica la prima ipotesi, anche se al tempo di Dante non era certo che i colori dell'iride fossero proprio sette.
I ventiquattro seniori citati al v. 83 sono con tutta probabilità i libri dell'Antico Testamento, che secondo il Canone ebraico (diverso da quello attualmente accettato dalla Bibbia cattolica) sono appunto 24; tale interpretazione è confortata da Girolamo, che nel Prologus galeatus della Bibbia afferma che i viginti quattuor seniores di Apoc., IV, 4 sono i libri dell'Antico Testamento.
I vv. 100-102 sono la traduzione quasi letterale di Ezech., I, 4: Et vidi, et ecce ventus turbinis veniebat ab aquilone, et nubes magna, et ignis involvens... («E vidi un vento tempestoso venire da nord, una gran nube e fuoco che vi si avvolgeva»). Da la fredda parte corrisponde a ab aquilone, mentre igne è un forte latinismo.
I vv. 118-120 alludono al mito di Fetonte, che ottenne dal padre il permesso di guidare il carro del Sole: non seppe governare i cavalli ed uscì dal giusto cammino, per cui Giove lo fulminò. Si è pensato che Dante alluda a una deviazione del carro della Chiesa dal suo retto cammino e a una prossima punizione divina.
La parola brolo (v. 147) significa propriamente «boschetto» e qui vale «ghirlanda».
Testo
Cantando come donna
innamorata,
continuò col fin di sue parole: ‘Beati quorum tecta sunt peccata!’. 3 E come ninfe che si givan sole per le salvatiche ombre, disiando qual di veder, qual di fuggir lo sole, 6 allor si mosse contra ‘l fiume, andando su per la riva; e io pari di lei, picciol passo con picciol seguitando. 9 Non eran cento tra ‘ suoi passi e ‘ miei, quando le ripe igualmente dier volta, per modo ch’a levante mi rendei. 12 Né ancor fu così nostra via molta, quando la donna tutta a me si torse, dicendo: «Frate mio, guarda e ascolta». 15 Ed ecco un lustro sùbito trascorse da tutte parti per la gran foresta, tal che di balenar mi mise in forse. 18 Ma perché ‘l balenar, come vien, resta, e quel, durando, più e più splendeva, nel mio pensier dicea: ‘Che cosa è questa?’. 21 E una melodia dolce correva per l’aere luminoso; onde buon zelo mi fé riprender l’ardimento d’Eva, 24 che là dove ubidia la terra e ‘l cielo, femmina, sola e pur testé formata, non sofferse di star sotto alcun velo; 27 sotto ‘l qual se divota fosse stata, avrei quelle ineffabili delizie sentite prima e più lunga fiata. 30 Mentr’io m’andava tra tante primizie de l’etterno piacer tutto sospeso, e disioso ancora a più letizie, 33 dinanzi a noi, tal quale un foco acceso, ci si fé l’aere sotto i verdi rami; e ‘l dolce suon per canti era già inteso. 36 O sacrosante Vergini, se fami, freddi o vigilie mai per voi soffersi, cagion mi sprona ch’io mercé vi chiami. 39 Or convien che Elicona per me versi, e Uranìe m’aiuti col suo coro forti cose a pensar mettere in versi. 42 Poco più oltre, sette alberi d’oro falsava nel parere il lungo tratto del mezzo ch’era ancor tra noi e loro; 45 ma quand’i’ fui sì presso di lor fatto, che l’obietto comun, che ‘l senso inganna, non perdea per distanza alcun suo atto, 48 la virtù ch’a ragion discorso ammanna, sì com’elli eran candelabri apprese, e ne le voci del cantare ‘Osanna’. 51 Di sopra fiammeggiava il bello arnese più chiaro assai che luna per sereno di mezza notte nel suo mezzo mese. 54 Io mi rivolsi d’ammirazion pieno al buon Virgilio, ed esso mi rispuose con vista carca di stupor non meno. 57 Indi rendei l’aspetto a l’alte cose che si movieno incontr’a noi sì tardi, che foran vinte da novelle spose. 60 La donna mi sgridò: «Perché pur ardi sì ne l’affetto de le vive luci, e ciò che vien di retro a lor non guardi?». 63 Genti vid’io allor, come a lor duci, venire appresso, vestite di bianco; e tal candor di qua già mai non fuci. 66 L’acqua imprendea dal sinistro fianco, e rendea me la mia sinistra costa, s’io riguardava in lei, come specchio anco. 69 Quand’io da la mia riva ebbi tal posta, che solo il fiume mi facea distante, per veder meglio ai passi diedi sosta, 72 e vidi le fiammelle andar davante, lasciando dietro a sé l’aere dipinto, e di tratti pennelli avean sembiante; 75 sì che lì sopra rimanea distinto di sette liste, tutte in quei colori onde fa l’arco il Sole e Delia il cinto. 78 Questi ostendali in dietro eran maggiori che la mia vista; e, quanto a mio avviso, diece passi distavan quei di fori. 81 Sotto così bel ciel com’io diviso, ventiquattro seniori, a due a due, coronati venien di fiordaliso. 84 Tutti cantavan: «Benedicta tue ne le figlie d’Adamo, e benedette sieno in etterno le bellezze tue!». 87 Poscia che i fiori e l’altre fresche erbette a rimpetto di me da l’altra sponda libere fuor da quelle genti elette, 90 sì come luce luce in ciel seconda, vennero appresso lor quattro animali, coronati ciascun di verde fronda. 93 Ognuno era pennuto di sei ali; le penne piene d’occhi; e li occhi d’Argo, se fosser vivi, sarebber cotali. 96 A descriver lor forme più non spargo rime, lettor; ch’altra spesa mi strigne, tanto ch’a questa non posso esser largo; 99 ma leggi Ezechiel, che li dipigne come li vide da la fredda parte venir con vento e con nube e con igne; 102 e quali i troverai ne le sue carte, tali eran quivi, salvo ch’a le penne Giovanni è meco e da lui si diparte. 105 Lo spazio dentro a lor quattro contenne un carro, in su due rote, triunfale, ch’al collo d’un grifon tirato venne. 108 Esso tendeva in sù l’una e l’altra ale tra la mezzana e le tre e tre liste, sì ch’a nulla, fendendo, facea male. 111 Tanto salivan che non eran viste; le membra d’oro avea quant’era uccello, e bianche l’altre, di vermiglio miste. 114 Non che Roma di carro così bello rallegrasse Affricano, o vero Augusto, ma quel del Sol saria pover con ello; 117 quel del Sol che, sviando, fu combusto per l’orazion de la Terra devota, quando fu Giove arcanamente giusto. 120 Tre donne in giro da la destra rota venian danzando; l’una tanto rossa ch’a pena fora dentro al foco nota; 123 l’altr’era come se le carni e l’ossa fossero state di smeraldo fatte; la terza parea neve testé mossa; 126 e or parean da la bianca tratte, or da la rossa; e dal canto di questa l’altre toglien l’andare e tarde e ratte. 129 Da la sinistra quattro facean festa, in porpore vestite, dietro al modo d’una di lor ch’avea tre occhi in testa. 132 Appresso tutto il pertrattato nodo vidi due vecchi in abito dispari, ma pari in atto e onesto e sodo. 135 L’un si mostrava alcun de’ famigliari di quel sommo Ipocràte che natura a li animali fé ch’ell’ha più cari; 138 mostrava l’altro la contraria cura con una spada lucida e aguta, tal che di qua dal rio mi fé paura. 141 Poi vidi quattro in umile paruta; e di retro da tutti un vecchio solo venir, dormendo, con la faccia arguta. 144 E questi sette col primaio stuolo erano abituati, ma di gigli dintorno al capo non facean brolo, 147 anzi di rose e d’altri fior vermigli; giurato avria poco lontano aspetto che tutti ardesser di sopra da’ cigli. 150 E quando il carro a me fu a rimpetto, un tuon s’udì, e quelle genti degne parvero aver l’andar più interdetto, fermandosi ivi con le prime insegne. 154 |
ParafrasiCantando come una donna innamorata, (Matelda) continuò le sue parole dicendo: 'Beati coloro i cui peccati sono stati coperti dal perdono!'
E come le ninfe vagavano da sole fra le ombre dei boschi, alcune desiderando di vedere il sole e altre di sfuggirlo, allora la donna iniziò a risalire il fiume, costeggiandone la riva; e la seguivo, adattando il mio passo al suo, più lento. Non avevamo ancora compiuto cento passi in due, quando il fiume svoltò verso levante e io ne seguii il corso. Anche in questa direzione non percorremmo molta strada, quando la donna si voltò verso di me e disse: «Fratello mio, guarda e ascolta». Ed ecco che un bagliore improvviso percorse la foresta da tutte le parti, tanto che dubitai si trattasse di un lampo. Ma poiché il lampo cessa non appena è venuto, mentre quello persisteva e diventava sempre più splendente, fra me e me dicevo: «Di che può trattarsi?» E una dolce melodia si diffondeva nell'aria luminosa; allora un giusto zelo mi indusse a rimproverare l'orgoglio di Eva, la quale, benché la terra e il cielo le ubbidissero, benché fosse l'unica donna appena creata, non tollerò alcun limite alla propria conoscenza: e se invece avesse rispettato quel limite, devota, io avrei gustato quelle indicibili delizie già in precedenza, e per un tempo più lungo. Mentre io procedevo con l'animo assorto tra tante anticipazioni delle bellezze paradisiache, e desideroso di altre gioie ancora, l'aria si fece davanti a noi di un colore rosso acceso come il fuoco, sotto i rami verdi; e quel dolce suono si rivelava ormai come un canto. O sante Muse, se mai ho sofferto per voi digiuni, freddi o veglie, ora una ragione mi sprona a chiedervi una ricompensa per questo. Ora è necessario che l'Elicona versi per me l'ispirazione poetica, e che Urania mi aiuti insieme alle compagne a mettere in versi cose difficili anche solo a pensarsi. Poco lontano, il lungo tratto dell'aria che era ancora tra noi e loro, mi faceva credere di vedere sette alberi d'oro; ma quando mi fui avvicinato di più, al punto che l'oggetto della percezione, che può ingannare i sensi, non perdeva alcuna sua qualità per la distanza, la virtù che fornisce gli elementi di giudizio alla ragione (la facoltà percettiva) li riconobbe come candelabri, e nelle voci sentì il canto 'Osanna'. Il bell'insieme dei candelabri fiammeggiava verso l'alto, facendo un chiarore più intenso di quello della luna a mezzanotte, quando è piena. Io mi rivolsi pieno di meraviglia al buon Virgilio, ed egli mi rispose con uno sguardo non meno carico di stupore. Allora tornai a guardare quelle alte cose che si muovevano verso di noi, così lentamente che sarebbero vinte da spose novelle. La donna (Matelda) mi sgridò: «Perché guardi solo i candelabri, pieno di amore, e non osservi ciò che viene dietro di essi?» Allora vidi dei personaggi che li seguivano, come se fossero loro guide, vestiti di bianco; e un simile candore non ci fu mai sulla Terra. L'acqua del Lete splendeva alla mia sinistra, e rifletteva come uno specchio il mio fianco sinistro, se io guardavo in essa. Quando io fui presso la riva, tanto che solo il fiume mi separava da quegli oggetti, per veder meglio arrestai il passo, e vidi le fiammelle (dei candelabri) proseguire e lasciare dietro di sé l'aria dipinta, e quelle strisce luminose sembravano tratti di pennello (o stendardi); così che sopra i candelabri l'aria era distinta in sette strisce, tutte di quei colori che il Sole produce nell'arcobaleno e la Luna nel suo alone. Questi stendardi (le strisce di luce) si estendevano indietro più di quanto io potessi vederli; e credo che i due più esterni distassero dieci passi. Sotto un così bel cielo, come io lo descrivo, venivano ventiquattro vecchi, a due a due, coronati di gigli. Tutti cantavano: «Benedetta sia tu tra le figlie di Adamo, e benedette siano in eterno le tue bellezze!» Dopo che i fiori e le altre fresche erbette di fronte a me, sulla sponda opposta, furono libere da quelle genti sante, proprio come in cielo una costellazione ne segue un'altra, vennero dopo di loro quattro animali, ognuno coronato da una fronda verde. Ciascuno aveva sei ali e le ali erano piene d'occhi; gli occhi sarebbero uguali a quelli di Argo, se fossero ancora vivi. Lettore, per descrivere il loro aspetto non spendo un più ampio numero di versi, poiché altri argomenti mi stringono, al punto che su questo non posso essere prodigo di dettagli; ma leggi Ezechiele, che li descrive come li vide venire da nord con vento, con nubi e con il fuoco; e quelli che vidi erano identici a quelli che leggerai nel suo libro, salvo che per il dettaglio delle penne Giovanni è con me e si allontana da lui. Lo spazio fra loro era occupato da un carro trionfale, su due ruote, che procedeva trainato dal collo di un grifone. Esso (il grifone) aveva le ali tese in alto, tra la lista luminosa al centro e le tre da ogni lato, in modo tale che non danneggiava nessuna di esse. Le ali salivano così in alto da sfuggire alla vista; aveva le membra di uccello di colore dorato, le altre di colore bianco misto a rosso. Non solo a Roma non ci fu mai un carro così bello a festeggiare Scipione l'Africano o Augusto, ma addirittura quello del Sole sarebbe povero a paragone di quello; quello del Sole, che, deviando, fu bruciato per le preghiere della Terra devota, quando Giove fu giusto in modo misterioso. Tre donne venivano danzando in cerchio accanto alla ruota destra; una era rossa, a tal punto che si sarebbe a malapena notata dentro il fuoco; la seconda aveva le carni e le ossa che sembravano fatte di smeraldo verde; la terza sembrava neve appena caduta dal cielo; e ora sembravano guidate nella danza dalla bianca, ora dalla rossa; e dal canto di quest'ultima le altre assumevano un ritmo di danza lento o veloce. Dal lato sinistro del carro danzavano quattro donne, vestite di rosso porpora, seguendo il ritmo di una di loro che aveva in testa ben tre occhi. Dietro tutti questi personaggi, vidi due vecchi vestiti diversamente nell'abito, ma identici nell'atteggiamento dignitoso e solenne. Il primo si mostrava come uno dei seguaci di quel sommo Ippocrate che la Natura creò per gli esseri (gli uomini) che ha più cari; l'altro mostrava l'interesse opposto, impugnando una spada lucida e aguzza, tanto che mi fece paura anche se ero da questa parte del fiume. Poi vidi quattro personaggi dall'aspetto umile; e dietro a tutti un vecchio solitario, che procedeva dormendo, col volto espressivo. E questi sette erano vestiti come i primi ventiquattro vecchi (di bianco), ma attorno al capo non erano coronati di gigli, bensì di rose e di altri fiori rossi; si sarebbe giurato, guardandoli da lontano, che ardessero tutti sopra la fronte. E quando il carro fu proprio di fronte a me, si udì un tuono e quelle genti sante sembrarono avere il divieto di procedere oltre, per cui si fermarono lì con le insegne (i candelabri) che guidavano il corteo. |