Paradiso, Canto XI
Vita di s. Francesco (Giotto, B. Sup. Assisi)
"...Di questa costa, là dov'ella frange
più sua rattezza, nacque al mondo un sole,
come fa questo talvolta di Gange..."
"...nel crudo sasso intra Tevero e Arno
da Cristo prese l'ultimo sigillo,
che le sue membra due anni portarno..."
"...Ma 'l suo pecuglio di nova vivanda
è fatto ghiotto, sì ch'esser non puote
che per diversi salti non si spanda..."
più sua rattezza, nacque al mondo un sole,
come fa questo talvolta di Gange..."
"...nel crudo sasso intra Tevero e Arno
da Cristo prese l'ultimo sigillo,
che le sue membra due anni portarno..."
"...Ma 'l suo pecuglio di nova vivanda
è fatto ghiotto, sì ch'esser non puote
che per diversi salti non si spanda..."
Argomento del Canto
Ancora nel IV Cielo del Sole. Dubbi di Dante circa le parole di san Tommaso d'Aquino. Panegirico di san Francesco d'Assisi e biasimo dei difetti dell'Ordine domenicano.
È la notte tra mercoledì 13 aprile (o 30 marzo) e giovedì 14 aprile (o 31 marzo) del 1300.
È la notte tra mercoledì 13 aprile (o 30 marzo) e giovedì 14 aprile (o 31 marzo) del 1300.
Vanità delle cose umane. Dubbi di Dante (1-27)
Dante osserva che i ragionamenti degli uomini sono fallaci e li inducono a volgersi alle cose terrene, per cui alcuni si dedicano agli studi giuridici, altri alle scienze mediche, altri alle cariche ecclesiastiche, altri ancora al governo temporale, ai furti, agli affari politici, al piacere carnale e all'ozio: invece il poeta è libero da tutte queste cose, accolto insieme a Beatrice nell'alto dei Cieli. I dodici spiriti sapienti della prima corona si fermano, dopo essere tornati nel punto da cui erano partiti, e il beato che aveva parlato prima (san Tommaso d'Aquino) riprende la parola aumentando il proprio splendore. Tommaso dichiara che, leggendo nella mente di Dio, conosce i pensieri di Dante e sa che il poeta dubita riguardo a due sue affermazioni, quando aveva parlato del proprio Ordine e di Salomone, l'uomo più saggio mai vissuto, per cui è necessaria una spiegazione.
I due campioni della Chiesa: Francesco e Domenico (28-42)
B. Angelico, Francesco e Domenico
Tommaso spiega che la Provvidenza, che governa il mondo con l'infinita saggezza di Dio, al fine di rendere più salda e sicura la Chiesa, dispose la nascita di due principi che la guidassero e le stessero al fianco. Di questi, uno (san Francesco) fu pieno di ardore mistico come i Serafini, l'altro (san Domenico) fu talmente sapiente da risplendere della luce dei Cherubini. Tommaso parlerà solo di Francesco, poiché le loro opere ebbero un unico fine e quindi, lodando qualunque di essi, si lodano entrambi.
Il luogo della nascita di Francesco (43-54)
Tommaso spiega che tra i fiumi Topino e Chiascio (quest'ultimo scende dal monte Ausciano dove il beato Ubaldo si ritirò in eremitaggio) digrada la fertile costiera del monte Subasio, dalla quale Perugia riceve il calore estivo e il freddo invernale dal lato di Porta Sole; dalla parte opposta del monte ci sono invece Nocera Umbra e Gualdo Tadino, in posizione svantaggiosa. Da questa costiera del monte, dove essa è meno ripida (ad Assisi), nacque un Sole per il mondo (Francesco), come il Sole vero e proprio sorge talvolta dal fiume Gange (all'equinozio di primavera, quando è più luminoso). Perciò, se qualcuno parla di quella città, non la deve chiamare Ascesi (Assisi), ma Oriente, poiché ha dato i natali al santo.
Il luogo della nascita di Francesco (43-54)
Tommaso spiega che tra i fiumi Topino e Chiascio (quest'ultimo scende dal monte Ausciano dove il beato Ubaldo si ritirò in eremitaggio) digrada la fertile costiera del monte Subasio, dalla quale Perugia riceve il calore estivo e il freddo invernale dal lato di Porta Sole; dalla parte opposta del monte ci sono invece Nocera Umbra e Gualdo Tadino, in posizione svantaggiosa. Da questa costiera del monte, dove essa è meno ripida (ad Assisi), nacque un Sole per il mondo (Francesco), come il Sole vero e proprio sorge talvolta dal fiume Gange (all'equinozio di primavera, quando è più luminoso). Perciò, se qualcuno parla di quella città, non la deve chiamare Ascesi (Assisi), ma Oriente, poiché ha dato i natali al santo.
Vita di Francesco: le mistiche nozze con la Povertà (55-75)
Giotto, Francesco rinuncia ai beni
Francesco era ancora molto giovane, quando cominciò a riverberare sulla Terra le sue benefiche virtù: infatti volle sposare una donna (la Povertà) alla quale nessuno vuole unirsi, come se fosse la morte, e a causa di essa venne in contrasto con il padre. Francesco si unì a lei in mistiche nozze, davanti al tribunale episcopale e al padre, spogliandosi dei beni e vivendo poi con la Povertà che amò sempre di più. Questa, dopo la crocifissione di Cristo, suo primo marito, era rimasta per più di millecento anni sola e disprezzata da tutti, e non era servito che Cesare durante la guerra civile con Pompeo la trovasse sicura e tranquilla in compagnia del pescatore Amiclàte; non le servì dimostrarsi fedele e fiera, come quando aveva seguito Cristo sulla croce mentre Maria era rimasta ai piedi di essa. Tommaso precisa a questo punto che sta parlando di Francesco e di Madonna Povertà, unitisi appunto in mistiche nozze.
Vita di Francesco: dalla predicazione alla morte (76-117)
G. da Fabriano, Francesco riceve le stimmate
La concordia di Francesco e Povertà, il loro amore e il dolce sguardo dell'uno per l'altra suscitavano pensieri santi e indussero per primo Bernardo di Quintavalle a unirsi a loro e a seguirli scalzo, con lieta sollecitudine. Il suo esempio fu presto seguito da Egidio e Silvestro, che andarono dietro allo sposo per amore della sposa (aderendo all'ideale francescano di povertà); e Francesco fu a capo di quella famiglia, che ormai portava i fianchi cinti da una corda.
Francesco si recò poi a Roma per illustrare a papa Innocenzo III la sua severa Regola, e nonostante fosse figlio di un mercante, Pietro Bernardone, non si vergognò della sua umile condizione e di fronte al pontefice si comportò con modi regali; il papa diede la prima approvazione all'Ordine. I seguaci aumentarono di numero, così papa Onorio III diede la seconda approvazione, con cui lo Spirito Santo coronò il santo volere di Francesco. Egli si recò poi in Terrasanta, presentandosi davanti al Sultano, ma trovò quelle genti non ancora pronte alla conversione; tornò in Italia e si ritirò sul monte della Verna, fra Tevere e Arno, dove ricevette l'ultimo e definitivo sigillo alla Regola (le stimmate), che portò per due anni.
Quando a Dio piacque di chiamarlo a sé da questa vita, Francesco raccomandò ai confratelli la sua donna, la Povertà, quindi la sua anima lasciò il corpo ed egli fu seppellito nudo nella nuda terra, secondo le sue volontà.
Francesco si recò poi a Roma per illustrare a papa Innocenzo III la sua severa Regola, e nonostante fosse figlio di un mercante, Pietro Bernardone, non si vergognò della sua umile condizione e di fronte al pontefice si comportò con modi regali; il papa diede la prima approvazione all'Ordine. I seguaci aumentarono di numero, così papa Onorio III diede la seconda approvazione, con cui lo Spirito Santo coronò il santo volere di Francesco. Egli si recò poi in Terrasanta, presentandosi davanti al Sultano, ma trovò quelle genti non ancora pronte alla conversione; tornò in Italia e si ritirò sul monte della Verna, fra Tevere e Arno, dove ricevette l'ultimo e definitivo sigillo alla Regola (le stimmate), che portò per due anni.
Quando a Dio piacque di chiamarlo a sé da questa vita, Francesco raccomandò ai confratelli la sua donna, la Povertà, quindi la sua anima lasciò il corpo ed egli fu seppellito nudo nella nuda terra, secondo le sue volontà.
Tommaso biasima i difetti dei Domenicani (118-139)
Tommaso invita Dante a pensare quale fu il degno collega di Francesco nel governare la nave della Chiesa in alto mare, e questi fu appunto san Domenico, fondatore dell'Ordine cui appartenne il beato; chi ne fa parte e si attiene alla Regola non può che acquistare grandi meriti. Tuttavia le pecore di questo gregge sono diventate ghiotte di altro cibo, quindi si allontanano dai loro pascoli e, quanto più vagano, tanto più povere di latte tornano all'ovile (i Domenicani deviano dalla Regola e ricercano beni terreni). Certo ci sono alcune fra esse che si stringono al pastore (si attengono alla Regola), ma sono talmente poche che occorre poco panno a confezionare le loro cappe. A questo punto Dante, se ha ascoltato con attenzione, può ben capire quali sono i difetti dell'Ordine domenicano, e può intendere il biasimo di san Tommaso quando ha detto «dove ci si arricchisce spiritualmente, se non si devia dalla Regola».
Qui è possibile vedere un breve video-su Francesco d'Assisi nel «Paradiso» di Dante, tratta dal canale YouTube "Video Letteratura" |
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Interpretazione complessiva
Il Canto è dedicato in gran parte alla figura di san Francesco ed ha struttura speculare rispetto al XII, in quanto qui è il domenicano san Tommaso a pronunciare il panegirico di Francesco e a biasimare i difetti del proprio Ordine, mentre nel Canto seguente sarà il francescano san Bonaventura a tessere le lodi di san Domenico e a criticare le mancanze dei Francescani (i due episodi formano una sorta di «chiasmo» e sono entrambi stilisticamente elevati). Tommaso prende spunto dal dubbio di Dante circa le sue parole alla fine del Canto X, quando parlando dei domenicani (v. 96) aveva detto u' ben s'impingua se non si vaneggia, per cui la agiografia del santo di Assisi servirà soprattutto a mettere in luce la corruzione diffusa tra i membri degeneri dell'Ordine domenicano: del resto il Canto si apre con l'accusa di Dante contro l'insensata cura de' mortali, che anziché ricercare i beni celesti si affannano dietro a quelli terreni, a differenza del poeta che è libero ormai da tutte queste lusinghe ed è accolto in gloria insieme a Beatrice nell'alto dei Cieli. Tommaso sceglie di raccontare la vita di Francesco in quanto sia lui sia san Domenico hanno perseguito il medesimo fine di assistere la Chiesa e agevolarne il cammino, entrambi ordinati dalla Provvidenza come suoi principi e campioni: l'immagine era frequente nella letteratura trecentesca, così come il ritratto dei due santi che erano visti in modo complementare, Francesco acceso di ardore di carità e Domenico pieno di sapienza divina, paragonati anche da Tommaso a un Serafino e a un Cherubino.
La biografia di Francesco si apre con una grandiosa descrizione geografica di Assisi, che nella sua solennità ricorda molto quella del Canto VIII nelle parole di Carlo Martello e la perifrasi del Canto IX che introduceva il luogo natale di Folchetto di Marsiglia; Dante indica Francesco come un Sole che è nato per illuminare il mondo, come il Sole vero e proprio quando sorge nell'estremo Oriente (il Gange) nell'equinozio di primavera ed è più benefico, giocando forse sul nome Ascesi che era diffuso nell'Italia centrale del tempo e che può indicare anche l'elevazione spirituale. Segue poi la descrizione della sua vita, per la quale Dante si è certo rifatto alle fonti diffuse nel primo Trecento (come gli Actus beati Francisci e la Legenda maior di san Bonaventura), anche se il poeta trascura gli elementi più popolari e aneddotici, per concentrarsi soprattutto sulle metaforiche nozze con la Povertà e, quindi, descrivendo Franscesco come una figura esemplare di uomo di Chiesa che perseguì un ideale di povertà evangelica, in contrasto con la corruzione ecclesiastica e la ricerca di ricchezze. Ciò è coerente sia con l'apertura del Canto, sia col finale dedicato alla rampogna di Tommaso contro i domenicani corrotti: Francesco entra in contrasto col padre per sposare la Povertà, rimasta senza marito dopo la morte di Cristo, si spoglia pubblicamente di tutti i beni e, dopo le mistiche nozze, ama la sposa di giorno in giorno più intensamente (fin dall'inizio è evidente l'imitatio Christi da parte del santo, che Dante descrive come alter Christus soprattutto per la scelta di vivere poveramente e in umiltà). Attorno a Francesco e alla sua sposa si raccoglie una famiglia di seguaci che si fa via via più numerosa, per cui i frati imitano il loro maestro spogliandosi di ogni cosa e seguendolo scalzi, cingendo i fianchi con l'umile capestro (il cinto francescano) che sarà simbolo della loro scelta di vita. La severa Regola francescana riceverà poi tre «sigilli» che ne sanciranno la validità, i primi due da parte dei papi Innocenzo III e Onorio III, l'ultimo (il più importante) da parte dello Spirito Santo attraverso le stimmate, segno più evidente dell'imitatio Christi: da rilevare che, se Dante segue la biografia di Bonaventura nelle linee essenziali, anche invertendo l'ordine di alcuni eventi, nondimeno dipinge Francesco come una figura altamente regale e dignitosa a dispetto della sua umiltà, come nel momento in cui si presenta di fronte a papa Innocenzo per sottoporgli la sua Regola; qualcosa di simile avviene anche nell'incontro col Sultano d'Egitto, qui presentato come sovrano superbo (mentre le fonti parlano di un'accoglienza benevola da parte del re musulmano) di fronte al quale Francesco si presenta per desiderio di martirio, non riuscendo tuttavia a convertire quei popoli ancora immaturi e restii ad ascoltare il messaggio evangelico. Tornato in Italia, dopo l'episodio delle stimmate e quando a Dio piacque di chiamarlo a sé, ancora una volta il santo raccomanda ai suoi confratelli la fedeltà alla sposa-Povertà (quindi alla severità della Regola) e poi si fa seppellire nudo nella nuda terra senza altra bara, a sottolineare in quell'ultimo gesto la sua volontà di vivere privo di qualunque ricchezza; va ricordato che Bonaventura, nella sua rampogna ai francescani degeneri, spiegherà proprio che essi si divisero fra spirituali e conventuali, ovvero tra coloro che inasprirono e attenuarono la Regola contrariamente alla volontà del fondatore, che venne quindi fraintesa in entrambi i casi.
Il finale del Canto è occupato dal rimprovero di Tommaso contro i confratelli del suo Ordine, che vengono accusati soprattutto di aver tradito la Regola di san Domenico per desiderio di ricchezze e beni terreni, per cui il gregge al quale il beato appartenne in vita si è allontanato dal pastore e va in cerca di altri pascoli in quanto ghiotto di altro cibo: la metafora evangelica serve a Dante per criticare la corruzione assai diffusa proprio fra i domenicani, specie attraverso la vendita delle indulgenze e l'intepretazione capziosa del diritto canonico, per cui le parole di Tommaso si rifanno a quelle di Folchetto nel finale del Canto IX (dove aveva parlato di pecore e... agni deviati e allontanatisi dal pastore diventato un lupo, a causa della sete di ricchezze alimentata dal maladetto fiore, il fiorino). Il discorso di Tommaso si rifà al tema, assai frequente nella III Cantica, della corruzione della Chiesa, anticipando altri celebri passi come il durissimo attacco contro papa Giovanni XXII del finale del Canto XVIII, nonché il discorso altrettanto severo di san Pietro contro Bonifacio VIII e la Curia papale corrotta di XXVII, 22-60; lo stesso Bonaventura nel Canto seguente descriverà san Domenico come un dottore della Chiesa intento a studiare la dottrina non per arricchirsi grazie ai cavilli legali del diritto canonico, ma per mettere la propria sapienza al servizio della Cristianità e stroncare le eresie, nonostante il pontefice spesso traligni dalla retta via tracciata dal messaggio evangelico. Gli esempi di corruzione ecclesiastica sono ovviamente opposti a quello di Francesco, che con la sua vita semplice ha voluto riproporre l'ideale di povertà evangelica di Gesù e dei suoi discepoli, troppo spesso disatteso dai papi e dai prelati corrotti contro i quali, in molti passi del poema e in particolare del Paradiso, Dante rivolge le sue critiche e il suo duro richiamo.
La biografia di Francesco si apre con una grandiosa descrizione geografica di Assisi, che nella sua solennità ricorda molto quella del Canto VIII nelle parole di Carlo Martello e la perifrasi del Canto IX che introduceva il luogo natale di Folchetto di Marsiglia; Dante indica Francesco come un Sole che è nato per illuminare il mondo, come il Sole vero e proprio quando sorge nell'estremo Oriente (il Gange) nell'equinozio di primavera ed è più benefico, giocando forse sul nome Ascesi che era diffuso nell'Italia centrale del tempo e che può indicare anche l'elevazione spirituale. Segue poi la descrizione della sua vita, per la quale Dante si è certo rifatto alle fonti diffuse nel primo Trecento (come gli Actus beati Francisci e la Legenda maior di san Bonaventura), anche se il poeta trascura gli elementi più popolari e aneddotici, per concentrarsi soprattutto sulle metaforiche nozze con la Povertà e, quindi, descrivendo Franscesco come una figura esemplare di uomo di Chiesa che perseguì un ideale di povertà evangelica, in contrasto con la corruzione ecclesiastica e la ricerca di ricchezze. Ciò è coerente sia con l'apertura del Canto, sia col finale dedicato alla rampogna di Tommaso contro i domenicani corrotti: Francesco entra in contrasto col padre per sposare la Povertà, rimasta senza marito dopo la morte di Cristo, si spoglia pubblicamente di tutti i beni e, dopo le mistiche nozze, ama la sposa di giorno in giorno più intensamente (fin dall'inizio è evidente l'imitatio Christi da parte del santo, che Dante descrive come alter Christus soprattutto per la scelta di vivere poveramente e in umiltà). Attorno a Francesco e alla sua sposa si raccoglie una famiglia di seguaci che si fa via via più numerosa, per cui i frati imitano il loro maestro spogliandosi di ogni cosa e seguendolo scalzi, cingendo i fianchi con l'umile capestro (il cinto francescano) che sarà simbolo della loro scelta di vita. La severa Regola francescana riceverà poi tre «sigilli» che ne sanciranno la validità, i primi due da parte dei papi Innocenzo III e Onorio III, l'ultimo (il più importante) da parte dello Spirito Santo attraverso le stimmate, segno più evidente dell'imitatio Christi: da rilevare che, se Dante segue la biografia di Bonaventura nelle linee essenziali, anche invertendo l'ordine di alcuni eventi, nondimeno dipinge Francesco come una figura altamente regale e dignitosa a dispetto della sua umiltà, come nel momento in cui si presenta di fronte a papa Innocenzo per sottoporgli la sua Regola; qualcosa di simile avviene anche nell'incontro col Sultano d'Egitto, qui presentato come sovrano superbo (mentre le fonti parlano di un'accoglienza benevola da parte del re musulmano) di fronte al quale Francesco si presenta per desiderio di martirio, non riuscendo tuttavia a convertire quei popoli ancora immaturi e restii ad ascoltare il messaggio evangelico. Tornato in Italia, dopo l'episodio delle stimmate e quando a Dio piacque di chiamarlo a sé, ancora una volta il santo raccomanda ai suoi confratelli la fedeltà alla sposa-Povertà (quindi alla severità della Regola) e poi si fa seppellire nudo nella nuda terra senza altra bara, a sottolineare in quell'ultimo gesto la sua volontà di vivere privo di qualunque ricchezza; va ricordato che Bonaventura, nella sua rampogna ai francescani degeneri, spiegherà proprio che essi si divisero fra spirituali e conventuali, ovvero tra coloro che inasprirono e attenuarono la Regola contrariamente alla volontà del fondatore, che venne quindi fraintesa in entrambi i casi.
Il finale del Canto è occupato dal rimprovero di Tommaso contro i confratelli del suo Ordine, che vengono accusati soprattutto di aver tradito la Regola di san Domenico per desiderio di ricchezze e beni terreni, per cui il gregge al quale il beato appartenne in vita si è allontanato dal pastore e va in cerca di altri pascoli in quanto ghiotto di altro cibo: la metafora evangelica serve a Dante per criticare la corruzione assai diffusa proprio fra i domenicani, specie attraverso la vendita delle indulgenze e l'intepretazione capziosa del diritto canonico, per cui le parole di Tommaso si rifanno a quelle di Folchetto nel finale del Canto IX (dove aveva parlato di pecore e... agni deviati e allontanatisi dal pastore diventato un lupo, a causa della sete di ricchezze alimentata dal maladetto fiore, il fiorino). Il discorso di Tommaso si rifà al tema, assai frequente nella III Cantica, della corruzione della Chiesa, anticipando altri celebri passi come il durissimo attacco contro papa Giovanni XXII del finale del Canto XVIII, nonché il discorso altrettanto severo di san Pietro contro Bonifacio VIII e la Curia papale corrotta di XXVII, 22-60; lo stesso Bonaventura nel Canto seguente descriverà san Domenico come un dottore della Chiesa intento a studiare la dottrina non per arricchirsi grazie ai cavilli legali del diritto canonico, ma per mettere la propria sapienza al servizio della Cristianità e stroncare le eresie, nonostante il pontefice spesso traligni dalla retta via tracciata dal messaggio evangelico. Gli esempi di corruzione ecclesiastica sono ovviamente opposti a quello di Francesco, che con la sua vita semplice ha voluto riproporre l'ideale di povertà evangelica di Gesù e dei suoi discepoli, troppo spesso disatteso dai papi e dai prelati corrotti contro i quali, in molti passi del poema e in particolare del Paradiso, Dante rivolge le sue critiche e il suo duro richiamo.
Note e passi controversi
Al v. 2 il termine silogismi indica i ragionamenti propri della logica aristotelica e scolastica (la forma con una sola - l - è prevalente nei codici, come in palido, Caliopè, ecc.).
Al v. 4 iura indica gli studi giuridici, mentre gli amforismi si rifanno agli studi medici (Aforismi era il titolo dell'opera di Ippocrate).
Al v. 13 ne lo è rima composta, da leggere «nèlo».
Il v. 26 propone la lez. nacque di contro a surse di X, 114, in quanto attestata da quasi tutti i mss. (non è strettamente necessario che Tommaso citi letteralmente le proprie parole).
Ai vv. 29-30 aspetto / creato vuol dire la vista di ogni creatura, umana o angelica.
La sposa del v. 32 è ovviamente la Chiesa, unita a Cristo (colui ch'ad altre grida / disposò lei col sangue benedetto).
Francesco e Domenico (vv. 37-39) sono paragonati rispettivamente a un Serafino e a un Cherubino, poiché proprio Tommaso nella Summa theol. (I q., LXIII) riconduceva l'etimologia dei due termini all'ardore di carità e alla sapienza. La stessa immagine si trova anche nella Legenda maior di san Bonaventura.
L'acqua del v. 43 è il fiume Chiascio, che scorre dal monte Ausciano (il colle) dove Ubaldo Baldassini si ritirò a vita eremitica nel XII sec.
I vv. 46-48 indicano che Perugia trae vantaggio dalla sua posizione, poiché il monte Subasio le rimanda il calore estivo e il freddo dell'inverno, mentre Nocera e Gualdo, che sorgono dal lato opposto del monte, sono in posizione svantaggiosa. Improbabile, come pure alcuni critici hanno ipotizzato, che Dante si riferisca al dominio politico di Perugia sulle due città.
Al v. 51 questo indica il Sole vero e proprio, che quando sorge nell'equinozio primaverile dal Gange (cioè, secondo la geografia del tempo, dall'estremo Oriente) è più luminoso e più benefico. Ciò spiega perché Assisi sia definita Oriente, avendo dato i natali a Francesco-Sole (la forma Ascesi era normale nella lingua dell'Italia centrale, anche se non si può escludere che Dante pensasse all'ascesi spirituale).
Al v. 55 orto è latinismo e vuol dire «nascita» (il latino ortus era spesso usato in riferimento al sorgere del Sole).
La spirital corte del v. 61 è il tribunale episcopale, di fronte al quale il padre di Francesco citò il figlio.
Il primo marito della Povertà (v. 64) è Gesù, che morendo sulla croce la lasciò vedova.
I vv. 67-69 si rifanno a Lucano, che nella Phars. (V, 519 ss.) racconta di un pescatore, Amiclàte, talmente povero da non temere di lasciare la porta della sua capanna aperta durante le scorrerie di Cesare (colui ch'a tutto 'l mondo fé paura) e Pompeo durante la guerra civile. Dante cita l'episodio anche in Conv., IV, 13.
Bernardo di Quintavalle (v. 79) fu, secondo Bonaventura, il primo discepolo del santo: fondò a Bologna nel 1211 il primo convento francescano e assistette alla morte del santo. Egidio e Silvestro (v. 83) furono altri suoi seguaci, uomo semplice e modesto il primo, prete di Assisi il secondo (in base a una leggenda, avrebbe seguito Francesco dopo un sogno in cui il santo difendeva Assisi minacciata da un terribile dragone).
I vv. 95-96 (la cui mirabil vita / meglio in gloria del ciel si canterebbe) indica prob. che la vita di Francesco dovrebbe essere elogiata non per la sua persona, ma per la gloria celeste; altri intendono un riferimento ai francescani corrotti (la sua vita si celebra in Cielo meglio di quanto non si faccia sulla Terra).
Al v. 97 redimita è latinismo e vuol dire «coronata», mentre al v. 99 archimandrita è grecismo e significa «pastore». Entrambi i termini impreziosiscono notevolmente il linguaggio di Tommaso.
Il crudo sasso citato al v. 106 è il monte della Verna, sull'Appennino toscano, dove Francesco ricevette le stimmate.
Al v. 111 pusillo è latinismo e vuol dire «umile».
Il v. 137 va interpretato «vedrai da dove ha origine la corruzione dell'Ordine domenicano».
Al v. 138 corrègger è infinito sostantivato e significa «inciso», «correzione», con riferimento all'espressione se non si vaneggia. Alcuni critici leggono correggér nel senso di «frate domenicano» e riferito a Tommaso stesso, detto così perché i frati del suo Ordine indossavano una correggia e non il cinto francescano (per cui i francescani erano detti cordiglieri).
Al v. 4 iura indica gli studi giuridici, mentre gli amforismi si rifanno agli studi medici (Aforismi era il titolo dell'opera di Ippocrate).
Al v. 13 ne lo è rima composta, da leggere «nèlo».
Il v. 26 propone la lez. nacque di contro a surse di X, 114, in quanto attestata da quasi tutti i mss. (non è strettamente necessario che Tommaso citi letteralmente le proprie parole).
Ai vv. 29-30 aspetto / creato vuol dire la vista di ogni creatura, umana o angelica.
La sposa del v. 32 è ovviamente la Chiesa, unita a Cristo (colui ch'ad altre grida / disposò lei col sangue benedetto).
Francesco e Domenico (vv. 37-39) sono paragonati rispettivamente a un Serafino e a un Cherubino, poiché proprio Tommaso nella Summa theol. (I q., LXIII) riconduceva l'etimologia dei due termini all'ardore di carità e alla sapienza. La stessa immagine si trova anche nella Legenda maior di san Bonaventura.
L'acqua del v. 43 è il fiume Chiascio, che scorre dal monte Ausciano (il colle) dove Ubaldo Baldassini si ritirò a vita eremitica nel XII sec.
I vv. 46-48 indicano che Perugia trae vantaggio dalla sua posizione, poiché il monte Subasio le rimanda il calore estivo e il freddo dell'inverno, mentre Nocera e Gualdo, che sorgono dal lato opposto del monte, sono in posizione svantaggiosa. Improbabile, come pure alcuni critici hanno ipotizzato, che Dante si riferisca al dominio politico di Perugia sulle due città.
Al v. 51 questo indica il Sole vero e proprio, che quando sorge nell'equinozio primaverile dal Gange (cioè, secondo la geografia del tempo, dall'estremo Oriente) è più luminoso e più benefico. Ciò spiega perché Assisi sia definita Oriente, avendo dato i natali a Francesco-Sole (la forma Ascesi era normale nella lingua dell'Italia centrale, anche se non si può escludere che Dante pensasse all'ascesi spirituale).
Al v. 55 orto è latinismo e vuol dire «nascita» (il latino ortus era spesso usato in riferimento al sorgere del Sole).
La spirital corte del v. 61 è il tribunale episcopale, di fronte al quale il padre di Francesco citò il figlio.
Il primo marito della Povertà (v. 64) è Gesù, che morendo sulla croce la lasciò vedova.
I vv. 67-69 si rifanno a Lucano, che nella Phars. (V, 519 ss.) racconta di un pescatore, Amiclàte, talmente povero da non temere di lasciare la porta della sua capanna aperta durante le scorrerie di Cesare (colui ch'a tutto 'l mondo fé paura) e Pompeo durante la guerra civile. Dante cita l'episodio anche in Conv., IV, 13.
Bernardo di Quintavalle (v. 79) fu, secondo Bonaventura, il primo discepolo del santo: fondò a Bologna nel 1211 il primo convento francescano e assistette alla morte del santo. Egidio e Silvestro (v. 83) furono altri suoi seguaci, uomo semplice e modesto il primo, prete di Assisi il secondo (in base a una leggenda, avrebbe seguito Francesco dopo un sogno in cui il santo difendeva Assisi minacciata da un terribile dragone).
I vv. 95-96 (la cui mirabil vita / meglio in gloria del ciel si canterebbe) indica prob. che la vita di Francesco dovrebbe essere elogiata non per la sua persona, ma per la gloria celeste; altri intendono un riferimento ai francescani corrotti (la sua vita si celebra in Cielo meglio di quanto non si faccia sulla Terra).
Al v. 97 redimita è latinismo e vuol dire «coronata», mentre al v. 99 archimandrita è grecismo e significa «pastore». Entrambi i termini impreziosiscono notevolmente il linguaggio di Tommaso.
Il crudo sasso citato al v. 106 è il monte della Verna, sull'Appennino toscano, dove Francesco ricevette le stimmate.
Al v. 111 pusillo è latinismo e vuol dire «umile».
Il v. 137 va interpretato «vedrai da dove ha origine la corruzione dell'Ordine domenicano».
Al v. 138 corrègger è infinito sostantivato e significa «inciso», «correzione», con riferimento all'espressione se non si vaneggia. Alcuni critici leggono correggér nel senso di «frate domenicano» e riferito a Tommaso stesso, detto così perché i frati del suo Ordine indossavano una correggia e non il cinto francescano (per cui i francescani erano detti cordiglieri).
Testo O insensata cura de’ mortali,
quanto son difettivi silogismi quei che ti fanno in basso batter l’ali! 3 Chi dietro a iura, e chi ad amforismi sen giva, e chi seguendo sacerdozio, e chi regnar per forza o per sofismi, 6 e chi rubare, e chi civil negozio, chi nel diletto de la carne involto s’affaticava e chi si dava a l’ozio, 9 quando, da tutte queste cose sciolto, con Beatrice m’era suso in cielo cotanto gloriosamente accolto. 12 Poi che ciascuno fu tornato ne lo punto del cerchio in che avanti s’era, fermossi, come a candellier candelo. 15 E io senti’ dentro a quella lumera che pria m’avea parlato, sorridendo incominciar, faccendosi più mera: 18 «Così com’io del suo raggio resplendo, sì, riguardando ne la luce etterna, li tuoi pensieri onde cagioni apprendo. 21 Tu dubbi, e hai voler che si ricerna in sì aperta e ‘n sì distesa lingua lo dicer mio, ch’al tuo sentir si sterna, 24 ove dinanzi dissi "U’ ben s’impingua", e là u’ dissi "Non nacque il secondo"; e qui è uopo che ben si distingua. 27 La provedenza, che governa il mondo con quel consiglio nel quale ogne aspetto creato è vinto pria che vada al fondo, 30 però che andasse ver’ lo suo diletto la sposa di colui ch’ad alte grida disposò lei col sangue benedetto, 33 in sé sicura e anche a lui più fida, due principi ordinò in suo favore, che quinci e quindi le fosser per guida. 36 L’un fu tutto serafico in ardore; l’altro per sapienza in terra fue di cherubica luce uno splendore. 39 De l’un dirò, però che d’amendue si dice l’un pregiando, qual ch’om prende, perch’ad un fine fur l’opere sue. 42 Intra Tupino e l’acqua che discende del colle eletto dal beato Ubaldo, fertile costa d’alto monte pende, 45 onde Perugia sente freddo e caldo da Porta Sole; e di rietro le piange per grave giogo Nocera con Gualdo. 48 Di questa costa, là dov’ella frange più sua rattezza, nacque al mondo un sole, come fa questo tal volta di Gange. 51 Però chi d’esso loco fa parole, non dica Ascesi, ché direbbe corto, ma Oriente, se proprio dir vuole. 54 Non era ancor molto lontan da l’orto, ch’el cominciò a far sentir la terra de la sua gran virtute alcun conforto; 57 ché per tal donna, giovinetto, in guerra del padre corse, a cui, come a la morte, la porta del piacer nessun diserra; 60 e dinanzi a la sua spirital corte et coram patre le si fece unito; poscia di dì in dì l’amò più forte. 63 Questa, privata del primo marito, millecent’anni e più dispetta e scura fino a costui si stette sanza invito; 66 né valse udir che la trovò sicura con Amiclàte, al suon de la sua voce, colui ch’a tutto ‘l mondo fé paura; 69 né valse esser costante né feroce, sì che, dove Maria rimase giuso, ella con Cristo pianse in su la croce. 72 Ma perch’io non proceda troppo chiuso, Francesco e Povertà per questi amanti prendi oramai nel mio parlar diffuso. 75 La lor concordia e i lor lieti sembianti, amore e maraviglia e dolce sguardo facieno esser cagion di pensier santi; 78 tanto che ‘l venerabile Bernardo si scalzò prima, e dietro a tanta pace corse e, correndo, li parve esser tardo. 81 Oh ignota ricchezza! oh ben ferace! Scalzasi Egidio, scalzasi Silvestro dietro a lo sposo, sì la sposa piace. 84 Indi sen va quel padre e quel maestro con la sua donna e con quella famiglia che già legava l’umile capestro. 87 Né li gravò viltà di cuor le ciglia per esser fi’ di Pietro Bernardone, né per parer dispetto a maraviglia; 90 ma regalmente sua dura intenzione ad Innocenzio aperse, e da lui ebbe primo sigillo a sua religione. 93 Poi che la gente poverella crebbe dietro a costui, la cui mirabil vita meglio in gloria del ciel si canterebbe, 96 di seconda corona redimita fu per Onorio da l’Etterno Spiro la santa voglia d’esto archimandrita. 99 E poi che, per la sete del martiro, ne la presenza del Soldan superba predicò Cristo e li altri che ‘l seguiro, 102 e per trovare a conversione acerba troppo la gente e per non stare indarno, redissi al frutto de l’italica erba, 105 nel crudo sasso intra Tevero e Arno da Cristo prese l’ultimo sigillo, che le sue membra due anni portarno. 108 Quando a colui ch’a tanto ben sortillo piacque di trarlo suso a la mercede ch’el meritò nel suo farsi pusillo, 111 a’ frati suoi, sì com’a giuste rede, raccomandò la donna sua più cara, e comandò che l’amassero a fede; 114 e del suo grembo l’anima preclara mover si volle, tornando al suo regno, e al suo corpo non volle altra bara. 117 Pensa oramai qual fu colui che degno collega fu a mantener la barca di Pietro in alto mar per dritto segno; 120 e questo fu il nostro patriarca; per che qual segue lui, com’el comanda, discerner puoi che buone merce carca. 123 Ma ‘l suo pecuglio di nova vivanda è fatto ghiotto, sì ch’esser non puote che per diversi salti non si spanda; 126 e quanto le sue pecore remote e vagabunde più da esso vanno, più tornano a l’ovil di latte vòte. 129 Ben son di quelle che temono ‘l danno e stringonsi al pastor; ma son sì poche, che le cappe fornisce poco panno. 132 Or, se le mie parole non son fioche, se la tua audienza è stata attenta, se ciò ch’è detto a la mente revoche, 135 in parte fia la tua voglia contenta, perché vedrai la pianta onde si scheggia, e vedra’ il corrègger che argomenta "U’ ben s’impingua, se non si vaneggia"». 139 |
ParafrasiO desiderio folle degli uomini, quanto sono fallaci i ragionamenti che ti inducono a volgerti verso il basso (ai beni terreni)!
Chi seguiva gli studi giuridici, chi quelli medici, chi si dedicava al sacerdozio, chi cercava di regnare con la violenza o con l'inganno, chi rubava, chi si dedicava agli affari politici, chi si lasciava andare ai piaceri carnali, chi all'ozio, quando io, libero da tutte queste lusinghe, venivo accolto con Beatrice in Cielo in maniera così gloriosa. Dopo che ogni luce fu ritornata nel punto della corona in cui si trovava prima, si fermò, simile alla candela di un candelabro. E io sentii che dentro quella luce (san Tommaso) che prima mi aveva parlato, il beato ricominciava a parlare, perché sorridendo diventava più luminosa: «Poiché io risplendo del raggio della luce eterna (Dio), guardando in essa capisco da dove derivano le tue incertezze. Tu hai dei dubbi, e desideri che ti sia spiegato in un discorso aperto e chiaro quello che ho detto prima, in modo tale che sia comprensibile alla tua intelligenza, quando poco fa ho detto "Dove ci si arricchisce di beni spirituali" e quando ho detto "Non nacque un altro uguale"; e qui è necessario operare una distinzione. La Provvidenza, che guida il mondo con quella saggezza (di Dio) nella quale la vista di ogni creatura si perde prima di arrivare al fondo (è inconoscibile), affinché andasse verso il suo amato la sposa (Chiesa) di Colui (Cristo) che la sposò fra le alte grida col suo sangue benedetto (sulla croce), sicura si se stessa e ancora più fedele a Lui, dispose in suo favore due principi, che la guidassero da un lato e dall'altro. Uno (Francesco) fu pieno di ardore come i Serafini; l'altro (Domenico) per la sua saggezza in Terra fu uno splendore di luce come i Cherubini. Parlerò solo del primo, poiché elogiando uno dei due (qualunque si scelga) è come se si parlasse di entrambi, in quanto le loro opere ebbero il medesimo fine. Fra il fiume Topino e il Chiascio, che scorre dal monte Ausciano dove il beato Ubaldo pose il suo eremo, digrada la fertile costiera di un alto monte (il Subasio), dal quale Perugia sente il freddo e il caldo dal lato di Porta Sole; e dalla parte opposta piangono, perché in posizione più svantaggiosa, Nocera Umbra e Gualdo Tadino. Da questa costiera, nel punto in cui essa diventa meno ripida (ad Assisi), nacque un Sole per il mondo (Francesco) come questo (il Sole vero e proprio) talvolta nasce dal Gange. Dunque, chi parla di questo luogo, non lo chiami "Assisi", poiché direbbe poca cosa, ma lo chiami "Oriente", se proprio vuole parlarne. Non era ancora molto lontano dalla sua nascita, quando Francesco cominciò a riflettere in Terra la sua luminosa virtù; infatti, ancora giovane, si scontrò col padre per una donna (la Povertà) alla quale nessuno vuole unirsi, come se fosse la morte; e di fronte al tribunale episcopale e in presenza del padre le si unì in nozze; in seguito, l'amò sempre di più ogni giorno. Essa, privata del primo marito (Cristo), era rimasta per più di millecento anni da sola, disprezzata da tutti, fino a Francesco; non le servì che gli uomini udissero che Cesare, che fece paura a tutto il mondo, trovasse la Povertà sicura al suono della propria voce, insieme al pastore Amiclàte; e non le servì neppure essere fedele e fiera, al punto che, quando Maria rimase ai piedi della croce, lei invece pianse insieme allo sposo Cristo. Ma affinché io non parli in modo troppo oscuro, intendi in tutto il mio discorso che questi amanti furono Francesco e la Povertà. La loro concordia, il loro lieto aspetto, l'amore, la meraviglia e il loro dolce sguardo producevano negli altri dei santi pensieri; al punto che il venerabile Bernardo di Quintavalle fu il primo a togliersi le calzature e corse dietro a quella pace (seguì il santo) e, pur correndo, gli sembrava di essere lento. O ricchezza sconosciuta! o bene fecondo! Egidio e Silvestro si tolgono anch'essi i calzari e seguono lo sposo (Francesco), tanto piace la sposa (Povertà). In seguito quel padre e quel maestro se ne va (a Roma) con la sua donna e con la sua famiglia, che già cingeva i fianchi con l'umile cinto. E la viltà d'animo non gli fece abbassare lo sguardo, essendo figlio di Pietro Bernardone, né per essere tanto umile da suscitare meraviglia; ma svelò a papa Innocenzo III la sua severa Regola con atteggiamento regale, e da lui ebbe il primo avallo al suo Ordine. E dopo che i seguaci poveri aumentarono dietro a Francesco, la cui vita ammirevole si canterebbe meglio a gloria del Paradiso, la volontà santa di questo pastore venne coronata dallo Spirito Santo con una seconda corona, attraverso papa Onorio III. E dopo che, per desiderio del martirio, predicò Cristo e i suoi discepoli alla presenza superba del Sultano d'Egitto, e dopo che, avendo trovato quei popoli restii alla conversione e per non stare lì invano, era tornato in Italia, sul monte della Verna tra Tevere e Arno ricevette da Cristo l'ultimo sigillo (le stimmate), che il suo corpo portò per due anni. Quando a Dio, che l'aveva destinato a un tale bene, piacque di chiamarlo in Paradiso alla ricompensa che egli aveva meritato nel farsi umile, raccomandò ai suoi confratelli, come a legittimi eredi, la sua donna più cara (la Povertà) e comandò loro che l'amassero restandole fedeli; e dal grembo della Povertà la sua anima illustre volle muoversi, tornando in Paradiso, mentre al suo corpo non volle altra bara che non fosse la nuda terra. A questo punto puoi capire chi fu colui (san Domenico) che fu degno collega di Francesco nel mantenere la nave della Chiesa nella giusta rotta, in alto mare; e questo fu il nostro patriarca; e chi lo segue attenendosi alla sua Regola, non può che imbarcare buona merce (arricchirsi spiritualmente). Ma il suo gregge è diventato ghiotto di nuovi cibi (i beni terreni), per cui è inevitabile che si disperda in diversi pascoli; e quanto più le pecore se ne allontanano vagabonde, tanto più povere di latte tornano all'ovile. Certo, ce ne sono alcune che temono il danno e si tengono strette al pastore (seguono la Regola), ma sono così poche che serve poco panno a confezionare le loro cappe. Ora, se le mie parole non sono oscure, se mi hai ascoltato con attenzione, se richiami alla tua mente quanto ho detto prima, in parte il tuo desiderio sarà soddisfatto, perché vedrai da dove ha origine la corruzione dell'Ordine domenicano, e capirai la correzione che argomenta "Dove ci si arricchisce spiritualmente, se non si devia dalla Regola"». |