Giovanni XXII
Cameo di Giovanni XXII (foto: PHGCOM)
Al secolo Jaime Duesa (fr. Jacques Duèze), nacque a Cahors nel 1245 ca. Vescovo di Fréjus nel 1300, esperto giurista, ebbe la protezione di Carlo II d'Angiò e dopo essere stato vescovo di Avignone (1310) e cardinale (1312), divenne infine papa nel 1316 col nome di Giovanni XXII. Fu deciso persecutore degli Spirituali, condannando come eretica la dottrina della povertà assoluta di Cristo e degli apostoli (bolla Cum inter nonnullos, 1323) e mettendosi in urto anche con gli altri frati minori, tra cui il generale dell'Ordine francescano Michele da Cesena e Guglielmo di Occam. Fin dal 1317 aveva avocato a sé il giudizio sulla competizione tra tra Ludovico il Bavaro e Federico d'Austria per il trono imperiale, colpendo con la scomunica Cangrande Della Scala (1317) e il capo ghibellino Matteo Visconti, condannato poi come eretico. Nel 1327 riservò lo stesso trattamento al Bavaro, dopo aver confutato le dottrine che rivendicavano l'autonomia del potere temporale dalla Chiesa e che il sovrano tedesco aveva fatte proprie. Promultò le Clementine, le decretali di Clemente V e ne pubblicò venti sue, che furono chiamate Extravagantes Iohannis XXII; canonizzò Tommaso d'Aquino nel 1323. Morì ad Avignone nel 1334.
Dante lo cita senza nominarlo nell'invettiva di Par., XVIII, 130-136, dopo la grandiosa descrizione della figura dell'aquila formata dagli spiriti giusti del Cielo di Giove che simboleggia la giustizia: il poeta si rammarica che il malo essemplo dei papi corrotti induca gli uomini a comportarsi in modo scorretto e che la Chiesa sia deturpata dal commercio di cose sacre che i pontefici simoniaci praticano per arricchirsi; fra questi ultimi è colpito da una dura apostrofe Giovanni XXII, definito da Dante colui che scrive solo per cancellare, con allusione alla revoca dei benefici ecclesiastici al fine di incamerarne i proventi (meno probabile il riferimento alle scomuniche revocate in cambio di denaro, per cui non ci sono conferme storiche). Dante accusa indirettamente Giovanni di usare l'arma della scomunica per colpire i nemici politici, mentre un tempo si faceva guerra con le spade per difendere la fede (il poeta pensa quasi certamente alla scomunica contro Cangrande) e lo invita a pensare a Pietro e Paolo che hanno affrontato il martirio per la vigna che ora il pontefice guasta, ovvero la Chiesa che poco prima è stata definita il templo / che si murò di segni e di martìri. Il papa però, secondo Dante, pensa solo a san Giovanni Battista, la cui effigie campeggia sul fiorino di cui questo pontefice è avido, mentre non conosce Pietro e Paolo definiti sarcasticamente il pescator e Polo, mentre il Battista viene indicato come colui che volle viver solo / e che per salti fu tratto al martiro. Più avanti, nella dura invettiva dello stesso san Pietro contro la corruzione della Chiesa (XXVII, 58-60), viene detto che Caorsini e Guaschi si preparano a bere il sangue della Chiesa, ovvero a ricavarne indegnamente profitto, con allusione a Giovanni XXII (nativo di Cahors) e Clemente V, guascone. Si tenga presente, inoltre, che gli abitanti della città francese di Cahors avevano fama di essere usurai, come ricordato in Inf., XI, 50.
Dante lo cita senza nominarlo nell'invettiva di Par., XVIII, 130-136, dopo la grandiosa descrizione della figura dell'aquila formata dagli spiriti giusti del Cielo di Giove che simboleggia la giustizia: il poeta si rammarica che il malo essemplo dei papi corrotti induca gli uomini a comportarsi in modo scorretto e che la Chiesa sia deturpata dal commercio di cose sacre che i pontefici simoniaci praticano per arricchirsi; fra questi ultimi è colpito da una dura apostrofe Giovanni XXII, definito da Dante colui che scrive solo per cancellare, con allusione alla revoca dei benefici ecclesiastici al fine di incamerarne i proventi (meno probabile il riferimento alle scomuniche revocate in cambio di denaro, per cui non ci sono conferme storiche). Dante accusa indirettamente Giovanni di usare l'arma della scomunica per colpire i nemici politici, mentre un tempo si faceva guerra con le spade per difendere la fede (il poeta pensa quasi certamente alla scomunica contro Cangrande) e lo invita a pensare a Pietro e Paolo che hanno affrontato il martirio per la vigna che ora il pontefice guasta, ovvero la Chiesa che poco prima è stata definita il templo / che si murò di segni e di martìri. Il papa però, secondo Dante, pensa solo a san Giovanni Battista, la cui effigie campeggia sul fiorino di cui questo pontefice è avido, mentre non conosce Pietro e Paolo definiti sarcasticamente il pescator e Polo, mentre il Battista viene indicato come colui che volle viver solo / e che per salti fu tratto al martiro. Più avanti, nella dura invettiva dello stesso san Pietro contro la corruzione della Chiesa (XXVII, 58-60), viene detto che Caorsini e Guaschi si preparano a bere il sangue della Chiesa, ovvero a ricavarne indegnamente profitto, con allusione a Giovanni XXII (nativo di Cahors) e Clemente V, guascone. Si tenga presente, inoltre, che gli abitanti della città francese di Cahors avevano fama di essere usurai, come ricordato in Inf., XI, 50.
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