Paradiso, Canto V
G. Doré, Spiriti del II Cielo
"...Apri la mente a quel ch'io ti paleso
e fermalvi entro; ché non fa scienza,
sanza lo ritenere, avere inteso..."
"...Se mala cupidigia altro vi grida,
uomini siate, e non pecore matte,
sì che 'l Giudeo di voi tra voi non rida! ..."
...sì vid'io ben più di mille splendori
trarsi ver' noi, e in ciascun s'udia:
"Ecco chi crescerà li nostri amori"...
e fermalvi entro; ché non fa scienza,
sanza lo ritenere, avere inteso..."
"...Se mala cupidigia altro vi grida,
uomini siate, e non pecore matte,
sì che 'l Giudeo di voi tra voi non rida! ..."
...sì vid'io ben più di mille splendori
trarsi ver' noi, e in ciascun s'udia:
"Ecco chi crescerà li nostri amori"...
Argomento del Canto
Ancora nel I Cielo della Luna. Beatrice spiega a Dante il valore del voto e la possibilità di permutarne la materia. Ammonimento agli uomini. Ascesa al II Cielo di Mercurio: incontro con gli spiriti operanti per la gloria terrena, tra cui Giustiniano.
È il tardo pomeriggio di mercoledì 13 aprile (o 30 marzo) del 1300.
È il tardo pomeriggio di mercoledì 13 aprile (o 30 marzo) del 1300.
Beatrice spiega a Dante il valore del voto (1-33)
Beatrice spiega a Dante che se lei abbaglia la sua vista ciò non deve stupirlo, poiché la donna vede nella mente di Dio e quindi accresce il proprio splendore. Beatrice si rende conto che l'intelletto del poeta è illuminato dalla verità, la quale è il solo bene che possa sedurre l'animo umano, quindi si dice pronta a rispondere alla sua domanda circa la possibilità di riparare al voto inadempiuto. La donna spiega che la libera volontà è il dono più prezioso che Dio abbia fatto agli uomini e agli angeli, creature dotate di intelletto: ciò chiarisce l'alto valore del voto, purché sia fatto in modo tale da essere bene accetto a Dio, dal momento che il voto presuppone il sacrificio volontario della stessa volontà di chi lo pronuncia. Dunque nulla può essere offerto come compenso, poiché sarebbe come voler fare un'opera buona col provento di un furto.
Possibilità di permutare la materia del voto (34-63)
J. Flaxman, Dante e Beatrice
Beatrice ha ormai chiarito il punto principale, ma poiché la Chiesa talvolta dispensa dal voto pronunciato è necessaria un'ulteriore spiegazione: Dante è invitato ad ascoltare con attenzione e a tenere a mente ciò che Beatrice gli dirà. La donna spiega che l'essenza del voto consiste nella materia, cioè in quello che viene offerto, e nel patto che si stipula con Dio. Quest'ultimo non può mai essere cancellato, come detto prima, per cui agli Ebrei fu imposto di provvedere ai sacrifici, pur essendo prevista talvolta la permuta di ciò che si doveva immolare. La materia del voto, invece, può essere cambiata, a condizione tuttavia che ciò sia consentito dall'autorità della Chiesa e che la materia sia sostituita con una cosa più preziosa. In ogni caso, se la cosa promessa ha un valore superiore a qualunque altra, la permuta non è permessa.
Ammonimento agli uomini sul voto (64-84)
L. Bramer, Sacrificio di Ifigenia (XVII sec.)
Beatrice rivolge un severo monito agli uomini, affinché non prendano alla leggera l'importanza del voto: essi devono mantenere i voti fatti ed essere oculati e prudenti nel compierli, non comportandosi come Iefte che sacrificò la propria figlia o come Agamennone che fece la stessa cosa con Ifigenia per soddisfare la promessa agli dei. I Cristiani devono essere più ponderati e non pronunciare i voti con troppa leggerezza: meglio attenersi alle Sacre Scritture e all'autorità della Chiesa, sufficienti per ottenere la salvezza. Gli uomini non devono farsi trascinare dalla cupidigia come pecore matte, o come l'agnello che lascia il latte della madre, inducendo il Giudeo che vive tra loro a ridere dei loro atti.
Ascesa al II Cielo di Mercurio (85-99)
Beatrice pone fine alle sue parole e guarda in alto, mutando il proprio aspetto e dissuadendo così Dante dal porre nuove domande. I due ascendono al II Cielo di Mercurio, veloci come una freccia che giunge a bersaglio prima che la corda dell'arco smetta di vibrare: una volta qui, Dante vede Beatrice accrescere la propria letizia, così che il pianeta sembra aumentare il proprio splendore.
Ascesa al II Cielo di Mercurio (85-99)
Beatrice pone fine alle sue parole e guarda in alto, mutando il proprio aspetto e dissuadendo così Dante dal porre nuove domande. I due ascendono al II Cielo di Mercurio, veloci come una freccia che giunge a bersaglio prima che la corda dell'arco smetta di vibrare: una volta qui, Dante vede Beatrice accrescere la propria letizia, così che il pianeta sembra aumentare il proprio splendore.
Incontro con gli spiriti del II Cielo (100-139)
S. Dalì, Gli spiriti del II Cielo
Il poeta vede più di mille anime farsi avanti, simili ai pesci che in
una peschiera si avvicinano al pelo dell'acqua per mangiare, tutte
luminose e ognuna intenta a dire che Dante accrescerà la loro carità (sono gli spiriti operanti per la gloria terrena). Dante desidera ardentemente parlare con essi e apprendere la loro condizione, come il lettore desidera sapere cosa accadrà in seguito: una delle anime (quella di Giustiniano) si rivolge a Dante e lo esorta a domandare, poiché sarà per lui una gioia potergli rispondere. Beatrice a sua volta invita il poeta a parlare e a credere a quanto udirà dai beati: Dante si rivolge allo spirito e osserva che la sua figura è avvolta dalla luce, che aumenta all'aumentare della sua letizia, quindi gli chiede chi sia e perché gli appaia proprio in questo Cielo. La luce dell'anima si fa più splendente, nascondendo la figura all'interno come fa il sole quando è troppo intenso e non consente di guardarlo, poi il beato inizia il suo discorso.
Interpretazione complessiva
Il Canto è strutturalmente diviso in due parti, la prima delle quali è dedicata al problema del voto e della possibilità di cambiarne la materia, la seconda descrive l'ascesa al II Cielo e l'incontro con gli spiriti che operarono per la gloria terrena, tra cui l'imperatore Giustiniano. L'ampiezza della trattazione del problema del voto può sembrare sproporzionata rispetto alla questione in sé, ma è chiaro che per Dante si tratta di un problema assai delicato che, tra l'altro, ha pesanti implicazioni nella condotta della Chiesa, per l'eccessiva facilità con cui dai voti si veniva dispensati dietro pagamento: l'importanza della questione è dimostrata dal solenne inizio del Canto, con Beatrice che giustifica l'abbagliamento della vita di Dante con l'acume della sua visione di Dio, la quale si riverbera sull'intelletto del poeta che, per questo, desidera conoscere nuove cose (il discorso della donna è definito, non a caso, processo santo). In effetti Dante si dimostra assai rigoroso nell'interpretazione teologica del voto, anche più dello stesso san Tommaso d'Aquino che a riguardo aveva ammesso varie eccezioni: egli distingue tra la materia del voto, cioè la cosa promessa a Dio, e la convenenza, il patto sottoscritto tra il fedele e Dio, affermando che quest'ultimo non può mai venir meno per la natura stessa del voto. Pronunciando i voti, infatti, gli uomini fanno liberamente sacrificio della propria libera volontà, che è il dono più prezioso che Dio ha fatto loro, quindi in teoria nulla può essere offerto in compenso che sia di valore equivalente. Dante sottolinea che la cosa offerta deve essere un'azione virtuosa e deve avere un fine nobile, quindi condanna decisamente quei voti fatti per ottenere scopi malvagi o che coinvolgono la volontà di altri loro malgrado: è tuttavia ammissibile che la materia del voto subisca una permuta, sia cioè sostituita da qualcos'altro, a condizione però che ciò riceva l'avallo ufficiale della Chiesa (attraverso l'immagine simbolica delle due chiavi bianca e gialla, che raffigurano l'autorità del sacerdote) e che la sostituzione avvenga con qualcosa di più prezioso della cosa promessa in un primo momento, tranne nei casi in cui la materia del voto è troppo preziosa per ammettere qualunque permuta. Dante vuole polemizzare anzitutto con la Chiesa, troppo incline a consentire simili «permute» o a dispensare addirittura dai voti in cambio di offerte e denaro, specie per iniziativa dei canonisti e dei decretalisti che fornivano interpretazioni capziose del diritto sacro dietro pagamento (è la stessa accusa che Folchetto di Marsiglia rivolgerà alla fine del Canto IX, condannando il maladetto fiore come la moneta che ha diffuso la corruzione tra il clero); la sua accusa è però anche rivolta contro i fedeli stessi, troppo pronti a pronunciare voti nella speranza di salvarsi l'anima e a promettere cose malvage o che arrecano danno a terzi. Il severo monito di Beatrice a conclusione del suo ragionamento è rivolto proprio ai Cristiani, che devono evitare di pronunciare i voti con troppa leggerezza, come fecero Iefte e Agamennone costretti poi a uccidere le rispettive figlie pur di adempiere alla promessa (e quelli erano voti inammissibili, sia per il fine perseguito che per la cosa promessa a Dio e agli dei), e non devono pensare che il voto sia una facile scorciatoia per lavarsi la coscienza, poiché la strada per la salvezza passa per un percorso di purificazione ben più faticoso e accidentato. I due esempi evangelici delle pecore matte e dell'agnello «sbandato», che lascia cioè il latte della madre e se ne allontana a suo danno, servono a richiamare i fedeli all'osservanza delle regole e soprattutto della Sacra Scrittura, contenendo anche un implicito rimprovero al pastore del gregge (nel caso della Chiesa, al papa e alle gerarchie ecclesiastiche) che deve vigilare affinché non ci sia un abuso dell'istituto del voto ed evitare che ciò diventi occasione per lucrare sulla malafede e sulla leggerezza dei fedeli.
La parte finale del Canto introduce al II Cielo di Mercurio in cui Dante e Beatrice entrano rapidissimi, con l'accresciuta bellezza della donna che ne è il segno tangibile e dona maggiore splendore al pianeta stesso, come altrove vedremo accadere nella Cantica. Rispetto agli spiriti del I Cielo, i beati che appaiono qui a Dante non hanno una figura umana ma sono delle sagome totalmente avvolte dalla luce, a malapena distinguibili all'occhio: uno di loro si rivolge a Dante e lo prega di rivolgergli qualunque domanda, poiché la loro più grande gioia sarà quella di rispondergli e chiarire così ogni suo dubbio. L'anima è quella di Giustiniano, che sarà protagonista assoluto del Canto seguente in cui risponderà alle due domande poste da Dante alla fine di questo, ovvero il suo nome e quale sia la condizione dei beati che appaiono in questo Cielo: il Canto si chiude con l'aumentato splendore della luce che avvolge lo spirito, segno dell'accresciuta letizia e del fatto che egli sorride (è un espediente stilistico usato spesso da Dante nel Paradiso), per cui la sua figura è offuscata dalla luce e scompare nel momento in cui si accinge a parlare, preannunciando il discorso che sarà al centro del Canto VI.
La parte finale del Canto introduce al II Cielo di Mercurio in cui Dante e Beatrice entrano rapidissimi, con l'accresciuta bellezza della donna che ne è il segno tangibile e dona maggiore splendore al pianeta stesso, come altrove vedremo accadere nella Cantica. Rispetto agli spiriti del I Cielo, i beati che appaiono qui a Dante non hanno una figura umana ma sono delle sagome totalmente avvolte dalla luce, a malapena distinguibili all'occhio: uno di loro si rivolge a Dante e lo prega di rivolgergli qualunque domanda, poiché la loro più grande gioia sarà quella di rispondergli e chiarire così ogni suo dubbio. L'anima è quella di Giustiniano, che sarà protagonista assoluto del Canto seguente in cui risponderà alle due domande poste da Dante alla fine di questo, ovvero il suo nome e quale sia la condizione dei beati che appaiono in questo Cielo: il Canto si chiude con l'aumentato splendore della luce che avvolge lo spirito, segno dell'accresciuta letizia e del fatto che egli sorride (è un espediente stilistico usato spesso da Dante nel Paradiso), per cui la sua figura è offuscata dalla luce e scompare nel momento in cui si accinge a parlare, preannunciando il discorso che sarà al centro del Canto VI.
Note e passi controversi
Nei vv. 4-6 Beatrice intende dire probabilmente che la perfetta visione di Dio da parte sua accresce il proprio splendore, il che ha causato l'abbagliamento di Dante; altri intendono pefetto veder come riferito a Dante stesso, ma è ipotesi meno convincente.
Al v. 15 letigio vuol dire «controversia» e indica forse che l'anima non avrà motivo di dibattere con la giustizia divina (meno probabile che significhi «contrasto con se stessa»).
Al v. 16 canto significa probabilmente «l'argomento di questo canto», o forse indica che le parole di Beatrice suonano melodiose.
Il v. 29 indica che con il voto si fa vittima, cioè «sacrificio» della libera volontà.
Il v. 33 significa «vuoi fare un'opera buona (buon lavoro) con il mal tolto, col frutto di una rapina (maltolletto)». Quest'ultima forma deriva dal lat. med. maletollettum, «maltolto», «refurtiva».
Quella / di che si fa (vv. 44-45) è la cosa promessa, ovvero la materia del voto; la convenenza (v. 45) è il patto con Dio.
I vv. 49-51 alludono alla necessità per gli Ebrei dei sacrifici e della possibilità di modificare le offerte (Lev., XXVII, 1-33).
I vv. 56-57 si riferiscono all'autorità sacerdotale e della Chiesa, simboleggiata dalle due chiavi bianca e gialla (già citate in Purg., IX, 117 ss.); la necessità dell'avallo ufficiale per la permuta del voto è ribadita da san Tommaso, Summa theol., II-IIae, q. 88).
I vv. 59-60 vogliono dire «se la cosa lasciata non è contenuta in quella scambiata come il quattro nel sei» (il Levitico fissava l'aggiunta di un quinto alle offerte permutate).
Il v. 66 allude al racconto biblico di Iefte, giudice di Israele che, durante la guerra con gli Ammoniti, fece voto di sacrificare a Dio in caso di vittoria ciò che per primo fosse uscito di casa e gli fosse venuto incontro; fu poi costretto a immolare la sua unica figlia (Iud., XI, 39-40). L'espressione prima mancia non è molto chiara, potendo indicare la prima cosa promessa in dono, oppure il primo scontro col nemico (dall'ant. fr. manche, «assalto»).
I vv. 68-72 si riferiscono al mito di Agamennone, che promise di sacrificare a Diana ciò che quell'anno fosse nato di più bello in cambio dei venti favorevoli alla flotta dei Greci in Aulide, dovendo poi uccidere la figlia Ifigenia. Tra le molti fonti dantesche, la più probabile è Cicerone, De officiis, III, 25.
Il v. 75 non è di chiara interpretazione e può voler dire «non crediate che far voti basti a salvarvi l'anima», oppure «non crediate che dai voti possiate essere dispensati tanto facilmente».
L'espressione mala cupidigia (v. 79) può riferirsi agli uomini, che fanno voti per i motivi più superficiali e abietti, ma anche alla Chiesa che in cambio di denaro dispensa con leggerezza dai voti.
Le pecore matte (v. 80) sono probabilmente le pecore affette da un disturbo nervoso chiamato «capostorno», che induce queste bestie a compiere salti e strani movimenti. La metafora dell'agnello sbandato (vv. 82-84) è invece frequente nel linguagio evangelico e sarà usata anche in XI, 124-131 per indicare i frati che si discostano dalla regola del proprio Ordine.
Il v. 87 non è chiarissimo e indica forse semplicemente che Beatrice guarda verso l'alto (verso il Sole o il Cielo successivo).
Al v. 111 carizia significa «miseria spirituale» e non semplicemente «mancanza», «desiderio» come solitamente si interpreta.
Al v. 117 milizia indica la vita terrena, in cui i Cristiani sono appunto «militanti», mentre i beati sono «trionfanti».
La spera / che si vela ai mortai con altrui raggi (vv. 128-129) è naturalmente Mercurio, detto così perché è il pianeta più vicino al Sole.
Il v. 139 si chiude con una paronomàsia (canto / canta).
Al v. 15 letigio vuol dire «controversia» e indica forse che l'anima non avrà motivo di dibattere con la giustizia divina (meno probabile che significhi «contrasto con se stessa»).
Al v. 16 canto significa probabilmente «l'argomento di questo canto», o forse indica che le parole di Beatrice suonano melodiose.
Il v. 29 indica che con il voto si fa vittima, cioè «sacrificio» della libera volontà.
Il v. 33 significa «vuoi fare un'opera buona (buon lavoro) con il mal tolto, col frutto di una rapina (maltolletto)». Quest'ultima forma deriva dal lat. med. maletollettum, «maltolto», «refurtiva».
Quella / di che si fa (vv. 44-45) è la cosa promessa, ovvero la materia del voto; la convenenza (v. 45) è il patto con Dio.
I vv. 49-51 alludono alla necessità per gli Ebrei dei sacrifici e della possibilità di modificare le offerte (Lev., XXVII, 1-33).
I vv. 56-57 si riferiscono all'autorità sacerdotale e della Chiesa, simboleggiata dalle due chiavi bianca e gialla (già citate in Purg., IX, 117 ss.); la necessità dell'avallo ufficiale per la permuta del voto è ribadita da san Tommaso, Summa theol., II-IIae, q. 88).
I vv. 59-60 vogliono dire «se la cosa lasciata non è contenuta in quella scambiata come il quattro nel sei» (il Levitico fissava l'aggiunta di un quinto alle offerte permutate).
Il v. 66 allude al racconto biblico di Iefte, giudice di Israele che, durante la guerra con gli Ammoniti, fece voto di sacrificare a Dio in caso di vittoria ciò che per primo fosse uscito di casa e gli fosse venuto incontro; fu poi costretto a immolare la sua unica figlia (Iud., XI, 39-40). L'espressione prima mancia non è molto chiara, potendo indicare la prima cosa promessa in dono, oppure il primo scontro col nemico (dall'ant. fr. manche, «assalto»).
I vv. 68-72 si riferiscono al mito di Agamennone, che promise di sacrificare a Diana ciò che quell'anno fosse nato di più bello in cambio dei venti favorevoli alla flotta dei Greci in Aulide, dovendo poi uccidere la figlia Ifigenia. Tra le molti fonti dantesche, la più probabile è Cicerone, De officiis, III, 25.
Il v. 75 non è di chiara interpretazione e può voler dire «non crediate che far voti basti a salvarvi l'anima», oppure «non crediate che dai voti possiate essere dispensati tanto facilmente».
L'espressione mala cupidigia (v. 79) può riferirsi agli uomini, che fanno voti per i motivi più superficiali e abietti, ma anche alla Chiesa che in cambio di denaro dispensa con leggerezza dai voti.
Le pecore matte (v. 80) sono probabilmente le pecore affette da un disturbo nervoso chiamato «capostorno», che induce queste bestie a compiere salti e strani movimenti. La metafora dell'agnello sbandato (vv. 82-84) è invece frequente nel linguagio evangelico e sarà usata anche in XI, 124-131 per indicare i frati che si discostano dalla regola del proprio Ordine.
Il v. 87 non è chiarissimo e indica forse semplicemente che Beatrice guarda verso l'alto (verso il Sole o il Cielo successivo).
Al v. 111 carizia significa «miseria spirituale» e non semplicemente «mancanza», «desiderio» come solitamente si interpreta.
Al v. 117 milizia indica la vita terrena, in cui i Cristiani sono appunto «militanti», mentre i beati sono «trionfanti».
La spera / che si vela ai mortai con altrui raggi (vv. 128-129) è naturalmente Mercurio, detto così perché è il pianeta più vicino al Sole.
Il v. 139 si chiude con una paronomàsia (canto / canta).
Testo
«S’io ti fiammeggio nel
caldo d’amore
di là dal modo che ‘n terra si vede, sì che del viso tuo vinco il valore, 3 non ti maravigliar; ché ciò procede da perfetto veder, che, come apprende, così nel bene appreso move il piede. 6 Io veggio ben sì come già resplende ne l’intelletto tuo l’etterna luce, che, vista, sola e sempre amore accende; 9 e s’altra cosa vostro amor seduce, non è se non di quella alcun vestigio, mal conosciuto, che quivi traluce. 12 Tu vuo’ saper se con altro servigio, per manco voto, si può render tanto che l’anima sicuri di letigio». 15 Sì cominciò Beatrice questo canto; e sì com’uom che suo parlar non spezza, continuò così ‘l processo santo: 18 «Lo maggior don che Dio per sua larghezza fesse creando, e a la sua bontate più conformato, e quel ch’e’ più apprezza, 21 fu de la volontà la libertate; di che le creature intelligenti, e tutte e sole, fuoro e son dotate. 24 Or ti parrà, se tu quinci argomenti, l’alto valor del voto, s’è sì fatto che Dio consenta quando tu consenti; 27 ché, nel fermar tra Dio e l’uomo il patto, vittima fassi di questo tesoro, tal quale io dico; e fassi col suo atto. 30 Dunque che render puossi per ristoro? Se credi bene usar quel c’hai offerto, di maltolletto vuo’ far buon lavoro. 33 Tu se’ omai del maggior punto certo; ma perché Santa Chiesa in ciò dispensa, che par contra lo ver ch’i’ t’ho scoverto, 36 convienti ancor sedere un poco a mensa, però che ‘l cibo rigido c’hai preso, richiede ancora aiuto a tua dispensa. 39 Apri la mente a quel ch’io ti paleso e fermalvi entro; ché non fa scienza, sanza lo ritenere, avere inteso. 42 Due cose si convegnono a l’essenza di questo sacrificio: l’una è quella di che si fa; l’altr’è la convenenza. 45 Quest’ultima già mai non si cancella se non servata; e intorno di lei sì preciso di sopra si favella: 48 però necessitato fu a li Ebrei pur l’offerere, ancor ch’alcuna offerta sì permutasse, come saver dei. 51 L’altra, che per materia t’è aperta, puote ben esser tal, che non si falla se con altra materia si converta. 54 Ma non trasmuti carco a la sua spalla per suo arbitrio alcun, sanza la volta e de la chiave bianca e de la gialla; 57 e ogne permutanza credi stolta, se la cosa dimessa in la sorpresa come ‘l quattro nel sei non è raccolta. 60 Però qualunque cosa tanto pesa per suo valor che tragga ogne bilancia, sodisfar non si può con altra spesa. 63 Non prendan li mortali il voto a ciancia; siate fedeli, e a ciò far non bieci, come Ieptè a la sua prima mancia; 66 cui più si convenia dicer ‘Mal feci’, che, servando, far peggio; e così stolto ritrovar puoi il gran duca de’ Greci, 69 onde pianse Efigènia il suo bel volto, e fé pianger di sé i folli e i savi ch’udir parlar di così fatto cólto. 72 Siate, Cristiani, a muovervi più gravi: non siate come penna ad ogne vento, e non crediate ch’ogne acqua vi lavi. 75 Avete il novo e ‘l vecchio Testamento, e ‘l pastor de la Chiesa che vi guida; questo vi basti a vostro salvamento. 78 Se mala cupidigia altro vi grida, uomini siate, e non pecore matte, sì che ‘l Giudeo di voi tra voi non rida! 81 Non fate com’agnel che lascia il latte de la sua madre, e semplice e lascivo seco medesmo a suo piacer combatte!». 84 Così Beatrice a me com’io scrivo; poi si rivolse tutta disiante a quella parte ove ‘l mondo è più vivo. 87 Lo suo tacere e ‘l trasmutar sembiante puoser silenzio al mio cupido ingegno, che già nuove questioni avea davante; 90 e sì come saetta che nel segno percuote pria che sia la corda queta, così corremmo nel secondo regno. 93 Quivi la donna mia vid’io sì lieta, come nel lume di quel ciel si mise, che più lucente se ne fé ‘l pianeta. 96 E se la stella si cambiò e rise, qual mi fec’io che pur da mia natura trasmutabile son per tutte guise! 99 Come ‘n peschiera ch’è tranquilla e pura traggonsi i pesci a ciò che vien di fori per modo che lo stimin lor pastura, 102 sì vid’io ben più di mille splendori trarsi ver’ noi, e in ciascun s’udìa: «Ecco chi crescerà li nostri amori». 105 E sì come ciascuno a noi venìa, vedeasi l’ombra piena di letizia nel folgór chiaro che di lei uscia. 108 Pensa, lettor, se quel che qui s’inizia non procedesse, come tu avresti di più savere angosciosa carizia; 111 e per te vederai come da questi m’era in disio d’udir lor condizioni, sì come a li occhi mi fur manifesti. 114 «O bene nato a cui veder li troni del triunfo etternal concede grazia prima che la milizia s’abbandoni, 117 del lume che per tutto il ciel si spazia noi semo accesi; e però, se disii di noi chiarirti, a tuo piacer ti sazia». 120 Così da un di quelli spirti pii detto mi fu; e da Beatrice: «Dì, dì sicuramente, e credi come a dii». 123 «Io veggio ben sì come tu t’annidi nel proprio lume, e che de li occhi il traggi, perch’e’ corusca sì come tu ridi; 126 ma non so chi tu se’, né perché aggi, anima degna, il grado de la spera che si vela a’ mortai con altrui raggi». 129 Questo diss’io diritto alla lumera che pria m’avea parlato; ond’ella fessi lucente più assai di quel ch’ell’era. 132 Sì come il sol che si cela elli stessi per troppa luce, come ‘l caldo ha róse le temperanze d’i vapori spessi, 135 per più letizia sì mi si nascose dentro al suo raggio la figura santa; e così chiusa chiusa mi rispuose nel modo che ‘l seguente canto canta. 139 |
Parafrasi«Se io ti abbaglio con la luce del mio amore al di là del modo consueto sulla Terra, così che vinco la tua potenza visiva, non ti stupire; infatti, questo accade per la mia perfetta visione di Dio, che quanto più percepisce la luce divina, tanto più si addentra nel bene percepito.
Io vedo bene come ormai risplende nel tuo intelletto la luce eterna di Dio, che è la sola ad accendere il desiderio di sé non appena viene vista; e se qualche altra cosa terrena attrae il vostro amore, è solo qualche traccia di quella luce che traspare in essa ed è mal conosciuta. Tu vuoi sapere se si può contraccambiare un voto mancato con un'altra opera buona, quel tanto che basti a evitare all'anima una controversia con Dio». Così Beatrice iniziò questo canto; e come l'uomo che non interrompe il suo discorso, continuò in tal modo il suo ragionamento pieno di santità: «Il più grande dono che Dio, per sua generosità, fece creando l'uomo, e quello più conforme alla sua bontà, e quello che Lui più apprezza, fu la libera volontà; di essa tutte le creature intelligenti (uomini e angeli), e solo loro, sono dotate. Ora, se rifletti su questo, capirai l'alto valore del voto, purché sia fatto in modo tale che sia bene accetto a Dio ed abbia il consenso di chi lo pronuncia; infatti, quando l'uomo e Dio sottoscrivono il patto, si fa sacrificio di questo tesoro (la libera volontà) di cui parlo, e lo si fa in modo del tutto volontario. Dunque, cosa mai si potrebbe dare in cambio di esso? Se tu volessi usare ciò che hai offerto, è come se volessi fare una buona opera coi proventi di un furto. Tu sei ormai certo riguardo il punto principale; ma poiché la Santa Chiesa talvolta dispensa dai voti, il che sembra contraddire quanto ti ho appena detto, è bene che tu sieda ancora un poco a mensa (che ascolti ulteriori spiegazioni), poiché devi essere aiutato a digerire il cibo pesante che hai ingerito (la mia difficile e complessa spiegazione). Apri la mente a quello che ti spiego e fissalo nella memoria; infatti l'aver ascoltato non produce conoscenza, se non si rammenta. Due cose formano l'essenza di questo sacrificio (del voto): una è la cosa che viene offerta, l'altra è il patto tra uomo e Dio. Quest'ultimo non si può mai cancellare, se non viene rispettato; e di questo ti ho già parlato con precisione poc'anzi: per questo fu imposto agli Ebrei di fare le offerte, anche se (come devi sapere) alcune offerte venivano permutate. L'altra cosa, che ti ho spiegato essere la materia del voto, può tuttavia essere scambiata con qualcos'altro senza commettere peccato. Ma nessuno osi cambiare il carico sulle sue spalle (permutare la materia del voto) a suo capriccio, senza l'avallo dell'autorità ecclesiastica; e giudica scorretta ogni permutazione in cui la cosa lasciata non sia contenuta in quella scambiata come il quattro è contenuto nel sei. Perciò, qualunque cosa è tanto preziosa da non avere alcun termine di paragone, non può essere scambiata con nient'altro. Gli uomini non prendano il voto alla leggera; siate fedeli e non siate sconsiderati, come fu Iefte nella sua prima offerta, al quale sarebbe stato meglio dire 'Ho sbagliato', piuttosto che far peggio osservando il voto; e fu altrettanto stolto anche il comandante dei Greci (Agamennone), per cui la figlia Ifigenia rimpianse la sua bellezza e fece piangere tutti coloro che udirono parlare di un simile culto. O Cristiani, siate più prudenti nel pronunciare i voti: non siate piume che si muovono a ogni vento e non crediate che ogni acqua possa lavarvi. Avete il Nuovo e il Vecchio Testamento e il pastore della Chiesa (il papa) che vi guida; questo vi basti per condurvi alla salvezza. Se un desiderio malvagio vi suggerisce altro, siate uomini e non pecore matte, così che il Giudeo che vive tra voi non rida del vostro comportamento! Non fate come l'agnello sbandato, che lascia il latte della madre e, semplice e irrequieto, combatte da solo a suo danno!». Così mi disse Beatrice come io ne scrivo; poi si rivolse, piena di desiderio, a quella parte (l'alto?) dove il mondo è più luminoso. Il suo silenzio e il fatto che cambiò aspetto fecero tacere il mio avido ingegno, che già si proponeva nuove domande; e rapidi come una freccia che colpisce il bersaglio prima che la corda dell'arco smetta di vibrare, così salimmo al II Cielo. Qui vidi la mia donna così felice, non appena entrò nell'astro di quel Cielo, che il pianeta stesso divenne più lucente. E se la stella si trasformò e rise, figuriamoci come potei fare io che, per la mia natura mortale, sono soggetto a ogni tipo di mutamento! Come in una peschiera calma e tersa i pesci si avvicinano al pelo dell'acqua, credendo che ciò che viene dall'esterno sia il loro cibo, così io vidi più di mille luci venire verso di noi e dentro ciascuna si sentiva: «Ecco chi accrescerà il nostro ardore di carità». E non appena ciascuna luce veniva verso di noi, si vedeva l'ombra piena di gioia avvolta dal chiaro splendore che usciva da essa. Se quel che ho iniziato a descrivere non andasse avanti, pensa, o lettore, come tu saresti spiritualmente misero, desiderando con angoscia di sapere di più; e (se penserai questo) capirai da solo come io desiderassi sapere della loro condizione, non appena apparvero ai miei occhi. «O spirito fortunato, a cui la grazia divina concede di vedere i seggi del trionfo eterno (il Paradiso) prima di aver abbandonato la milizia terrena (mentre sei ancora vivo), noi siamo accesi della luce che si diffonde in tutto il cielo; dunque, se desideri avere dei chiarimenti su di noi, domanda pure senza esitare». Così mi fu detto da uno di quegli spiriti santi; e Beatrice aggiunse: «Parla, parla senza timore, e credi a ciò che ti diranno come se lo sentissi da Dio stesso». «Io vedo bene come tu ti nascondi nella tua stessa luce, e che essa nasce dal tuo sguardo, perché diventa più intensa quando tu sorridi; ma non so chi sei, né perché occupi, anima degna, il grado del Cielo (di Mercurio) che è velato agli uomini dai raggi del Sole». Questo io dissi rivolto alla luce che prima mi aveva parlato; per cui essa diventò assai più lucente di quanto fosse prima. Come il Sole che si nasconde alla vista per la troppa luce, non appena il calore ha dissolto gli spessi vapori che talvolta lo cingono e permettono di guardarlo, così la santa figura del beato si celò al mio sguardo per l'accresciuta letizia; e così, avvolta dalla luce, mi rispose nel modo che è descritto dal Canto seguente. |