Paradiso, Canto XXXI
G. Doré, La moltitudine degli angeli
Questo sicuro e gaudioso regno,
frequente in gente antica e in novella,
viso e amore avea tutto ad un segno...
"...Tu m'hai di servo tratto a libertate
per tutte quelle vie, per tutt'i modi
che di ciò fare avei la potestate..."
Bernardo, come vide li occhi miei
nel caldo suo caler fissi e attenti,
li suoi con tanto affetto volse a lei...
frequente in gente antica e in novella,
viso e amore avea tutto ad un segno...
"...Tu m'hai di servo tratto a libertate
per tutte quelle vie, per tutt'i modi
che di ciò fare avei la potestate..."
Bernardo, come vide li occhi miei
nel caldo suo caler fissi e attenti,
li suoi con tanto affetto volse a lei...
Argomento del Canto
Ancora nel X Cielo (Empireo). Dante osserva stupito la rosa dei beati. Apparizione di san Bernardo: commosso ringraziamento a Beatrice, tornata nel suo seggio. Glorificazione di Maria Vergine.
È la notte di giovedì 14 aprile (o 31 marzo) del 1300.
È la notte di giovedì 14 aprile (o 31 marzo) del 1300.
La candida rosa: il volo degli angeli (1-24)
G. Di Paolo, La rosa dei beati
Dante osserva la candida rosa dei beati, mentre la schiera degli angeli, che vola e vede perfettamente la gloria divina, scende fra i seggi e continuamente risale verso Dio, simile a uno sciame di api che entra nei fiori e poi torna all'alveare per produrre il miele. Gli angeli hanno il volto rosseggiante di fiamma e le vesti di un bianco candidissimo più della neve, e quando scendono nella rosa porgono ai beati la pace di Dio, che hanno acquistato volando e muovendo le loro ali. La fitta moltitudine degli angeli che si frappone fra gli occhi di Dante e la luce divina non impedisce al poeta di vedere quest'ultima, poiché essa penetra in nell'intero Universo a seconda della sua capacità di recepirla e nulla può ostacolarla.
Stupore attonito di Dante (25-51)
L'intera schiera dei beati, fra cui ci sono personaggi dell'Antico e del Nuovo Testamento, ha lo sguardo rivolto unicamente a Dio, la luce della Trinità che li appaga con il suo sfolgorio e che Dante si augura possa rivolgersi anche alle tempeste del mondo. Se i barbari, osserva il poeta, giungendo a Roma dalle loro lontane regioni del Nord Europa restavano stupefatti vedendo la maestosità del Laterano e degli altri monumenti della città, lo stupore di Dante che è giunto dal mondo terreno e da Firenze alla dimensione dell'eterno è certo grandissimo, al punto che egli preferisce restare muto e non ascoltare neppure. Egli è simile al pellegrino che è giunto nel santuario meta del suo viaggio e si riposa guardandolo, giacché il poeta rigira gli occhi lungo i seggi dell'anfiteatro celeste dove vede volti informati alla carità, illuminati dalla luce di Dio e con atteggiamento ornato di ogni decoro e compostezza.
Apparizione di san Bernardo (52-69)
P. Perugino, S. Bernardo e la Vergine
Dante ha abbracciato con uno sguardo tutto il Paradiso e non si è ancora soffermato su un punto in particolare, quando si volta verso Beatrice per porle domande su cose che hanno suscitato in lui dubbi: con sua enorme sorpresa al posto della donna vede accanto a sé un vecchio (san Bernardo), vestito di bianco come gli altri beati e il cui aspetto ispira una benevola gioia, mostrando la devozione di un padre amorevole. Dante gli chiede dove sia Beatrice e il santo risponde che proprio la donna lo ha evocato dal suo seggio per guidare il poeta nell'ultima parte del viaggio, mentre lei è tornata ad occupare il suo seggio nel terzo gradino della rosa, a partire dall'alto.
Saluto e preghiera di Dante a Beatrice (70-93)
Dante solleva lo sguardo e vede Beatrice seduta nel suo scanno, incoronata da una aureola che getta su di lei una luce divina: la distanza fra la donna e il poeta è superiore a quella che va dalla regione del cielo in cui si formano i tuoni fino al più profondo abisso marino, tuttavia Dante vede perfettamente il suo volto che giunge ai suoi occhi non offuscato da alcun mezzo fisico. Il poeta rivolge alla donna un appassionato saluto e ringraziamento, poiché Beatrice per amor suo è scesa nell'Inferno e lo ha tratto fino alla beatitudine del Paradiso, facendogli da guida: ella lo ha tratto dalla schiavitù del peccato alla libertà, in tutti i modi che erano in suo potere, dunque Dante la prega di custodire in lui il dono che gli ha fatto, cosicché la sua anima possa uscire dal corpo, il giorno della sua morte, nello stato di grazia in cui è ora.
Saluto e preghiera di Dante a Beatrice (70-93)
Dante solleva lo sguardo e vede Beatrice seduta nel suo scanno, incoronata da una aureola che getta su di lei una luce divina: la distanza fra la donna e il poeta è superiore a quella che va dalla regione del cielo in cui si formano i tuoni fino al più profondo abisso marino, tuttavia Dante vede perfettamente il suo volto che giunge ai suoi occhi non offuscato da alcun mezzo fisico. Il poeta rivolge alla donna un appassionato saluto e ringraziamento, poiché Beatrice per amor suo è scesa nell'Inferno e lo ha tratto fino alla beatitudine del Paradiso, facendogli da guida: ella lo ha tratto dalla schiavitù del peccato alla libertà, in tutti i modi che erano in suo potere, dunque Dante la prega di custodire in lui il dono che gli ha fatto, cosicché la sua anima possa uscire dal corpo, il giorno della sua morte, nello stato di grazia in cui è ora.
San Bernardo invita Dante a contemplare Maria (94-117)
G. Doré, La gloria di Maria
San Bernardo si rivolge a Dante e lo esorta a spingere il suo sguardo lungo la rosa, affinché il suo viaggio verso Dio giunga a compimento preparandosi all'alta visione della Sua mente. Maria, aggiunge il santo, aiuterà Dante a ottenere questa grazia, dal momento che lui, Bernardo di Chiaravalle, è un suo fedele. Dante è simile al pellegrino che giunge dalla lontana Croazia per vedere il velo della Veronica, e non smette di guardarlo per la gioia di contemplare il volto di Cristo, poiché anche il poeta ammira la carità di Bernardo che in questa vita assaporò la pace divina. Il santo esorta nuovamente Dante a non tenere gli occhi rivolti in basso ma a guardare in alto, fino ai gradini più alti della rosa dei beati dove la Regina del Cielo siede sullo scanno più alto di tutti e verso la quale tutti i beati sono sudditi devoti.
Gloria di Maria (118-142)
Dante solleva lo sguardo e vede un punto della rosa che vince tutti gli altri in splendore, proprio come all'alba la parte orientale del cielo supera in luminosità la parte occidentale: così come sulla Terra, in prossimità del sorgere del sole, il cielo diventa via via più chiaro e la luminosità decresce man mano che ci si allontana dall'oriente, allo stesso modo nella rosa dei beati il punto in cui siede Maria emana una luce vivissima, che diventa più fioca allontandosi da essa. Dante vede più di mille angeli che fanno festa a Maria, la quale dimostra una bellezza che scintilla negli occhi di tutti i beati: se il poeta avesse tanta capacità di esprimersi quanta ne ha ad immaginare, neppure in tal caso oserebbe tentare di descrivere la bellezza della Vergine. Non appena san Bernardo vede che gli occhi di Dante sono fissi su Maria, rivolge anch'egli il suo sguardo su di lei e ciò rende Dante ancor più desideroso di ammirarla.
Gloria di Maria (118-142)
Dante solleva lo sguardo e vede un punto della rosa che vince tutti gli altri in splendore, proprio come all'alba la parte orientale del cielo supera in luminosità la parte occidentale: così come sulla Terra, in prossimità del sorgere del sole, il cielo diventa via via più chiaro e la luminosità decresce man mano che ci si allontana dall'oriente, allo stesso modo nella rosa dei beati il punto in cui siede Maria emana una luce vivissima, che diventa più fioca allontandosi da essa. Dante vede più di mille angeli che fanno festa a Maria, la quale dimostra una bellezza che scintilla negli occhi di tutti i beati: se il poeta avesse tanta capacità di esprimersi quanta ne ha ad immaginare, neppure in tal caso oserebbe tentare di descrivere la bellezza della Vergine. Non appena san Bernardo vede che gli occhi di Dante sono fissi su Maria, rivolge anch'egli il suo sguardo su di lei e ciò rende Dante ancor più desideroso di ammirarla.
Interpretazione complessiva
A. Di Bartolo, Incoronazione di Maria
Il Canto è strettamente legato al precedente, di cui costituisce una sorta di completamento con la descrizione della rosa dei beati e rispetto al quale si apre quasi senza soluzione di continuità: dopo la raffigurazione dei beati e dell'anfiteatro luminoso in cui sono collocati i loro seggi, alla fine del Canto XXX, qui il poeta descrive il tripudio degli angeli che vanno avanti e indietro fra i beati stessi e Dio, simili a uno sciame d'api che fa la spola dai fiori all'alveare ove è prodotto il miele (la similitudine, di derivazione virgiliana, è suggerita dall'immagine della rosa mystica e a sua volta trasmette l'idea dell'incessante opera degli angeli, che con il volto fiammeggiante e le ali d'oro propagano sui beati la pace e la carità di Dio). L'ammirazione della moltitudine degli angeli, che pur frapponendosi tra gli occhi di Dante e la luce divina non ne impedisce la visione, spinge il poeta a intonare un inno commosso e attonito alla trina luce che si diffonde su tutto l'Universo, pervaso dallo stupore di chi sente di aver raggiunto la propria meta dopo un lungo e faticoso cammino: è questo il senso del paragone fra Dante, sbalordito di fronte allo spettacolo dell'Empireo, e i barbari che restavano a bocca aperta di fronte all'imponenza dei monumenti di Roma, mentre poco oltre il poeta descriverà se stesso come il pellegrino che è giunto al santuario che intendeva visitare e si riposa appagando gli occhi di quella visione. Nella letteratura religiosa era frequente la rappresentazione dell'uomo sulla Terra come un pellegrino in via, destinato a giungere in patriam alla fine del suo viaggio nel mondo e a diventare cittadino della Gerusalemme o della Roma celeste raffigurante il Paradiso, ed è esattamente così che Dante presenta se stesso nei Canti finali della III Cantica (del resto poco più avanti seguirà un terzo paragone, fra Dante intento a osservare il volto di Bernardo che contempla la Vergine e il pellegrino giunto dalla Croazia per ammirare il volto di Cristo nel velo della Veronica, che non riesce ad appagarsi di tale visione). Dante sottolinea inoltre l'enorme distanza che ormai lo separa dal mondo terreno, che egli ha lasciato preda della sua procella e del suo disordine politico e morale per approdare nella pace dell'Empireo, ovvero nel posto che gli compete e che (come più volte gli è stato preannunciato) lo attende per l'eternità nella dimensione dell'ultraterreno; non manca di accostare polemicamente a questa Roma celeste abitata da un popol giusto e sano la sua corrotta Firenze, alla fine di una terzina in cui i due termini sono posti chiasticamente l'uno accanto all'altro (al divino da l'umano... a l'etterno dal tempo... di Fiorenza in popol giusto e sano). Il poeta ricorda al lettore che siamo vicini alla fine del viaggio e che è prossima la visione finale di Dio, che concluderà il poema in una dimensione lontanissima dalla corruzione e dal caos del mondo, il cui ultimo accenno è stato nelle parole di Beatrice alla fine del Canto XXX.
Dante vorrebbe porre domande alla sua donna sulle meraviglie che gli è dato osservare, ma quando si volta al posto di Beatrice vede accanto a sé un vecchio venerando, che apprenderemo presto trattarsi di san Bernardo: enorme è il suo stupore e tutti i critici indicano la somiglianza tra questo episodio e la scomparsa di Virgilio in Purg., XXX, 40 ss., salvo che là il poeta si abbandonava a un pianto disperato per l'abbandono di colui che considerava come un padre, mentre qui si limita a chiedere al santo dove sia Beatrice, apprendendo che la donna ha ripreso il suo posto nella rosa dei beati. La descrizione di Beatrice nella magnificenza della sua beatitudine è l'ultimo omaggio a colei che, grazie al suo amore, lo ha tratto in salvo dalla selva oscura e dal peccato, insieme al commosso ringraziamento che Dante le rivolge e con il quale la saluta quasi definitivamente dal poema: il suo posto come guida è stato rilevato da Bernardo, che rappresenta il lumen gloriae in grado di condurre Dante alla visione beatifica di Dio (si veda sull'argomento più oltre) e che infatti si affretta a esortarlo a spingere il suo sguardo sull'intera rosa dei beati, soffermandosi in particolare sulla figura della Vergine Maria. Non stupisce questa insistenza di Bernardo sulla Vergine, dato il culto mariano per cui il santo era famoso e che Dante non poteva certo ignorare (Bernardo si presenta come suo fedel), anche perché a suo dire solo l'intercessione di Maria presso Dio potrà consentire a Dante, ancor vivo, di accedere alla visione della mente divina, privilegio che solo in occasioni rarissime può toccare a un mortale ancor vivo: viene anticipato il tema al centro del Canto finale del Paradiso, in cui proprio Bernardo rivolgerà alla Vergine la famosissima preghiera grazie alla quale Dante potrà figgere il suo sguardo nella mente di Dio e vedere per alcuni istanti ciò che per l'universo si squaderna, mentre qui la gloria di Maria è descritta come pura luce che si diffonde sulla rosa celeste e la vince in fulgore, mentre più di mille angeli festanti la fanno un tripudio tutt'intorno che si collega a quanto visto in apertura di Canto. Più che naturale, inoltre, l'accostamento tra Maria e Beatrice, non solo per la santità di entrambe le donne e il valore allegorico della donna fiorentina, ma soprattutto perché era stata la Vergine a sollecitare l'intervento di Beatrice per soccorrere Dante ostacolato dalle tre fiere (cfr. Inf., II, 94 ss.), sia pure attraverso santa Lucia che qui non è nominata ma che avrà la sua menzione d'onore nel Canto successivo, alla sinistra del Battista nella rosa dei beati: le tre donne benedette che hanno allegoricamente salvato Dante sono di nuovo l'una accanto all'altra, quindi dopo l'inno a Beatrice a metà del Canto questo può chiudersi con la glorificazione di Maria, che sarà al centro anche del XXXII prima del suo intervento indispensabile al compiersi della visione di Dante. Le ultime parole del Canto descrivono proprio san Bernardo in accesa contemplazione della Vergine, il che induce Dante a osservarla con ancora più ardore di carità, in un'astmosfera di attesa che (come vedremo) sarà protratta per tutto il Canto seguente e si scioglierà solo all'inizio del XXXIII, con la preghiera di Bernardo che sarà una delle pagine più elevate di tutta la poesia della Commedia.
Dante vorrebbe porre domande alla sua donna sulle meraviglie che gli è dato osservare, ma quando si volta al posto di Beatrice vede accanto a sé un vecchio venerando, che apprenderemo presto trattarsi di san Bernardo: enorme è il suo stupore e tutti i critici indicano la somiglianza tra questo episodio e la scomparsa di Virgilio in Purg., XXX, 40 ss., salvo che là il poeta si abbandonava a un pianto disperato per l'abbandono di colui che considerava come un padre, mentre qui si limita a chiedere al santo dove sia Beatrice, apprendendo che la donna ha ripreso il suo posto nella rosa dei beati. La descrizione di Beatrice nella magnificenza della sua beatitudine è l'ultimo omaggio a colei che, grazie al suo amore, lo ha tratto in salvo dalla selva oscura e dal peccato, insieme al commosso ringraziamento che Dante le rivolge e con il quale la saluta quasi definitivamente dal poema: il suo posto come guida è stato rilevato da Bernardo, che rappresenta il lumen gloriae in grado di condurre Dante alla visione beatifica di Dio (si veda sull'argomento più oltre) e che infatti si affretta a esortarlo a spingere il suo sguardo sull'intera rosa dei beati, soffermandosi in particolare sulla figura della Vergine Maria. Non stupisce questa insistenza di Bernardo sulla Vergine, dato il culto mariano per cui il santo era famoso e che Dante non poteva certo ignorare (Bernardo si presenta come suo fedel), anche perché a suo dire solo l'intercessione di Maria presso Dio potrà consentire a Dante, ancor vivo, di accedere alla visione della mente divina, privilegio che solo in occasioni rarissime può toccare a un mortale ancor vivo: viene anticipato il tema al centro del Canto finale del Paradiso, in cui proprio Bernardo rivolgerà alla Vergine la famosissima preghiera grazie alla quale Dante potrà figgere il suo sguardo nella mente di Dio e vedere per alcuni istanti ciò che per l'universo si squaderna, mentre qui la gloria di Maria è descritta come pura luce che si diffonde sulla rosa celeste e la vince in fulgore, mentre più di mille angeli festanti la fanno un tripudio tutt'intorno che si collega a quanto visto in apertura di Canto. Più che naturale, inoltre, l'accostamento tra Maria e Beatrice, non solo per la santità di entrambe le donne e il valore allegorico della donna fiorentina, ma soprattutto perché era stata la Vergine a sollecitare l'intervento di Beatrice per soccorrere Dante ostacolato dalle tre fiere (cfr. Inf., II, 94 ss.), sia pure attraverso santa Lucia che qui non è nominata ma che avrà la sua menzione d'onore nel Canto successivo, alla sinistra del Battista nella rosa dei beati: le tre donne benedette che hanno allegoricamente salvato Dante sono di nuovo l'una accanto all'altra, quindi dopo l'inno a Beatrice a metà del Canto questo può chiudersi con la glorificazione di Maria, che sarà al centro anche del XXXII prima del suo intervento indispensabile al compiersi della visione di Dante. Le ultime parole del Canto descrivono proprio san Bernardo in accesa contemplazione della Vergine, il che induce Dante a osservarla con ancora più ardore di carità, in un'astmosfera di attesa che (come vedremo) sarà protratta per tutto il Canto seguente e si scioglierà solo all'inizio del XXXIII, con la preghiera di Bernardo che sarà una delle pagine più elevate di tutta la poesia della Commedia.
San Bernardo, la terza guida di Dante nel viaggio allegorico
'Lactatio' di S. Bernardo, min. XV sec.
San Bernardo è senza dubbio la terza guida che accompagna Dante nel suo viaggio ultraterreno, subentrando a Beatrice a metà del Canto XXXI del Paradiso come questa era subentrata a Virgilio nel XXX del Purgatorio: piuttosto evidente il valore allegorico degli altri due personaggi (Virgilio rappresenta la ragione naturale dei filosofi, mentre Beatrice è la teologia rivelata e la grazia santificante), mentre non del tutto trasparente è quello di Bernardo su cui i commentatori si sono a lungo interrogati, rimarcando soprattutto il suo culto mariano e il misticismo che ne farebbero il personaggio ideale a condurre Dante alla visione finale di Dio. Ciò è indubbiamente vero, ma il santo ha un significato allegorico più preciso che va messo in relazione a quello delle altre due guide e che è stato bene illustrato dal dantista americano Ch. S. Singleton nel suo saggio Journey to Beatrice (Cambridge 1958, trad. it. La poesia della 'Divina Commedia', Bologna 1978): lo studioso, autore di una serie di studi che hanno gettato nuova luce sulla struttura allegorica del poema dantesco, cita opportunamente un passo di san Tommaso d'Aquino dove si parla di tre differenti tipi di visione di Dio, ciascuno dei quali necessita di una particolare «luce» e che si possono mettere in relazione con lo schema allegorico del poema:
«Vi è infatti un tipo di visione [di Dio] alla quale è sufficiente la luce naturale dell'intelletto, come la contemplazione delle cose invisibili grazie ai principi della ragione: e in questa contemplazione i filosofi riponevano la suprema felicità dell'uomo. Vi è poi un altro tipo di visione, alla quale l'uomo viene elevato grazie alla luce della fede, come accade ai santi su questa Terra. Vi è infine un terzo tipo di visione, propria dei beati in Paradiso, alla quale l'intelletto viene elevato grazie alla luce della gloria, vedendo Dio nella sua essenza, in quanto oggetto della beatitudine: tale visione avviene in modo pieno e perfetto solo in Paradiso, tuttavia talvolta alcuni vengono rapiti ad essa quando sono ancora su questa Terra, come accadde a san Paolo durante la sua estasi» (In Isaiam prophetam, cap. I).
Le prime due «luci» (il lumen naturale intellectus e il lumen fidei) corrispondono a Virgilio e Beatrice, essendo evidente che la prima è inferiore alla seconda e senza la fede nella rivelazione delle Scritture è impossibile vedere le cose invisibili che costituiscono la beatitudine: tuttavia anche con questa luce non si arriva a una visione piena e perfetta della vera essenza di Dio, quale di fatto è possibile solo a Dio stesso che contempla la propria mente, a meno che non intervenga un lumen gloriae che, come un alto fulgore, colpisca la mente dell'uomo e gli consenta di vedere, in un rapimento mistico, la reale natura di Dio (come accadrà a Dante nel Canto XXXIII del Paradiso, in cui la sua mente viene percossa / da un fulgore che gli svela per un breve istante l'essenza del Creatore). Tale visione è quella che normalmente tocca ai beati in patria, ossia nell'Empireo, ma talvolta può capitare a un mortale per effetto di un rapimento estatico, come accadde a san Paolo che fu rapito al III Cielo (II Cor., XII, 2-4) e come di fatto accadrà allo stesso Dante alla fine del suo viaggio (non si scordi lo stretto parallelismo tra Dante e san Paolo, sottolineato a più riprese nel poema). Il lumen gloriae che deve sollevare la mente umana a una così alta visione è appunto allegorizzato da san Bernardo, che dunque rileva il posto di Beatrice come guida di Dante alla fine del lungo viaggio: la scelta del personaggio per questo ruolo è probabilmente influenzata dalle ragioni prima esposte, ovvero il suo culto mariano e la sua propensione al misticiscmo contro l'eccessivo razionalismo, per quanto l'esperienza della visione finale di Dante non sia un abbandono totale alla comunione con Dio ma conservi un carattere intellettuale, di effettiva «visione» che avviene con l'intelletto e non solamente col sentimento. Dante sottolinea più volte la subordinazione della ragione e della filosofia alla rivelazione, specie nei Canti finali del Paradiso, tuttavia non rinuncia totalmente all'elemento razionale nel suo figgere lo sguardo nella profondità infinita della mente divina, anche se è detto chiaramente che tale esperienza è impossibile per le sole forze dell'intelletto umano e deve provvedere un aiuto dall'alto, che elargisca ad esso quella fruizione dell'aspetto divino che è parte essenziale della beatitudine celeste; e che questa avvenga prima con la ragione e solo secondariamente con il cuore è affermato chiaramente in Par., XXVIII, 109-111, per cui è pienamente giustificato da parte del Singleton il ricorso alle fonti tomistiche per spiegare la struttura allegorica del poema, così come l'identificazione di Bernardo come allegoria del lumen gloriae indispensabile perché Dante veda ciò che con la sola ragione e col solo ricorso alle Scritture sarebbe impossibile scorgere.
«Vi è infatti un tipo di visione [di Dio] alla quale è sufficiente la luce naturale dell'intelletto, come la contemplazione delle cose invisibili grazie ai principi della ragione: e in questa contemplazione i filosofi riponevano la suprema felicità dell'uomo. Vi è poi un altro tipo di visione, alla quale l'uomo viene elevato grazie alla luce della fede, come accade ai santi su questa Terra. Vi è infine un terzo tipo di visione, propria dei beati in Paradiso, alla quale l'intelletto viene elevato grazie alla luce della gloria, vedendo Dio nella sua essenza, in quanto oggetto della beatitudine: tale visione avviene in modo pieno e perfetto solo in Paradiso, tuttavia talvolta alcuni vengono rapiti ad essa quando sono ancora su questa Terra, come accadde a san Paolo durante la sua estasi» (In Isaiam prophetam, cap. I).
Le prime due «luci» (il lumen naturale intellectus e il lumen fidei) corrispondono a Virgilio e Beatrice, essendo evidente che la prima è inferiore alla seconda e senza la fede nella rivelazione delle Scritture è impossibile vedere le cose invisibili che costituiscono la beatitudine: tuttavia anche con questa luce non si arriva a una visione piena e perfetta della vera essenza di Dio, quale di fatto è possibile solo a Dio stesso che contempla la propria mente, a meno che non intervenga un lumen gloriae che, come un alto fulgore, colpisca la mente dell'uomo e gli consenta di vedere, in un rapimento mistico, la reale natura di Dio (come accadrà a Dante nel Canto XXXIII del Paradiso, in cui la sua mente viene percossa / da un fulgore che gli svela per un breve istante l'essenza del Creatore). Tale visione è quella che normalmente tocca ai beati in patria, ossia nell'Empireo, ma talvolta può capitare a un mortale per effetto di un rapimento estatico, come accadde a san Paolo che fu rapito al III Cielo (II Cor., XII, 2-4) e come di fatto accadrà allo stesso Dante alla fine del suo viaggio (non si scordi lo stretto parallelismo tra Dante e san Paolo, sottolineato a più riprese nel poema). Il lumen gloriae che deve sollevare la mente umana a una così alta visione è appunto allegorizzato da san Bernardo, che dunque rileva il posto di Beatrice come guida di Dante alla fine del lungo viaggio: la scelta del personaggio per questo ruolo è probabilmente influenzata dalle ragioni prima esposte, ovvero il suo culto mariano e la sua propensione al misticiscmo contro l'eccessivo razionalismo, per quanto l'esperienza della visione finale di Dante non sia un abbandono totale alla comunione con Dio ma conservi un carattere intellettuale, di effettiva «visione» che avviene con l'intelletto e non solamente col sentimento. Dante sottolinea più volte la subordinazione della ragione e della filosofia alla rivelazione, specie nei Canti finali del Paradiso, tuttavia non rinuncia totalmente all'elemento razionale nel suo figgere lo sguardo nella profondità infinita della mente divina, anche se è detto chiaramente che tale esperienza è impossibile per le sole forze dell'intelletto umano e deve provvedere un aiuto dall'alto, che elargisca ad esso quella fruizione dell'aspetto divino che è parte essenziale della beatitudine celeste; e che questa avvenga prima con la ragione e solo secondariamente con il cuore è affermato chiaramente in Par., XXVIII, 109-111, per cui è pienamente giustificato da parte del Singleton il ricorso alle fonti tomistiche per spiegare la struttura allegorica del poema, così come l'identificazione di Bernardo come allegoria del lumen gloriae indispensabile perché Dante veda ciò che con la sola ragione e col solo ricorso alle Scritture sarebbe impossibile scorgere.
Dante, Petrarca e il velo della Veronica
H. Memling, Santa Veronica (XV sec.)
In Par., XXXI, 103-111 Dante paragona se stesso che osserva il volto di san Bernardo in contemplazione della Vergine al pellegrino che giunge a Roma dalla lontana Croazia per ammirare il volto di Cristo impresso sul velo della Veronica: si tratta di una antica reliquia bizantina, ancor oggi conservata nella cupola di S. Pietro e che, secondo una leggenda risalente al XIII sec., una pia donna avrebbe usato per asciugare il volto sanguinante di Gesù (tale donna sarebbe l'emorroissa guarita da Cristo, Matth., IX, 20-22 e Luc., VIII, 43-48; il nome Veronica è forse la storpiatura del termine vera icon con cui la reliquia veniva ricordata nel Medio Evo). Tale paragone è sembrato eccessivo ad alcuni commentatori, ma è chiaro che la similitudine non è fra Bernardo e Cristo bensì fra Dante e il fedele che giunge da lontano per ammirare le sembianze del Salvatore: in tutto il Canto il poeta accosta se stesso al pellegrino che giunge alla destinazione finale del suo viaggio, poiché la vita sulla Terra era vista dai teologi come un pellegrinaggio che giungerà alla fine solo in Paradiso, dove l'anima salva si ritroverà in patria, cittadina per l'eternità della Gerusalemme celeste che era anch'essa meta di pellegrinaggi nel Medio Evo. Una similitudine per molti versi simile e avente anch'essa come oggetto il velo della Veronica sarà usata anche da F. Petrarca, nel celebre sonetto XVI dei Rerum vulgarium fragmenta in cui il poeta descrive un suo viaggio a Roma in occasione del quale deve staccarsi da Laura: egli cerca le fattezze del volto della sua amata in quello di altre donne, proprio come l'anziano pellegrino (che ha affrontato un lungo e faticoso viaggio per raggiungere Roma) contempla le fattezze di Cristo nel velo della Veronica, sperando di rivedere quello stesso volto quando giungerà in Paradiso. Non è improbabile che la fonte del paragone petrarchesco sia proprio il passo citato della Commedia, tuttavia è chiaro che ci sono notevoli differenze e che in Petrarca l'accostamento di temi sacri e profani è lontanissimo dall'intento dell'autore del Paradiso: anche qui il paragone non è fra Laura e Cristo, bensì tra Petrarca e il pellegrino; quest'ultimo è animato da zelo religioso, il poeta dall'amore per la sua donna; il vecchio affronta un lungo viaggio per avvicinarsi all'oggetto del desiderio, Petrarca va a Roma allontanandosi dal suo, ovvero dalla donna amata; il pellegrino è anziano e debole, il poeta è ancora giovane e nel pieno delle forze, e così via. I temi religiosi sono ovviamente presenti nella poesia petrarchesca, ma in una maniera del tutto diversa rispetto all'opera di Dante: Petrarca è il poeta del dubbio, della lacerazione interiore, così l'amore sensuale è qualcosa che lo distoglie dai beni spirituali, senza che egli operi una scelta radicale come l'autore della Commedia; Laura è una donna reale che non ha più quasi nulla della donna-angelo degli Stilnovisti o della Beatrice allegorica del Paradiso, per cui Petrarca può accostarla indirettamente alla Veronica senza che tale paragone assuma alcun significato religioso, con un atteggiamento che, anzi, ad alcuni è sembrato addirittura blasfemo. La verità è che Petrarca è poeta più moderno di Dante e anticipa molti temi dell'Umanesimo, per cui egli ha già varcato una linea rispetto alla quale Dante è ancora decisamente al di là: come l'amico e contemporaneo Boccaccio, cultore a suo modo dell'opera dantesca, Petrarca esprime quella nuova sensibilità che sfocerà di lì a pochi decenni nella serena armonia dell'arte rinascimentale, pur conservando un'inquietudine interiore causata da scrupoli religiosi, che però (e questa è la fondamentale differenza rispetto a Dante) egli non risolverà mai, oscillando continuamente fra la tensione all'infinito e il richiamo dei beni terreni (è fin troppo evidente, invece, che Dante superò pienamente tale crisi rappresentata dal suo «traviamento» e la stesura del poema ne è la dimostrazione più lampante).
Note e passi controversi
Ai vv. 2-3 la milizia santa / che nel suo sangue Cristo fece sposa è la schiera dei beati, la Chiesa trionfante che è sposa di Cristo. L'altra (v. 4) è la schiera degli angeli.
La raffigurazione degli angeli (vv. 13-15) col volto rosso, le ali d'oro e la veste bianca si rifà al testo biblico e all'iconografia tradizionale: i tre colori erano anche interpretati come allegoria di carità, sapienza e purezza, per quanto ci fossero anche altre interpretazioni.
Al v. 18 ventilando il fianco indica che gli angeli, volando, si toccano con le ali il fianco, o forse scuotono la candida veste.
Alcuni mss, al v. 20 leggono plenitudine al posto di moltitudine, a indicare che il Cielo è tutto riempito dallo stormo angelico.
Al v. 26 gente antica e novella indica i beati dell'Antico e del Nuovo Testamento.
I vv. 31-33 alludono all'Orsa Maggiore (Elice), che nei cieli del Nord Europa da dove provenivano i barbari non tramonta mai, ruotando sempre con quella di Boote che essa vagheggia. Nel mito classico Elice (detta anche Callisto) era una ninfa sedotta da Giove, che dopo aver dato alla luce il figlio Arcade venne cacciata dalla dea Diana di cui era al seguito; Giunone la tramutò in un'orsa per gelosia e Giove la tramutò nella costellazione dell'Orsa Maggiore, accanto a quella di Boote in cui venne trasformato anche il figlio (cfr. Purg., XXV, 130-132).
Al v. 46 passeggiando indica in metafora che Dante fa scorrere gli occhi lungo i seggi della rosa, e non (come alcuni commentatori hanno ipotizzato) che egli cammini materialmente all'interno di essa.
Al v. 49 suadi è lat. per «conformati».
Al v. 58 Uno... e altro sono prob. da intendere come neutri («volevo fare una cosa e invece ciò che mi rispose era un'altra»).
Ai vv. 59 e 94 sene è un forte latinismo per «vecchio» (da senex), così come gene per «guance» al v. 61.
Ai vv. 79-90, nella commossa preghiera con cui Dante saluta Beatrice, il poeta le si rivolge dandole del «tu» anziché del «voi» come ha fatto finora in segno di rispetto: è stato osservato che ciò dipende dal fatto che Beatrice ha cessato ormai di essere la donna amata da Dante per ridiventare una figura sacrale simile a quella di una santa, cui si può dare del «tu» entrando in comunione con lei.
I vv. 80-81 alludono al racconto di Virgilio in Inf., II, 94 ss.
I vv. 103-108 alludono al velo della Veronica, la reliquia bizantina conservata in S. Pietro a Roma e un tempo esposta ai fedeli, sicché era oggetto di frequenti pellegrinaggi.
I vv. 124-125 indicano il Sole, attraverso il mito di Fetonte che ne guidò malamente il carro (cfr. Par., XVII, 1-3).
L'oriafiamma (v. 127) indica lo stendardo di guerra dei re di Francia, derivante secondo la leggenda da quello rosso dato da Cristo a Carlo Magno, come segno della sovranità imperiale: era un drappo rosso con dipinte delle fiamme o stelle dorate. Qui indica forse non Maria ma il punto della rosa da dove lei emana la sua luce, per cui al simbolo guerresco è accostato (quasi in modo antitetico) l'agg. pacifica.
Al v. 136 divizia è lat. per «ricchezza» (da divitiae). Anche caler (v. 140) è lat. che indica «esser caldo», «ardere» (altri mss. leggono calor, che però è lectio facilior e dunque meno probabile).
La raffigurazione degli angeli (vv. 13-15) col volto rosso, le ali d'oro e la veste bianca si rifà al testo biblico e all'iconografia tradizionale: i tre colori erano anche interpretati come allegoria di carità, sapienza e purezza, per quanto ci fossero anche altre interpretazioni.
Al v. 18 ventilando il fianco indica che gli angeli, volando, si toccano con le ali il fianco, o forse scuotono la candida veste.
Alcuni mss, al v. 20 leggono plenitudine al posto di moltitudine, a indicare che il Cielo è tutto riempito dallo stormo angelico.
Al v. 26 gente antica e novella indica i beati dell'Antico e del Nuovo Testamento.
I vv. 31-33 alludono all'Orsa Maggiore (Elice), che nei cieli del Nord Europa da dove provenivano i barbari non tramonta mai, ruotando sempre con quella di Boote che essa vagheggia. Nel mito classico Elice (detta anche Callisto) era una ninfa sedotta da Giove, che dopo aver dato alla luce il figlio Arcade venne cacciata dalla dea Diana di cui era al seguito; Giunone la tramutò in un'orsa per gelosia e Giove la tramutò nella costellazione dell'Orsa Maggiore, accanto a quella di Boote in cui venne trasformato anche il figlio (cfr. Purg., XXV, 130-132).
Al v. 46 passeggiando indica in metafora che Dante fa scorrere gli occhi lungo i seggi della rosa, e non (come alcuni commentatori hanno ipotizzato) che egli cammini materialmente all'interno di essa.
Al v. 49 suadi è lat. per «conformati».
Al v. 58 Uno... e altro sono prob. da intendere come neutri («volevo fare una cosa e invece ciò che mi rispose era un'altra»).
Ai vv. 59 e 94 sene è un forte latinismo per «vecchio» (da senex), così come gene per «guance» al v. 61.
Ai vv. 79-90, nella commossa preghiera con cui Dante saluta Beatrice, il poeta le si rivolge dandole del «tu» anziché del «voi» come ha fatto finora in segno di rispetto: è stato osservato che ciò dipende dal fatto che Beatrice ha cessato ormai di essere la donna amata da Dante per ridiventare una figura sacrale simile a quella di una santa, cui si può dare del «tu» entrando in comunione con lei.
I vv. 80-81 alludono al racconto di Virgilio in Inf., II, 94 ss.
I vv. 103-108 alludono al velo della Veronica, la reliquia bizantina conservata in S. Pietro a Roma e un tempo esposta ai fedeli, sicché era oggetto di frequenti pellegrinaggi.
I vv. 124-125 indicano il Sole, attraverso il mito di Fetonte che ne guidò malamente il carro (cfr. Par., XVII, 1-3).
L'oriafiamma (v. 127) indica lo stendardo di guerra dei re di Francia, derivante secondo la leggenda da quello rosso dato da Cristo a Carlo Magno, come segno della sovranità imperiale: era un drappo rosso con dipinte delle fiamme o stelle dorate. Qui indica forse non Maria ma il punto della rosa da dove lei emana la sua luce, per cui al simbolo guerresco è accostato (quasi in modo antitetico) l'agg. pacifica.
Al v. 136 divizia è lat. per «ricchezza» (da divitiae). Anche caler (v. 140) è lat. che indica «esser caldo», «ardere» (altri mss. leggono calor, che però è lectio facilior e dunque meno probabile).
TestoIn forma dunque di
candida rosa
mi si mostrava la milizia santa che nel suo sangue Cristo fece sposa; 3 ma l’altra, che volando vede e canta la gloria di colui che la ‘nnamora e la bontà che la fece cotanta, 6 sì come schiera d’ape, che s’infiora una fiata e una si ritorna là dove suo laboro s’insapora, 9 nel gran fior discendeva che s’addorna di tante foglie, e quindi risaliva là dove ‘l suo amor sempre soggiorna. 12 Le facce tutte avean di fiamma viva, e l’ali d’oro, e l’altro tanto bianco, che nulla neve a quel termine arriva. 15 Quando scendean nel fior, di banco in banco porgevan de la pace e de l’ardore ch’elli acquistavan ventilando il fianco. 18 Né l’interporsi tra ‘l disopra e ‘l fiore di tanta moltitudine volante impediva la vista e lo splendore: 21 ché la luce divina è penetrante per l’universo secondo ch’è degno, sì che nulla le puote essere ostante. 24 Questo sicuro e gaudioso regno, frequente in gente antica e in novella, viso e amore avea tutto ad un segno. 27 O trina luce, che ‘n unica stella scintillando a lor vista, sì li appaga! guarda qua giuso a la nostra procella! 30 Se i barbari, venendo da tal plaga che ciascun giorno d’Elice si cuopra, rotante col suo figlio ond’ella è vaga, 33 veggendo Roma e l’ardua sua opra, stupefaciensi, quando Laterano a le cose mortali andò di sopra; 36 io, che al divino da l’umano, a l’etterno dal tempo era venuto, e di Fiorenza in popol giusto e sano, 39 di che stupor dovea esser compiuto! Certo tra esso e ‘l gaudio mi facea libito non udire e starmi muto. 42 E quasi peregrin che si ricrea nel tempio del suo voto riguardando, e spera già ridir com’ello stea, 45 su per la viva luce passeggiando, menava io li occhi per li gradi, mo sù, mo giù e mo recirculando. 48 Vedea visi a carità suadi, d’altrui lume fregiati e di suo riso, e atti ornati di tutte onestadi. 51 La forma general di paradiso già tutta mio sguardo avea compresa, in nulla parte ancor fermato fiso; 54 e volgeami con voglia riaccesa per domandar la mia donna di cose di che la mente mia era sospesa. 57 Uno intendea, e altro mi rispuose: credea veder Beatrice e vidi un sene vestito con le genti gloriose. 60 Diffuso era per li occhi e per le gene di benigna letizia, in atto pio quale a tenero padre si convene. 63 E «Ov’è ella?», sùbito diss’io. Ond’elli: «A terminar lo tuo disiro mosse Beatrice me del loco mio; 66 e se riguardi sù nel terzo giro dal sommo grado, tu la rivedrai nel trono che suoi merti le sortiro». 69 Sanza risponder, li occhi sù levai, e vidi lei che si facea corona reflettendo da sé li etterni rai. 72 Da quella region che più sù tona occhio mortale alcun tanto non dista, qualunque in mare più giù s’abbandona, 75 quanto lì da Beatrice la mia vista; ma nulla mi facea, ché sua effige non discendea a me per mezzo mista. 78 «O donna in cui la mia speranza vige, e che soffristi per la mia salute in inferno lasciar le tue vestige, 81 di tante cose quant’i’ ho vedute, dal tuo podere e da la tua bontate riconosco la grazia e la virtute. 84 Tu m’hai di servo tratto a libertate per tutte quelle vie, per tutt’i modi che di ciò fare avei la potestate. 87 La tua magnificenza in me custodi, sì che l’anima mia, che fatt’hai sana, piacente a te dal corpo si disnodi». 90 Così orai; e quella, sì lontana come parea, sorrise e riguardommi; poi si tornò a l’etterna fontana. 93 E ‘l santo sene: «Acciò che tu assommi perfettamente», disse, «il tuo cammino, a che priego e amor santo mandommi, 96 vola con li occhi per questo giardino; ché veder lui t’acconcerà lo sguardo più al montar per lo raggio divino. 99 E la regina del cielo, ond’io ardo tutto d’amor, ne farà ogne grazia, però ch’i’ sono il suo fedel Bernardo». 102 Qual è colui che forse di Croazia viene a veder la Veronica nostra, che per l’antica fame non sen sazia, 105 ma dice nel pensier, fin che si mostra: ‘Segnor mio Iesù Cristo, Dio verace, or fu sì fatta la sembianza vostra?’; 108 tal era io mirando la vivace carità di colui che ‘n questo mondo, contemplando, gustò di quella pace. 111 «Figliuol di grazia, quest’esser giocondo», cominciò elli, «non ti sarà noto, tenendo li occhi pur qua giù al fondo; 114 ma guarda i cerchi infino al più remoto, tanto che veggi seder la regina cui questo regno è suddito e devoto». 117 Io levai li occhi; e come da mattina la parte oriental de l’orizzonte soverchia quella dove ‘l sol declina, 120 così, quasi di valle andando a monte con li occhi, vidi parte ne lo stremo vincer di lume tutta l’altra fronte. 123 E come quivi ove s’aspetta il temo che mal guidò Fetonte, più s’infiamma, e quinci e quindi il lume si fa scemo, 126 così quella pacifica oriafiamma nel mezzo s’avvivava, e d’ogne parte per igual modo allentava la fiamma; 129 e a quel mezzo, con le penne sparte, vid’io più di mille angeli festanti, ciascun distinto di fulgore e d’arte. 132 Vidi a lor giochi quivi e a lor canti ridere una bellezza, che letizia era ne li occhi a tutti li altri santi; 135 e s’io avessi in dir tanta divizia quanta ad imaginar, non ardirei lo minimo tentar di sua delizia. 138 Bernardo, come vide li occhi miei nel caldo suo caler fissi e attenti, li suoi con tanto affetto volse a lei, che‘ miei di rimirar fé più ardenti. 142 |
ParafrasiDunque la santa schiera dei beati che Cristo sposò col suo sangue mi veniva mostrata in forma di una candida rosa;
invece la schiera degli angeli, che volando vede e canta la gloria di Dio che la riempie d'amore, nonché la bontà che la rese così splendente, simile a uno sciame d'api che entra nel fiore e poi torna all'alveare dove trasforma in miele il suo lavoro, scendeva nella rosa dei beati che è adornata di tanti petali, per poi risalire da lì fino a Dio nella cui mente risiede sempre il suo amore. I loro volti erano rossi come la fiamma viva, e le ali erano d'oro, mentre le vesti erano così bianche che nessuna neve può eguagliare quel candore. Quando scendevano nella rosa, porgevano in tutti i seggi dei beati la pace e l'ardore di carità che acquistavano volando e sbattendo le ali, scuotendo così la loro veste. Il fatto che una tale moltitudine di angeli si interponesse tra Dio e la rosa non impediva la visione dello splendore della luce divina: infatti la luce di Dio penetra attraverso l'Universo a seconda della sua capacità di recepirla, cosicché nulla la può ostacolare. Questo regno sereno e gioioso, pieno di beati dell'Antico e del Nuovo Testamento, aveva lo sguardo e l'affetto tutto rivolto verso la stessa direzione (verso Dio). O luce della Trinità, che scintillando in un'unica stella ai loro occhi li appaghi così tanto, rivolgi il tuo sguardo alle tempeste del mondo terreno! Se i barbari, giungendo da quelle regioni che ogni giorno sono sormontate dall'Orsa Maggiore e che ruota con quella di Boote che essa vagheggia, vedendo Roma e i suoi alti monumenti restavano attoniti, quando il Laterano superava tutte le altre opere umane; io, che ero giunto alla dimensione divina dal mondo terreno, alla dimensione dell'eterno dal tempo e da Firenze a quel popolo giusto e retto, di quale stupore dovevo essere pieno! Certo quella meraviglia e la gioia mi facevano desiderare di non udir nulla e di restare in silenzio. E come un pellegrino che si riposa dopo esser giunto nel santuario meta del suo viaggio, e spera di poter riferire al ritorno come esso si presenti, così io spingevo i miei occhi lungo i gradini della rosa, ora in alto, ora in basso e ora facendoli girare tutt'intorno. Vedevo volti conformati alla carità, illuminati dalla luce di Dio e dalla propria gioia, e con atteggiamenti improntati alla più decorosa compostezza. Il mio sguardo aveva abbracciato l'aspetto di tutto quanto il Paradiso e non si era ancora soffermato su un punto preciso; e io mi voltai con rinnovato desiderio per domandare alla mia donna alcune cose di cui ero rimasto in dubbio nella mia mente. Io intendevo fare questo, e invece mi rispose qualcos'altro: credevo di vedere Beatrice e vidi un vecchio vestito di bianco come tutti gli altri beati. Dagli occhi e dalle guance ispirava una benevola gioia, con un atteggiamento devoto quale si confà a un padre amorevole. Subito io dissi: «Dov'è Beatrice?» E lui rispose: «Beatrice mi ha evocato dal mio seggio per portare a termine il tuo desiderio; e se sollevi lo sguardo, nel terzo gradino della rosa a partire dall'alto, la vedrai nel seggio che i suoi meriti le hanno concesso». Senza rispondere, alzai lo sguardo e vidi Beatrice che era incoronata da un'aureola che rifulgeva dei raggi divini. Da quella regione del cielo dove tuona più in alto, un occhio umano non è tanto lontano neppure se si trova nel più profondo abisso del mare, quanta era la distanza tra i miei occhi e Beatrice; e tuttavia non mi faceva nulla, poiché la sua immagine non arrivava a me attraverso un mezzo fisico (dunque la vedevo perfettamente). «O donna in cui si rafforza la mia speranza, e che per la mia salvezza tollerasti di lasciare le tue orme nell'Inferno, se ho potuto vedere tante cose riconosco che tale grazia e tale virtù è derivata dal tuo potere e dalla tua bontà. Tu mi hai riportato alla libertà dalla schiavitù del peccato, per tutte quelle strade e in tutti quei modi in cui tu avevi il potere di fare questo. Custodisci questo tuo dono in me, cosicché la mia anima, che hai reso sana, si separi dal corpo nel modo che a te piacerà (in questo stato di grazia)». Pregai in tal modo; e Beatrice, così lontana come appariva, sorrise e mi guardò, poi tornò all'eterna fonte di beatitudine (Dio). E il santo vecchio disse: «Affinché tu porti a compimento nel modo dovuto il tuo viaggio, cosa per cui la preghiera di Beatrice e il suo santo amore mi hanno inviato qui, spingi il tuo sguardo lungo la rosa; infatti il vederla preparerà il tuo sguardo ad affrontare la visione di Dio. E la Regina del Cielo (Maria), per la quale io ardo tutto d'amore, ci renderà la sua grazia, poiché io sono il suo fedele Bernardo». Come il pellegrino che giunge forse dalla Croazia per vedere a Roma il velo della Veronica, e che non riesce a soddisfare la sua antica brama ma dice fra sé: 'O Signore mio Gesù Cristo, vero Dio, dunque furono queste le Vostre fattezze?', così ero io osservando la viva carità di Bernardo che su questa Terra, contemplando, assaporò la pace divina. Egli cominciò: «Figlio della grazia, questa essenza gioiosa non ti sarà nota se continui a tenere lo sguardo fisso qui in basso; ma osserva i cerchi fino al più lontano, fino a vedere nel suo seggio la Regina alla quale questo regno è suddito e devoto». Io alzai lo sguardo; e come al mattino la parte orientale dell'orizzonte supera in chiarore quella dove il sole tramonta, così, quasi sollevando gli occhi dalla valle alla vetta del monte, vidi un punto in cima alla rosa che superava in luminosità tutti gli altri. E come sulla Terra, dalla parte dove si attende il timone che Fetonte non seppe guidare (il Sole), il cielo si illumina di più, mentre ai lati il chiarore tende a diminuire, così quella pacifica luce fiammeggiante (il seggio di Maria) si rischiarava al centro, e ai lati lo splendore si attenuava uniformemente; e verso quel punto io vidi più di mille angeli festosi, con le ali spiegate, ciascuno diverso per splendore e movimento. Qui nel loro tripudio e nel loro canto vidi scintillare una bellezza tale (Maria), che era una gioia negli occhi di tutti gli altri santi; e se io avessi nel parlare tanta ricchezza di espressione quanta ne ho ad immaginare, neppure in tal caso oserei tentare di descrivere la sua bellezza. Bernardo, non appena vide che i miei occhi erano fissi e attenti nell'ardente carità della Vergine, rivolse i suoi a Maria con tale affetto che rese i miei ancor più desiderosi di ammirarla. |