Paradiso, Canto XXVII
G. Doré, L'inno dei beati
"...In vesta di pastor lupi rapaci
si veggion di qua sù per tutti i paschi:
o difesa di Dio, perché pur giaci? ..."
E la virtù che lo sguardo m'indulse,
del bel nido di Leda mi divelse
e nel ciel velocissimo m'impulse...
"...Oh cupidigia, che i mortali affonde
sì sotto te, che nessuno ha podere
di trarre li occhi fuor de le tue onde! ..."
si veggion di qua sù per tutti i paschi:
o difesa di Dio, perché pur giaci? ..."
E la virtù che lo sguardo m'indulse,
del bel nido di Leda mi divelse
e nel ciel velocissimo m'impulse...
"...Oh cupidigia, che i mortali affonde
sì sotto te, che nessuno ha podere
di trarre li occhi fuor de le tue onde! ..."
Argomento del Canto
Ancora nell'VIII Cielo delle Stelle Fisse. Invettiva di san Pietro contro la corruzione della Chiesa; profezia di un futuro intervento divino. Ascesa di Dante e Beatrice al Primo Mobile. Invettiva di Beatrice contro la cupidigia degli uomini.
È il tardo pomeriggio di giovedì 14 aprile (o 31 marzo) del 1300.
È il tardo pomeriggio di giovedì 14 aprile (o 31 marzo) del 1300.
I beati intonano il Gloria. San Pietro arrossisce di sdegno (1-15)
Tutti i beati intonano il Gloria alla Trinità, con un canto talmente dolce che riempie Dante di ebbrezza, poiché al poeta sembra di vedere il riso di tutto l'Universo: egli è commosso di fronte all'indicibile gioia che proviene dalla felicità eterna, contrapposta alla brama delle ricchezze materiali. Le quattro luci delle anime di san Pietro, san Giacomo, san Giovanni e Adamo restano splendenti di fronte ai suoi occhi, poi quella di Pietro aumenta il suo fulgore e assume un colore rossastro, proprio come se Giove fosse un uccello e scambiasse le sue penne con quelle di Marte.
Invettiva di Pietro contro la corruzione della Chiesa (16-36)
G. Di Paolo, Invettiva di S. Pietro
La Provvidenza divina ha posto fine al coro dei beati, quindi san Pietro spiega a Dante che non deve stupirsi del fatto che sia arrossito, in quanto alle sue parole faranno lo stesso tutte le altre anime. Il santo aggiunge che colui (Bonifacio VIII) che usurpa in Terra il soglio pontificio, ha trasformato il Vaticano in una sordida cloaca a causa dei suoi traffici, al punto che Lucifero gode della corruzione della Chiesa. Dante vede allora tutto l'VIII Cielo assumere un colore rossastro, come una nuvola illuminata dal sole all'alba o al tramonto, ed anche Beatrice arrossisce come una donna onesta che ascolta le parole peccaminose altrui.
San Pietro profetizza il futuro intervento divino (37-66)
L. Veneziano, Martirio di S. Pietro
San Pietro prosegue nelle sue accuse, con voce non meno alterata del suo aspetto, dicendo che la Chiesa non è stata alimentata dal sangue suo e degli altri papi martirizzati per essere usata al fine di arricchirsi, bensì il sacrificio di quei pontefici era rivolto a meritare la vita eterna. L'intenzione sua e degli altri papi non era certo consentire ai successori corrotti di dividere il popolo cristiano, né di usare il simbolo delle chiavi di Pietro come vessillo per combattere gente battezzata; Pietro freme di sdegno al pensiero che la sua effigie sia stampata sui documenti con cui vengono venduti i privilegi e i benefici ecclesiastici. I papi, che dovrebbero essere pastori, sono diventati lupi famelici, per cui Pietro invoca il soccorso divino: pontefici come Clemente V e Giovanni XXII si apprestano a ricavare lucro dalla Chiesa, un esito ben triste per un'istituzione creata con santa intenzione. Ma la Provvidenza divina, prevede Pietro, interverrà presto come già fece con Scipione per salvare Roma, per cui Dante è invitato a non nascondere questo, ma anzi a rivelarlo una volta che sarà tornato nel mondo.
Ascesa dei beati all'Empireo. Dante e Beatrice salgono al Primo Mobile (67-102)
S. Botticelli, Ascesa al Primo Mobile
Come dal cielo cadono fiocchi di neve nel pieno dell'inverno, sulla Terra, così in Paradiso Dante vede le anime dei beati salire lentamente in alto, dirette all'Empireo; il suo sguardo le segue finché non sono troppo distanti e le perde di vista, quindi Beatrice invita Dante ad abbassare lo sguardo e ad osservare quanto spazio egli abbia percorso ruotando insieme all'VIII Cielo. Il poeta obbedisce e si accorge di aver percorso circa novanta gradi, poiché guardando la Terra vede a ovest di Cadice lo stretto di Gibilterra, e a est quasi fino alle coste della Fenicia. Vedrebbe una parte maggiore della Terra, se il Sole non avesse già percorso più di un segno zodiacale, per cui la parte più a oriente è già in ombra. Dante arde dal desiderio di guardare nuovamente Beatrice e quando lo fa il suo sorriso è di tale bellezza che supera qualunque allettamento terreno che possa attirare lo sguardo. La virtù degli occhi della donna stacca Dante dalla costellazione dei Gemelli e lo spinge nel IX Cielo, il Primo Mobile che ruota velocissimo: esso è uniforme in ogni sua parte, per cui il poeta non sa dire in quale punto sia penetrato nella sua sfera trasparente.
Caratteristiche del Primo Mobile (103-120)
P. Magnier, La dea Aurora
Beatrice intuisce la curiosità di Dante e inizia a parlare, sorridendo lietamente come se Dio risplendesse nel suo volto: spiega che il principio animatore del mondo, che tiene la Terra ferma al centro dell'Universo e fa ruotare gli altri pianeti, inizia da questo Cielo. Il Primo Mobile trae la virtù che lo fa ruotare e con cui irraggia l'influsso astrale sugli altri Cieli dalla mente di Dio, che lo avvolge come esso fa con le altre sfere celesti, in un modo comprensibile solo al Creatore. Il suo movimento non può essere misurato, al contrario di tutti gli altri movimenti che hanno la loro unità di misura nel Primo Mobile, ed anche il tempo trae la sua origine da questo Cielo.
Invettiva di Beatrice contro la cupidigia (121-148)
Beatrice accusa la cupidigia degli uomini, che li tiene a terra e impedisce loro di sollevare lo sguardo al Cielo: il desiderio del bene è innato nell'uomo, ma la corruzione e la mancanza di una guida sicura lo rende guasto e totalmente sterile. L'innocenza è propria solo dei bambini e li abbandona prima che a questi cresca la barba, cosicché chi ancora non sa parlare pratica la virtù, ma appena cresce e apprende il linguaggio si dedica subito a ogni vizio; e chi ancora non sa parlare ama e rispetta la propria madre, augurandole poi la morte quando è diventato adulto. Così la pelle bianca diventa scura al primo apparire dell'Aurora, cioè l'umanità da buona diventa malvagia: Dante deve pensare al fatto che sulla Terra non c'è un'autorità che governi, laica o ecclesiastica, e questa è la causa della corruzione degli uomini. Tuttavia, prima che gennaio esca del tutto dall'inverno a causa dello sfasamento del calendario, ci sarà un intervento divino che raddrizzerà la situazione e ristabilirà virtù e giustizia dove ora c'è soltanto la decadenza morale.
Invettiva di Beatrice contro la cupidigia (121-148)
Beatrice accusa la cupidigia degli uomini, che li tiene a terra e impedisce loro di sollevare lo sguardo al Cielo: il desiderio del bene è innato nell'uomo, ma la corruzione e la mancanza di una guida sicura lo rende guasto e totalmente sterile. L'innocenza è propria solo dei bambini e li abbandona prima che a questi cresca la barba, cosicché chi ancora non sa parlare pratica la virtù, ma appena cresce e apprende il linguaggio si dedica subito a ogni vizio; e chi ancora non sa parlare ama e rispetta la propria madre, augurandole poi la morte quando è diventato adulto. Così la pelle bianca diventa scura al primo apparire dell'Aurora, cioè l'umanità da buona diventa malvagia: Dante deve pensare al fatto che sulla Terra non c'è un'autorità che governi, laica o ecclesiastica, e questa è la causa della corruzione degli uomini. Tuttavia, prima che gennaio esca del tutto dall'inverno a causa dello sfasamento del calendario, ci sarà un intervento divino che raddrizzerà la situazione e ristabilirà virtù e giustizia dove ora c'è soltanto la decadenza morale.
Interpretazione complessiva
Il Canto è suddiviso in due parti distinte, il cui filo conduttore è la rampogna della corruzione del mondo e il preannuncio di un futuro intervento divino destinato a ristabilire la giustizia: nella prima, infatti, san Pietro prorompe in una violenta invettiva contro la corruzione della Chiesa e i papi simoniaci, in particolare Bonifacio VIII già più volte bersaglio delle accuse di Dante, mentre nella seconda (dopo l'ascesa al Primo Mobile e la descrizione del IX Cielo) è Beatrice a rimproverare la cupidigia degli uomini, contro la quale si abbatterà la punizione divina come sui pontefici corrotti. L'episodio si apre del resto con il grandioso spettacolo del Gloria intonato da tutte le anime, che riempie Dante di ebbrezza e lo spinge a inneggiare alla vera felicità che proviene dalla beatitudine eterna, in contrasto con le ricchezze materiali: le sue parole preparano il terreno all'invettiva di Pietro, sottolineata dal colore rossastro che assume la sua luce come quella di tutti gli altri beati e dello stesso VIII Cielo, che simboleggia lo sdegno provato da tutto il Paradiso per la vergogna della Chiesa corrotta (Dante rappresenta la scena con la similitudine paradossale di Giove e Marte, paragonati a due uccelli che si scambino le piume, e con quella naturalistica della nube colorata di rosso all'alba o al tramonto). Le parole di Pietro vengono sottolineate dal silenzio di tutti i beati e si qualificano come un durissimo attacco anzitutto a Bonifacio VIII, il papa presente sul soglio pontificio al momento dell'immaginario viaggio (primavera del 1300), che il santo accusa di «usurpare» il suo posto come successore indegno e di aver tramutato il Vaticano in cui lui è sepolto in una cloaca / del sangue e de la puzza: il riferimento è alle circostanze in cui Bonifacio succedette a Celestino V (cfr. Inf., XIX, 52-57) e forse all'illegittimità della sua elezione, mentre di sicuro Pietro rinfaccia al papa di sfruttare la sua carica per arricchirsi illecitamente, tanto da procurare piacere coi suoi atti a Lucifero che dal Cielo venne precipitato al centro della Terra. Il linguaggio crudo e a tratti volgare di Pietro è ripreso poco oltre, dopo la descrizione del «trascolorare» di tutto il Cielo e di Beatrice, attraverso il paragone con l'oscuramento del Sole il giorno della morte di Cristo (il rosso è anche il colore del sangue, più volte evocato nel discorso del santo, mentre non va scordato che il papa è appunto il vicario di Cristo in Terra): Pietro crea un contrasto fra se stesso e i primi papi, che vennero martirizzati per costruire la Chiesa delle origini, e i papi attuali, per i quali la sposa di Cristo serve unicamente come fonte di guadagno illecito, per cui l'effigie di Pietro compare sui documenti papali con cui si fa compravendita di cose sacre e il simbolo delle chiavi fregia i vessilli con cui si fa guerra ai battezzati anziché agli infedeli, come nel recente assedio di Palestrina ad opera proprio di Bonifacio (cfr. Inf., XXVII, 85 ss.). I papi simoniaci sono definiti lupi rapaci con immagine scritturale, come del resto pieno di furore biblico è l'intero discorso (con accenti simili all'invettiva di Dante contro Niccolò III in Inf., XIX) e Pietro profetizza anche le ruberie di due successori di Bonifacio VIII, Clemente V e Giovanni XXII che Dante ha già duramente e più volte attaccati, preconizzando la futura dannazione del primo fra i simoniaci della III Bolgia dell'VIII Cerchio e rivolgendo al secondo la tremenda invettiva che chiudeva il Canto XVIII del Paradiso. Il discorso di Pietro, stilisticamente sostenuto e con numerosi artifici retorici (la triplice ripetizione di il luogo mio..., l'anafora di Non fu..., il polisindeto del v. 44), si chiude con il preannuncio di un futuro e ormai prossimo intervento divino, che la Provvidenza sta preparando così come fece al tempo di Scipione per difendere la gloria di Roma: il riferimento alla storia romana non è casuale, poiché è noto che Dante considerava l'autorità imperiale come la necessaria guida politica per assicurare le leggi e la giustizia nel mondo, in accordo con l'autorità spirituale rappresentata dai papi che dovevano naturalmente essere esenti dalle gravi colpe qui rinfacciate loro da san Pietro. Tale intervento provvidenziale andrà inteso come la profezia di una prossima palingenesi della società ad opera di un personaggio non meglio identificato, come il «veltro» di Inf., I o il «DXV» di Purg., XXXIII, ed è quasi certo che la stessa indeterminatezza avrà anche la parallela profezia di Beatrice alla fine del Canto, più sfumata nei toni in quanto non rivolta contro bersagli particolari ma in generale alla corruzione umana che pervade l'intera società (in entrambi i casi Dante è chiamato a riferire ciò che ha udito una volta tornato sulla Terra, missione poetica di cui è altamente ed esplicitamente investito dallo stesso Pietro).
Il passaggio dalla prima alla seconda parte dell'episodio è rappresentato dall'ascesa delle anime dei beati all'Empireo, ancora con una similitudine naturalistica in quanto paragonati a fiocchi di neve che salgono lentamente verso l'alto, quindi l'ascesa al Primo Mobile è anticipata dallo sguardo di Dante alla Terra vista nuovamente nella sua piccolezza e ancora definita aiuola, con un parallelismo rispetto a XXII, 133 ss. (i due momenti aprono e chiudono la descrizione del Cielo delle Stelle Fisse, benché in questo caso Dante si limiti a osservare la Terra con una complessa e discussa rappresentazione geografica). Come già nel passaggio dal VII all'VIII Cielo, anche in questa circostanza è Beatrice col suo sguardo a spingere il poeta nel Primo Mobile, che si presenta come una sfera trasparente e perfettamente uniforme in ogni suo punto: la complessa spiegazione circa la sua natura e il suo funzionamento, per cui Dante si rifà strettamente alla teoria di Tolomeo poi recepita dalla dottrina tomistica e base di tutta la costruzione astronomica del poema, dà modo a Beatrice di inneggiare alla perfezione dell'Universo e all'infinito amore di Dio, che regola con la sua saggezza i movimenti delle sfere celesti, per cui il successivo trapasso alla rampogna contro la cupidigia degli uomini non è così improvviso come è parso a vari commentatori (l'umanità dovrebbe levare lo sguardo alla bellezza dei Cieli invece di rivolgerlo ai beni terreni, secondo quanto detto da Virgilio in Purg., XIV, 142-151). Beatrice rimarca il fatto che l'uomo è creato da Dio e nasce naturalmente inclinato al bene, ma poi crescendo perde la sua innocenza e si corrompe, come le sosine vere che la pioggia trasforma in bozzacchioni, ovvero in frutti guasti e privi di ogni qualità: la causa di ciò è individuata dalla donna nella mancanza di una guida spirituale e politica nel mondo, con allusione alla corruzione ecclesiastica (cui si aggiungerà presto anche la cattività avignonese) e all'assenza di un'autorità imperiale, fonte per Dante di tutti i problemi politici della società del suo tempo. L'accusa si collega quindi a quella di san Pietro contro i papi corrotti, proprio come il preannuncio della futura punizione che chiude il Canto e in cui Beatrice usa ancora l'immagine del vero frutto che dovrà nascere dal fiore e della flotta che sarà rimessa nella giusta rotta dal volere di Dio, poiché in Terra non è chi governi (il riferimento è forse proprio all'assenza di una guida politica, come in Purg., VI con l'immagine dell'Italia nave sanza nocchiere in gran tempesta): la donna usa gli stessi accenti profetici che caratterizzeranno alcuni dei momenti conclusivi della Cantica, specie in XXX, 130-148, quando indicherà a Dante il seggio della rosa dei beati già destinato ad Arrigo VII di Lussemburgo e condannerà ancora la cieca cupidigia che ammalia gli uomini, profetizzando tra l'altro nuovamente la dannazione di Bonifacio VIII e Clemente V fra i simoniaci della III Bolgia (quelle saranno le ultime parole di Beatrice a Dante come sua guida, prima che il suo posto sia preso da san Bernardo che avrà l'incarico di preparare Dante alla visione di Dio che concluderà in modo solenne il viaggio nell'Oltretomba). La rampogna di Beatrice contro la cupidigia umana prepara inoltre il terreno alla successiva disquisizione circa le gerarchie angeliche, il cui ordine armonioso sarà in certa misura contrapposto al disordine politico e morale del mondo terreno e che occuperà con insolita estensione entrambi i Canti seguenti, il XXVIII e il XXIX, con quest'ultimo che conterrà una nuova invettiva rivolta ai falsi predicatori che, talvolta per avidità di guadagno, diffondono false dottrine circa gli angeli e le loro qualità, alimentando leggende infondate sui loro poteri (la polemica contro la corruzione ecclesiastica lega dunque insieme gran parte dei Canti conclusivi del Paradiso).
Il passaggio dalla prima alla seconda parte dell'episodio è rappresentato dall'ascesa delle anime dei beati all'Empireo, ancora con una similitudine naturalistica in quanto paragonati a fiocchi di neve che salgono lentamente verso l'alto, quindi l'ascesa al Primo Mobile è anticipata dallo sguardo di Dante alla Terra vista nuovamente nella sua piccolezza e ancora definita aiuola, con un parallelismo rispetto a XXII, 133 ss. (i due momenti aprono e chiudono la descrizione del Cielo delle Stelle Fisse, benché in questo caso Dante si limiti a osservare la Terra con una complessa e discussa rappresentazione geografica). Come già nel passaggio dal VII all'VIII Cielo, anche in questa circostanza è Beatrice col suo sguardo a spingere il poeta nel Primo Mobile, che si presenta come una sfera trasparente e perfettamente uniforme in ogni suo punto: la complessa spiegazione circa la sua natura e il suo funzionamento, per cui Dante si rifà strettamente alla teoria di Tolomeo poi recepita dalla dottrina tomistica e base di tutta la costruzione astronomica del poema, dà modo a Beatrice di inneggiare alla perfezione dell'Universo e all'infinito amore di Dio, che regola con la sua saggezza i movimenti delle sfere celesti, per cui il successivo trapasso alla rampogna contro la cupidigia degli uomini non è così improvviso come è parso a vari commentatori (l'umanità dovrebbe levare lo sguardo alla bellezza dei Cieli invece di rivolgerlo ai beni terreni, secondo quanto detto da Virgilio in Purg., XIV, 142-151). Beatrice rimarca il fatto che l'uomo è creato da Dio e nasce naturalmente inclinato al bene, ma poi crescendo perde la sua innocenza e si corrompe, come le sosine vere che la pioggia trasforma in bozzacchioni, ovvero in frutti guasti e privi di ogni qualità: la causa di ciò è individuata dalla donna nella mancanza di una guida spirituale e politica nel mondo, con allusione alla corruzione ecclesiastica (cui si aggiungerà presto anche la cattività avignonese) e all'assenza di un'autorità imperiale, fonte per Dante di tutti i problemi politici della società del suo tempo. L'accusa si collega quindi a quella di san Pietro contro i papi corrotti, proprio come il preannuncio della futura punizione che chiude il Canto e in cui Beatrice usa ancora l'immagine del vero frutto che dovrà nascere dal fiore e della flotta che sarà rimessa nella giusta rotta dal volere di Dio, poiché in Terra non è chi governi (il riferimento è forse proprio all'assenza di una guida politica, come in Purg., VI con l'immagine dell'Italia nave sanza nocchiere in gran tempesta): la donna usa gli stessi accenti profetici che caratterizzeranno alcuni dei momenti conclusivi della Cantica, specie in XXX, 130-148, quando indicherà a Dante il seggio della rosa dei beati già destinato ad Arrigo VII di Lussemburgo e condannerà ancora la cieca cupidigia che ammalia gli uomini, profetizzando tra l'altro nuovamente la dannazione di Bonifacio VIII e Clemente V fra i simoniaci della III Bolgia (quelle saranno le ultime parole di Beatrice a Dante come sua guida, prima che il suo posto sia preso da san Bernardo che avrà l'incarico di preparare Dante alla visione di Dio che concluderà in modo solenne il viaggio nell'Oltretomba). La rampogna di Beatrice contro la cupidigia umana prepara inoltre il terreno alla successiva disquisizione circa le gerarchie angeliche, il cui ordine armonioso sarà in certa misura contrapposto al disordine politico e morale del mondo terreno e che occuperà con insolita estensione entrambi i Canti seguenti, il XXVIII e il XXIX, con quest'ultimo che conterrà una nuova invettiva rivolta ai falsi predicatori che, talvolta per avidità di guadagno, diffondono false dottrine circa gli angeli e le loro qualità, alimentando leggende infondate sui loro poteri (la polemica contro la corruzione ecclesiastica lega dunque insieme gran parte dei Canti conclusivi del Paradiso).
Note e passi controversi
Le quattro face del v. 10 sono le anime di san Pietro, san Giacomo, san Giovanni e Adamo, mentre quella che pria venne (v. 11) è san Pietro, la cui luce diventa rossastra.
La bizzarra similitudine dei vv. 13-15 si basa sul fatto che il pianeta Marte è di colore rosso, mentre Giove è argenteo.
Il vb. usurpa del v. 22 ha fatto pensare che Dante contestasse la legittimità dell'elezione papale di Bonifacio VIII, ipotesi confermata in parte da Inf., XIX, 52-57, mentre altri sostengono che il poeta alluda semplicemente all'indegnità del pontefice come vicario di Cristo (cfr. Purg., XX, 86-90, in cui l'oltraggio di Anagni è duramente condannato).
Al v. 25 il cimitero è il Vaticano, dove Pietro fu martirizzato e, secondo la tradizione, sepolto; esso è trasformato da Bonifacio in una fogna in cui si raccoglie il sangue sparso per le contese interne al mondo cristiano e la puzza della corruzione della Curia (cfr. anche IX, 139 ss.).
Il perverso (v. 26) è Lucifero.
La similitudine ai vv. 31-36 allude al trascolorare di Beatrice che arrossisce (secondo altri impallidisce) come una donna onesta che ascolta le parole peccaminose di altri; il Cielo diventa rosso come il Sole quando si oscurò il giorno della morte di Cristo, la supprema possanza (Luc., XXIII, 45).
Ai vv. 41 ss. Pietro cita alcuni dei primi papi della Chiesa primitiva: Lino di Volterra fu il suo primo successore, ucciso il 23 sett. del 78 d.C.; Cleto (o Anacleto) fu martirizzato sotto Domiziano, mentre Sisto I durante il principato di Adriano; Pio I, di Aquileia, morì forse nel 149, mentre Calisto I nel 222 sotto Alessandro Severo; infine Urbano I, successore di Calisto, subì il martirio nel 230.
Al v. 45 fleto è lat. per «pianto».
I vv. 46-48 alludono all'immagine degli eletti e dei reprobi che, il Giorno del Giudizio, siederanno rispettivamente alla destra e alla sinistra di Cristo, per cui i papi corrotti pretendono di anticipare tale sentenza coi loro atti simoniaci (specie attraverso la vendita delle indulgenze).
Il sigillo del v. 52 è quello papale su cui è tuttora raffigurata l'effigie di san Pietro; i privilegi venduti e mendaci (v. 53) sono le indulgenze e le cariche ecclesiastiche di cui i papi simoniaci facevano commercio.
I lupi rapaci del v. 55 rimandano a Matth., VII, 15: Attendite a falsis prophetis qui veniunt ad vos in vestimentis ovium, intrinsecus autem sunt lupi rapaces («Guardatevi dai falsi profeti, che vengono a voi nelle sembianze di pecore e nell'animo sono invece lupi rapaci»). Il v. 57 riecheggia invece Ps., XLIII, 24: Exsurge, quare obdormis, Domine?
I vv. 58-59 alludono a Clemente V e Giovanni XXII, originari rispettivamente della Guascogna e di Cahors: gli abitanti di quest'ultima città avevano fama di usurai (Inf., XI, 50).
I vv. 67-69 si riferiscono alla stagione invernale, quando la capra del ciel (la costellazione del Capricorno) è in congiunzione col Sole e i fiocchi di neve cadono a terra. L'etera è l'VIII Cielo (cfr. XXII, 132).
I vv. 79-81 alludono alla divisione della Terra in sette climi operata dagli antichi geografi: erano delle fasce parallele che andavano dall'Equatore alle zone fredde, corrispondenti ai vari climi della zona abitabile del globo, aventi una longitudine di 180 gradi; Dante intende dire di aver ruotato insieme al Cielo delle Stelle Fisse dal centro alla fine del primo clima, quindi di 90 gradi.
Al v. 82 Gade è Cadice, in Spagna, a occidente della quale si scorge il varco / folle d'Ulisse (l'oceano da lui percorso). Ai vv. 83-84 il lido è la Fenicia, dove secondo il mito la ninfa Europa salì in groppa a Giove tramutatosi in toro, che in tal modo la rapì; si obietta che in base alla complessa descrizione astronomica la Fenicia dovrebbe essere in ombra e non visibile a Dante dalla sua posizione, ma la sua indicazione è forse più generica oppure il poeta confondeva la Fenicia con Creta dove Europa venne portata (cfr. Ovidio, Met., II, 833 ss.).
Al v. 88 donnea vuol dire «vagheggia amorosamente».
Al v. 98 il bel nido di Leda è la costellazione dei Gemelli, così detta in quanto Castore e Polluce, la cui figura è ricordata dal segno zodiacale, nacquero dall'uovo di Leda fecondato da Giove tramutatosi in cigno.
Al v. 108 meta si riferisce probabilmente alla colonnina che nel circo dell'antica Roma segnava il punto in cui i carri dovevano girare durante la corsa: Dante intende dire che il Primo Mobile è il principio e la fine del mondo sensibile.
I vv. 109-111, variamente interpretati, vogliono dire: «Questo Cielo (il Primo Mobile) non ha altra collocazione se non la mente divina (che corrisponde all'Empireo), in cui si accendono l'amore che lo fa ruotare e la virtù che esso esercita». Il X Cielo non è un luogo fisico ma corrisponde alla mente di Dio, Luce e amor (v. 112) che circondano il IX Cielo e imprimono ad esso il movimento.
Il v. 117 intende dire che tutti i movimenti fisici sono commisurati a quello del Primo Mobile, come il numero dieci è commisurato al cinque e al due (suoi sottomultipli).
Al v. 118 testo è lat. per «vaso».
I vv. 125-126 si rifanno forse all'antico proverbio secondo cui «Quando piove la domenica di Passione, ogni susina va in bozzacchione»: i bozzacchioni sono le susine vuote e guaste, mentre la pioggia fuor di metafora è l'ambiente corrotto che influisce negativamente sugli uomini.
I vv. 136-138 sono una delle cruces interpretative del poema, poiché non è chiaro a cosa alluda Dante con la bella figlia / di quel ch'apporta mane e lascia sera: potrebbe trattarsi dell'Aurora, la figlia mitologica di Iperione, oppure la Chiesa, figlia di Dio, o ancora Circe, figlia del Sole nel mito. La terzina vuol forse dire che la pelle bianca, al primo apparire della luce dell'Aurora, diventa scura, quindi (fuor di metafora) gli uomini nascono inclini al bene e poi si corrompono. La questione è tutt'altro che conclusa.
I vv. 142 ss. vogliono dire che, prima che passino migliaia di anni (litote per dire «fra breve») avverrà l'intervento divino: Dante allude alla necessaria riforma del calendario adottato da Giulio Cesare nel 46 a.C., che prevedeva un anno bisestile ogni quattro ma lasciava 12 minuti di eccedenza l'anno, per cui l'anno civile restava in lieve ritardo rispetto a quello astronomico. Senza una modifica (che sarebbe avvenuta nel 1582 col calendario gregoriano, tuttora in vigore) l'equinozio di primavera sarebbe caduto 90 giorni prima, quindi a gennaio che sarebbe uscito dall'inverno (ciò sarebbe avvenuto in realtà 90 secoli dopo il 1300). La centesma è la centesima parte del giorno, appunto i 12 minuti di eccedenza rispetto all'anno astronomico.
Al v. 142 gennaio è bisillabo per trittongo.
Al v. 145 fortuna può voler dire «fortunale», «tempesta», ma anche (più probabilmente) «Provvidenza».
Al v. 147 classe è lat. per «flotta».
La bizzarra similitudine dei vv. 13-15 si basa sul fatto che il pianeta Marte è di colore rosso, mentre Giove è argenteo.
Il vb. usurpa del v. 22 ha fatto pensare che Dante contestasse la legittimità dell'elezione papale di Bonifacio VIII, ipotesi confermata in parte da Inf., XIX, 52-57, mentre altri sostengono che il poeta alluda semplicemente all'indegnità del pontefice come vicario di Cristo (cfr. Purg., XX, 86-90, in cui l'oltraggio di Anagni è duramente condannato).
Al v. 25 il cimitero è il Vaticano, dove Pietro fu martirizzato e, secondo la tradizione, sepolto; esso è trasformato da Bonifacio in una fogna in cui si raccoglie il sangue sparso per le contese interne al mondo cristiano e la puzza della corruzione della Curia (cfr. anche IX, 139 ss.).
Il perverso (v. 26) è Lucifero.
La similitudine ai vv. 31-36 allude al trascolorare di Beatrice che arrossisce (secondo altri impallidisce) come una donna onesta che ascolta le parole peccaminose di altri; il Cielo diventa rosso come il Sole quando si oscurò il giorno della morte di Cristo, la supprema possanza (Luc., XXIII, 45).
Ai vv. 41 ss. Pietro cita alcuni dei primi papi della Chiesa primitiva: Lino di Volterra fu il suo primo successore, ucciso il 23 sett. del 78 d.C.; Cleto (o Anacleto) fu martirizzato sotto Domiziano, mentre Sisto I durante il principato di Adriano; Pio I, di Aquileia, morì forse nel 149, mentre Calisto I nel 222 sotto Alessandro Severo; infine Urbano I, successore di Calisto, subì il martirio nel 230.
Al v. 45 fleto è lat. per «pianto».
I vv. 46-48 alludono all'immagine degli eletti e dei reprobi che, il Giorno del Giudizio, siederanno rispettivamente alla destra e alla sinistra di Cristo, per cui i papi corrotti pretendono di anticipare tale sentenza coi loro atti simoniaci (specie attraverso la vendita delle indulgenze).
Il sigillo del v. 52 è quello papale su cui è tuttora raffigurata l'effigie di san Pietro; i privilegi venduti e mendaci (v. 53) sono le indulgenze e le cariche ecclesiastiche di cui i papi simoniaci facevano commercio.
I lupi rapaci del v. 55 rimandano a Matth., VII, 15: Attendite a falsis prophetis qui veniunt ad vos in vestimentis ovium, intrinsecus autem sunt lupi rapaces («Guardatevi dai falsi profeti, che vengono a voi nelle sembianze di pecore e nell'animo sono invece lupi rapaci»). Il v. 57 riecheggia invece Ps., XLIII, 24: Exsurge, quare obdormis, Domine?
I vv. 58-59 alludono a Clemente V e Giovanni XXII, originari rispettivamente della Guascogna e di Cahors: gli abitanti di quest'ultima città avevano fama di usurai (Inf., XI, 50).
I vv. 67-69 si riferiscono alla stagione invernale, quando la capra del ciel (la costellazione del Capricorno) è in congiunzione col Sole e i fiocchi di neve cadono a terra. L'etera è l'VIII Cielo (cfr. XXII, 132).
I vv. 79-81 alludono alla divisione della Terra in sette climi operata dagli antichi geografi: erano delle fasce parallele che andavano dall'Equatore alle zone fredde, corrispondenti ai vari climi della zona abitabile del globo, aventi una longitudine di 180 gradi; Dante intende dire di aver ruotato insieme al Cielo delle Stelle Fisse dal centro alla fine del primo clima, quindi di 90 gradi.
Al v. 82 Gade è Cadice, in Spagna, a occidente della quale si scorge il varco / folle d'Ulisse (l'oceano da lui percorso). Ai vv. 83-84 il lido è la Fenicia, dove secondo il mito la ninfa Europa salì in groppa a Giove tramutatosi in toro, che in tal modo la rapì; si obietta che in base alla complessa descrizione astronomica la Fenicia dovrebbe essere in ombra e non visibile a Dante dalla sua posizione, ma la sua indicazione è forse più generica oppure il poeta confondeva la Fenicia con Creta dove Europa venne portata (cfr. Ovidio, Met., II, 833 ss.).
Al v. 88 donnea vuol dire «vagheggia amorosamente».
Al v. 98 il bel nido di Leda è la costellazione dei Gemelli, così detta in quanto Castore e Polluce, la cui figura è ricordata dal segno zodiacale, nacquero dall'uovo di Leda fecondato da Giove tramutatosi in cigno.
Al v. 108 meta si riferisce probabilmente alla colonnina che nel circo dell'antica Roma segnava il punto in cui i carri dovevano girare durante la corsa: Dante intende dire che il Primo Mobile è il principio e la fine del mondo sensibile.
I vv. 109-111, variamente interpretati, vogliono dire: «Questo Cielo (il Primo Mobile) non ha altra collocazione se non la mente divina (che corrisponde all'Empireo), in cui si accendono l'amore che lo fa ruotare e la virtù che esso esercita». Il X Cielo non è un luogo fisico ma corrisponde alla mente di Dio, Luce e amor (v. 112) che circondano il IX Cielo e imprimono ad esso il movimento.
Il v. 117 intende dire che tutti i movimenti fisici sono commisurati a quello del Primo Mobile, come il numero dieci è commisurato al cinque e al due (suoi sottomultipli).
Al v. 118 testo è lat. per «vaso».
I vv. 125-126 si rifanno forse all'antico proverbio secondo cui «Quando piove la domenica di Passione, ogni susina va in bozzacchione»: i bozzacchioni sono le susine vuote e guaste, mentre la pioggia fuor di metafora è l'ambiente corrotto che influisce negativamente sugli uomini.
I vv. 136-138 sono una delle cruces interpretative del poema, poiché non è chiaro a cosa alluda Dante con la bella figlia / di quel ch'apporta mane e lascia sera: potrebbe trattarsi dell'Aurora, la figlia mitologica di Iperione, oppure la Chiesa, figlia di Dio, o ancora Circe, figlia del Sole nel mito. La terzina vuol forse dire che la pelle bianca, al primo apparire della luce dell'Aurora, diventa scura, quindi (fuor di metafora) gli uomini nascono inclini al bene e poi si corrompono. La questione è tutt'altro che conclusa.
I vv. 142 ss. vogliono dire che, prima che passino migliaia di anni (litote per dire «fra breve») avverrà l'intervento divino: Dante allude alla necessaria riforma del calendario adottato da Giulio Cesare nel 46 a.C., che prevedeva un anno bisestile ogni quattro ma lasciava 12 minuti di eccedenza l'anno, per cui l'anno civile restava in lieve ritardo rispetto a quello astronomico. Senza una modifica (che sarebbe avvenuta nel 1582 col calendario gregoriano, tuttora in vigore) l'equinozio di primavera sarebbe caduto 90 giorni prima, quindi a gennaio che sarebbe uscito dall'inverno (ciò sarebbe avvenuto in realtà 90 secoli dopo il 1300). La centesma è la centesima parte del giorno, appunto i 12 minuti di eccedenza rispetto all'anno astronomico.
Al v. 142 gennaio è bisillabo per trittongo.
Al v. 145 fortuna può voler dire «fortunale», «tempesta», ma anche (più probabilmente) «Provvidenza».
Al v. 147 classe è lat. per «flotta».
Testo‘Al Padre, al
Figlio, a lo Spirito Santo’,
cominciò, ‘gloria!’, tutto ’l paradiso, sì che m’inebriava il dolce canto. 3 Ciò ch’io vedeva mi sembiava un riso de l’universo; per che mia ebbrezza intrava per l’udire e per lo viso. 6 Oh gioia! oh ineffabile allegrezza! oh vita intègra d’amore e di pace! oh sanza brama sicura ricchezza! 9 Dinanzi a li occhi miei le quattro face stavano accese, e quella che pria venne incominciò a farsi più vivace, 12 e tal ne la sembianza sua divenne, qual diverrebbe Iove, s’elli e Marte fossero augelli e cambiassersi penne. 15 La provedenza, che quivi comparte vice e officio, nel beato coro silenzio posto avea da ogne parte, 18 quand’io udi’: «Se io mi trascoloro, non ti maravigliar, ché, dicend’io, vedrai trascolorar tutti costoro. 21 Quelli ch’usurpa in terra il luogo mio, il luogo mio, il luogo mio, che vaca ne la presenza del Figliuol di Dio, 24 fatt’ha del cimitero mio cloaca del sangue e de la puzza; onde ’l perverso che cadde di qua sù, là giù si placa». 27 Di quel color che per lo sole avverso nube dipigne da sera e da mane, vid’io allora tutto ’l ciel cosperso. 30 E come donna onesta che permane di sé sicura, e per l’altrui fallanza, pur ascoltando, timida si fane, 33 così Beatrice trasmutò sembianza; e tale eclissi credo che ’n ciel fue, quando patì la supprema possanza. 36 Poi procedetter le parole sue con voce tanto da sé trasmutata, che la sembianza non si mutò piùe: 39 «Non fu la sposa di Cristo allevata del sangue mio, di Lin, di quel di Cleto, per essere ad acquisto d’oro usata; 42 ma per acquisto d’esto viver lieto e Sisto e Pio e Calisto e Urbano sparser lo sangue dopo molto fleto. 45 Non fu nostra intenzion ch’a destra mano d’i nostri successor parte sedesse, parte da l’altra del popol cristiano; 48 né che le chiavi che mi fuor concesse, divenisser signaculo in vessillo che contra battezzati combattesse; 51 né ch’io fossi figura di sigillo a privilegi venduti e mendaci, ond’io sovente arrosso e disfavillo. 54 In vesta di pastor lupi rapaci si veggion di qua sù per tutti i paschi: o difesa di Dio, perché pur giaci? 57 Del sangue nostro Caorsini e Guaschi s’apparecchian di bere: o buon principio, a che vil fine convien che tu caschi! 60 Ma l’alta provedenza, che con Scipio difese a Roma la gloria del mondo, soccorrà tosto, sì com’io concipio; 63 e tu, figliuol, che per lo mortal pondo ancor giù tornerai, apri la bocca, e non asconder quel ch’io non ascondo». 66 Sì come di vapor gelati fiocca in giuso l’aere nostro, quando ’l corno de la capra del ciel col sol si tocca, 69 in sù vid’io così l’etera addorno farsi e fioccar di vapor triunfanti che fatto avien con noi quivi soggiorno. 72 Lo viso mio seguiva i suoi sembianti, e seguì fin che ’l mezzo, per lo molto, li tolse il trapassar del più avanti. 75 Onde la donna, che mi vide assolto de l’attendere in sù, mi disse: «Adima il viso e guarda come tu se’ vòlto». 78 Da l’ora ch’io avea guardato prima i’ vidi mosso me per tutto l’arco che fa dal mezzo al fine il primo clima; 81 sì ch’io vedea di là da Gade il varco folle d’Ulisse, e di qua presso il lito nel qual si fece Europa dolce carco. 84 E più mi fora discoverto il sito di questa aiuola; ma ’l sol procedea sotto i mie’ piedi un segno e più partito. 87 La mente innamorata, che donnea con la mia donna sempre, di ridure ad essa li occhi più che mai ardea; 90 e se natura o arte fé pasture da pigliare occhi, per aver la mente, in carne umana o ne le sue pitture, 93 tutte adunate, parrebber niente ver’ lo piacer divin che mi refulse, quando mi volsi al suo viso ridente. 96 E la virtù che lo sguardo m’indulse, del bel nido di Leda mi divelse, e nel ciel velocissimo m’impulse. 99 Le parti sue vivissime ed eccelse sì uniforme son, ch’i’ non so dire qual Beatrice per loco mi scelse. 102 Ma ella, che vedea ‘l mio disire, incominciò, ridendo tanto lieta, che Dio parea nel suo volto gioire: 105 «La natura del mondo, che quieta il mezzo e tutto l’altro intorno move, quinci comincia come da sua meta; 108 e questo cielo non ha altro dove che la mente divina, in che s’accende l’amor che ‘l volge e la virtù ch’ei piove. 111 Luce e amor d’un cerchio lui comprende, sì come questo li altri; e quel precinto colui che ‘l cinge solamente intende. 114 Non è suo moto per altro distinto, ma li altri son mensurati da questo, sì come diece da mezzo e da quinto; 117 e come il tempo tegna in cotal testo le sue radici e ne li altri le fronde, omai a te può esser manifesto. 120 Oh cupidigia che i mortali affonde sì sotto te, che nessuno ha podere di trarre li occhi fuor de le tue onde! 123 Ben fiorisce ne li uomini il volere; ma la pioggia continua converte in bozzacchioni le sosine vere. 126 Fede e innocenza son reperte solo ne’ parvoletti; poi ciascuna pria fugge che le guance sian coperte. 129 Tale, balbuziendo ancor, digiuna, che poi divora, con la lingua sciolta, qualunque cibo per qualunque luna; 132 e tal, balbuziendo, ama e ascolta la madre sua, che, con loquela intera, disia poi di vederla sepolta. 135 Così si fa la pelle bianca nera nel primo aspetto de la bella figlia di quel ch’apporta mane e lascia sera. 138 Tu, perché non ti facci maraviglia, pensa che ’n terra non è chi governi; onde sì svia l’umana famiglia. 141 Ma prima che gennaio tutto si sverni per la centesma ch’è là giù negletta, raggeran sì questi cerchi superni, 144 che la fortuna che tanto s’aspetta, le poppe volgerà u’ son le prore, sì che la classe correrà diretta; e vero frutto verrà dopo ’l fiore». 148 |
ParafrasiTutto il Paradiso cominciò a inneggiare 'Gloria al Padre, al Figlio, allo Spirito Santo!', in modo tale che il dolce canto mi inebriava.
Quello che io vedevo mi sembrava il sorriso dell'Universo, per cui l'ebbrezza penetrava in me attraverso l'udito e la vista. Che gioia! che letizia indescrivibile! Che vita completa d'amore e di pace! Che ricchezza sicura, in grado di appagare ogni desiderio! Davanti ai miei occhi le quattro luci stavano accese, e quella che era giunta per prima (san Pietro) iniziò a farsi più rossa, diventando nel suo aspetto tale quale diverrebbe Giove, se lui e Marte fossero uccelli e si scambiassero le penne. La Provvidenza, che in Cielo suddivide per ognuno gli incarichi, aveva posto silenzio al coro dei beati in ogni punto, quando io sentii: «Se io cambio colore, non stupirti, dal momento che alle mie parole vedrai fare lo stesso a tutti questi beati. Colui (Bonifacio VIII) che usurpa il mio posto, il mio posto, il mio posto che è vacante pur nella presenza di Cristo, ha trasformato il mio cimitero (il Vaticano) in una fogna dove si raccolgono il sangue e la puzza; per cui il malvagio (Lucifero) che cadde da quassù, laggiù ne gode». Io vidi allora tutto il Cielo cosparso di quel colore (rossastro) che le nubi assumono per il sole opposto, a sera e al mattino. E come una donna onesta che resta sicura di sé e ascoltando le parole peccaminose di altri arrossisce, così Beatrice mutò aspetto; e credo che in cielo ci fu una tale eclissi, il giorno in cui morì Cristo. Poi le parole di san Pietro proseguirono, con una voce così alterata che il suo aspetto non mutò maggiormente: «La sposa di Cristo (la Chiesa) non fu nutrita col sangue mio, di Lino, di Anacleto, per essere usata per arricchirsi, ma Sisto, Pio, Calisto e Urbano sparsero il loro sangue, dopo molto pianto, per guadagnare questa vita beata. La nostra intenzione non era che il popolo cristiano sedesse in parte alla destra, e in parte alla sinistra dei nostri successori; né che le chiavi che mi furono concesse diventassero simbolo su vessilli usati per combattere gente battezzata; né che la mia effigie comparisse sul sigillo di privilegi falsificati e venduti, cosa per cui io spesso arrossisco e fremo di sdegno. Da quassù si vedono per tutti i pascoli dei lupi famelici nelle vesti di pastori: o vendetta divina, perché tardi ad arrivare? Papi originari di Cahors (Giovanni XXII) e di Guascogna (Clemente V) si preparano a bere del nostro sangue (ad arricchirsi con la Chiesa): o nobile principio, come sei destinato a cadere in basso! Ma la Provvidenza divina, che con Scipione difese a Roma la gloria del mondo, interverrà presto, così come io prevedo; e tu, figliolo, che tornerai sulla Terra col tuo corpo mortale, apri la bocca e non nascondere ciò che io non ti nascondo». Come il nostro cielo fa cadere in basso i fiocchi di neve, quando il corno della capra del cielo (il Capricorno) è in congiunzione col Sole (d'inverno), così io vidi il Cielo diventare brillante e fioccare verso l'alto i beati trionfanti che si erano trattenuti qui con noi. Il mio sguardo seguiva quelle luci e le seguì finché la distanza, che era notevole, gli impedì di spingersi più oltre. Allora Beatrice, che vide che avevo cessato di guardare verso l'alto, mi disse: «China lo sguardo e osserva quanto tu hai ruotato con questo Cielo». Dal momento in cui avevo guardato la prima volta, compresi che mi ero mosso per tutto l'arco meridiano che va dal centro alla fine del primo clima (di novanta gradi); sicché io vedevo a occidente di Cadice il folle varco di Ulisse (l'oceano) e a oriente la costa della Fenicia dove Europa cavalcò Giove tramutato in toro. E mi sarebbe stata mostrata una parte maggiore di questa aiuola (la Terra), ma il Sole procedeva sotto i miei piedi di oltre un segno zodiacale (più di trenta gradi, gettando l'ombra sulle altre regioni). La mia mente innamorata, che vagheggia sempre la mia donna, desiderava più che mai di riportare a lei lo sguardo; e se mai la natura o l'arte produssero opere tanto belle, nei corpi umani o nei dipinti, da attirare lo sguardo per sedurre la mente, tutte radunate insieme sembrerebbero poca cosa rispetto alla bellezza divina di Beatrice che splendette a me, quando mi rivolsi al suo viso sorridente. E la virtù che s'irradiò a me dal suo sguardo mi portò via dalla costellazione dei Gemelli, spingendomi nel Cielo più veloce (il Primo Mobile). Le sue parti luminosissime e altissime sono così uniformi, che io non saprei dire in quale di esse Beatrice mi fece penetrare. Lei, tuttavia, che vedeva il mio desiderio, iniziò a dire, sorridendo con tale gioia che sembrava che Dio si allietasse nel suo viso: «La natura dell'Universo, che tiene la Terra al centro, immobile, e fa ruotare tutto il resto intorno, comincia da qui come suo principio e sua fine; e questo Cielo (il Primo Mobile) non ha nessun'altra collocazione se non la mente di Dio, in cui si accendono l'amore che lo fa ruotare e la virtù che esso esercita. La luce e l'amore divino lo circondano, proprio come questo Cielo circonda gli altri; e quell'involucro è compreso solamente da Colui che lo cinge (da Dio). Il suo movimento non è misurato dagli altri, ma gli altri moti sono commisurato a questo, come il dieci lo è dal cinque e dal due; e ormai ti può essere chiaro come il tempo abbia le sue radici in questo vaso (nel IX Cielo), e negli altri Cieli le sue foglie. Oh, cupidigia che immergi i mortali sotto di te, al punto che nessuno riesce a spingere lo sguardo fuori dalle tue onde! La buona volontà fiorisce negli uomini, ma la continua pioggia trasforma le vere susine in frutti vuoti e guasti. Fede e innocenza si ritrovano solo nei fanciulli; poi esse fuggono via, prima che le guance siano coperte di pelo (prima della pubertà). Alcuni, quando ancora non sanno parlare, osservano i digiuni religiosi, poi, quando hanno la lingua sciolta (diventano adulti), divorano qualunque cibo in qualunque periodo dell'anno: altri, quando ancora non sanno parlare, amano e rispettano la propria madre, mentre quando diventano grandi desiderano vederla morta. Così la pelle bianca diventa scura al primo apparire dell'Aurora, figlia di Iperione, colui che porta il mattino e fa cessare la sera (gli uomini nascono buoni e poi si corrompono). Tu, per non stupirti troppo, pensa che sulla Terra manca una autorità di governo, per cui l'umanità viene sviata. Ma prima che gennaio esca del tutto dall'inverno per la centesima parte del giorno che è trascurata sulla Terra, queste ruote celesti irradieranno il mondo a tal punto che la Provvidenza, che è tanto attesa, volgerà le poppe dove ora sono le prue, cosicché la flotta tornerà sulla giusta rotta; e il fiore tornerà a produrre un vero frutto». |