Inferno, Canto XXI
J.A. Koch, Barattieri (1800-1805)
...e vidi dietro a noi un diavol nero
correndo su per lo scoglio venire.
Ahi quant'elli era ne l'aspetto fero! ...
Allor li fu l'orgoglio sì caduto,
ch'e' si lasciò cascar l'uncino a' piedi,
e disse a li altri: "Omai non sia feruto"...
Ed elli a me: "Non vo' che tu paventi;
lasciali digrignar pur a lor senno,
ch'e' fanno ciò per li lessi dolenti...
correndo su per lo scoglio venire.
Ahi quant'elli era ne l'aspetto fero! ...
Allor li fu l'orgoglio sì caduto,
ch'e' si lasciò cascar l'uncino a' piedi,
e disse a li altri: "Omai non sia feruto"...
Ed elli a me: "Non vo' che tu paventi;
lasciali digrignar pur a lor senno,
ch'e' fanno ciò per li lessi dolenti...
Argomento del Canto
Visione della V Bolgia dell'VIII Cerchio (Malebolge), in cui sono puniti i barattieri. Incontro con i Malebranche, capeggiati da Malacoda.
Bugie di Malacoda circa lo stato dei ponti che sovrastano la VI Bolgia.
I due poeti si incamminano con una scorta di dieci diavoli.
È la mattina di sabato 9 aprile (o 26 marzo) del 1300, verso le sette.
È la mattina di sabato 9 aprile (o 26 marzo) del 1300, verso le sette.
I barattieri della V Bolgia (1-21)
Dante e Virgilio, parlando di cose che il poeta non riferisce, sono giunti sul punto più alto del ponte che sovrasta la V Bolgia dell'VIII Cerchio in cui sono puniti i barattieri, per cui Dante ne osserva il fondo e lo vede incredibilmente oscuro. Il fossato è infatti pieno di pece bollente, simile a quella dell'Arsenale di Venezia con cui si riparano le navi danneggiate e dove si otturano le falle degli scafi, si aggiustano prore e poppe, si riparano i remi e si rappezzano le vele. Una pece simile bolle anche nella Bolgia, non riscaldata dal fuoco ma dall'arte divina, e in essa Dante non vede nulla tranne le bolle che fuoriescono in superficie e il gonfiore che si alza e si abbassa di continuo.
Arrivo di un peccatore; i Malebranche (22-57)
P. Della Quercia, Barattieri (XV sec.)
Mentre il poeta osserva la pece, Virgilio richiama la sua attenzione e lo allontana subito da dove si trova. Dante si volta come colui che si attarda a vedere ciò che dovrebbe sfuggire e perciò perde ogni coraggio, vedendo un diavolo nero che corre velocissimo e agile su per il ponte. Il diavolo ha un aspetto feroce, mentre spalanca le sue ali e tiene sulla spalla l'anima di un dannato di cui afferra le caviglie con la mano artigliata. Il demone grida ai Malebranche che sta portando uno degli anziani di Santa Zita (il comune di Lucca) e invita i compagni a gettarlo nella pece mentre lui, intanto, tornerà in quella città piena di barattieri, al punto che lì per denaro si approva sempre ciò che bisognerebbe respingere. Il diavolo getta il dannato nella pece, quindi torna indietro come un mastino che insegue un ladro. Il barattiere si immerge nella pece e torna a galla tutto imbrattato, per cui altri demoni che erano rimasti nascosti sotto il ponte gli urlano che, se non vuole essere tormentato, deve restare sotto la pece bollente. I diavoli lo afferrano con bastoni uncinati, straziandolo e alludendo ironicamente al suo peccato di baratteria, in modo tale che sembrano sguatteri che intingono i pezzi di carne nella pentola.
Virgilio va a parlamentare coi diavoli (58-87)
G. Doré, I Malebranche
Virgilio invita Dante a nascondersi dietro una sporgenza rocciosa, per non mostrare la sua presenza ai diavoli, mentre lui intanto andrà a trattare con loro. Il maestro esorta Dante a non aver paura, poiché egli già un'altra volta è stato nella stessa situazione e sa perfettamente come deve comportarsi. A quel punto Virgilio giunge al fondo del ponte fino all'argine della Bolgia, atteggiando una certa sicurezza: i diavoli gli si fanno incontro come cani arrabbiati contro un mendicante, minacciandolo con gli uncini, ma Virgilio li esorta a non commettere violenze e a mandare avanti uno di loro che faccia da rappresentante per discutere con lui. Tutti i diavoli gridano che deve andare Malacoda, dopodiché uno dei Malebranche si fa avanti e chiede a Virgilio cosa lo renda così sicuro. Il poeta latino risponde che non è certo giunto all'Inferno senza il volere e l'aiuto divino, quindi invita il diavolo a lasciarlo passare in quanto il cielo vuole che lui mostri a qualcun altro quel percorso. Malacoda sembra accusare il colpo, getta a terra il bastone uncinato e dice ai compagni di non toccare Virgilio.
Dante si mostra ai Malebranche; bugie di Malacoda (88-126)
G. Doré, Dante e i Malebranche
A questo punto Virgilio dice a Dante di uscire dal suo nascondiglio e di raggiungerlo senza alcun timore. Dante obbedisce e si avvicina, mentre i diavoli si fanno avanti e lo inducono a temere che non rispettino i patti, per cui il poeta è impaurito come i fanti di Caprona quando uscirono dal castello assediato per arrendersi. Dante si avvicina subito timoroso a Virgilio, senza staccare gli occhi dai Malebranche che hanno un aspetto assai poco rassicurante. I diavoli abbassano gli uncini e si esortano l'un con l'altro a colpire Dante, ma poi Malacoda li richiama all'ordine e si rivolge ai due poeti. Il capo dei Malebranche li informa che non possono procedere oltre da quella parte, poiché il ponte roccioso che sovrasta la VI Bolgia è crollato e quindi i due dovranno costeggiare l'argine della V Bolgia fino a trovare un altro ponte intatto. Il diavolo spiega che il giorno prima, cinque ore più tardi dell'ora presente, si sono compiuti 1266 anni dal crollo del ponte, avvenuto il giorno della morte di Cristo. Malacoda propone ai due poeti di dare loro la scorta di alcuni diavoli, che li guideranno sino al punto in cui c'è un ponte intatto che potranno attraversare e chiama a sé dieci Malebranche: Alichino, Calcabrina, Cagnazzo, Barbariccia (che dovrà guidare la schiera), Libicocco, Draghignazzo, Ciriatto, Graffiacane, Farfarello e Rubicante. Malacoda ordina ai diavoli di andare a controllare i peccatori nella pece, scortando i due poeti sani e salvi sino al ponte che li condurrà alla Bolgia successiva.
Dante e Virgilio partono coi diavoli (127-139)
Dante non si fida dei diavoli ed esorta Virgilio a proseguire senza la loro guida, dal momento che i Malebranche digrignano i denti e lanciano ai due occhiate minacciose. Il maestro risponde a Dante che non deve temere, poiché i diavoli fanno così per spaventare i dannati nella pece. A questo punto i diavoli si dirigono a sinistra lungo l'argine, ma non prima che ognuno di loro si sia rivolto a Barbariccia stringendo la lingua tra i denti, come a segnale convenuto, al che Barbariccia aveva risposto con uno sconcio rumore dal sedere.
Qui è possibile vedere un breve video con il riassunto del Canto, tratto dal canale YouTube "La Divina Commedia in HD" |
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Interpretazione complessiva
Il Canto XXI è il primo atto di una grottesca «commedia infernale» che avrà la sua conclusione nel Canto XXII e una sorta di appendice all'inizio e alla fine del XXIII, con protagonisti i due poeti, i Malebranche, i barattieri della V Bolgia. Il tema dell'episodio è senza dubbio l'inganno e il gusto della beffa, che coinvolge a vario titolo tutti i personaggi e che inserisce la vicenda in un contesto fortemente comico-realistico, per il linguaggio, i movimenti concitati, la gestualità stessa dei protagonisti. Qui la scena è quasi totalmente incentrata sui diavoli, sui custodi della V Bolgia che sono descritti come demoni neri e alati, il cui compito è sorvegliare i barattieri immersi nella pece bollente e impedire che emergano in superficie, armati di bastoni uncinati con cui fanno strazio dei peccatori. Se il loro ruolo è simile a quello di altre figure demoniache già viste (ad esempio i centauri del Flegetonte), i Malebranche non hanno tuttavia nulla della solennità di quei personaggi e sono descritti come una sgangherata combriccola di diavoli molto «popolari», paragonati agli sguatteri che per conto dei cuochi intingono la carne nella pentola coi loro uncini. Il loro compito sembra essere anche quello di andare personalmente a prendere le anime dei peccatori sulla Terra, come avveniva in certi componimenti della letteratura popolare di cui vi è eco nello stesso Dante (specie in Inf., XXVII, 112 ss., ma anche in Purg., V, 103 ss. con il contrasto tra l'angelo e il diavolo che si contendono l'anima di Bonconte da Montefeltro). Sono anche dotati di una beffarda e malvagia ironia con cui colpiscono spietatamente i peccatori, come si vede all'inizio quando accolgono il Lucchese appena arrivato nella Bolgia e gli ricordano che lì non c'è il Santo Volto (il crocifisso di legno nero venerato a Lucca, con riferimento al volto del dannato tutto sporco di pece) e che nella pece bollente si nuota diversamente che nel fiume Serchio, e che se non vorrà essere straziato dai loro uncini dovrà «ballare» sotto la pece come in vita ha arraffato di nascosto.
Ironia e beffa dominano anche il seguito della farsa, con Virgilio che invita Dante a restare nascosto mentre lui, che ha le cose conte (che sa il fatto suo) andrà a parlamentare coi diavoli come già fece nella sua prima discesa infernale, evocato dalla maga Eritone. C'è qualcosa di fortemente grottesco nella scena di Virgilio che va incontro ai diavoli ostentando una sicurezza che non pare molto convincente, osservato da Dante che resta nascosto dietro uno spuntone di roccia: la situazione è analoga a quella del Canto IX di fronte alla città di Dite, ma qui siamo lontanissimi da quell'atmosfera magica e irreale che preludeva all'arrivo del messo celeste, destinato a vincere le resistenze dei diavoli. E infatti Malacoda, il capo di questo scalcinato esercito di diavoli, si prenderà gioco di Virgilio dandogli un'informazione esatta e mentendo poi sul modo di passare alla Bolgia successiva. Il demone spiega che il ponte che porta di lì all'altra Bolgia è crollato, cosa che è realmente avvenuta nel terremoto il giorno della morte di Cristo, ma mente lasciando intendere che più avanti lungo l'argine ve ne sia un altro intatto, mentre si saprà in seguito che tutti i ponti sono in realtà crollati. Si offre di dare ai due poeti una scorta di dieci diavoli, che faranno loro da guida sino a l'altro scheggio senza far loro del male, mentre sarà evidente che le sue intenzioni sono tutt'altro che pacifiche. Il ruolo di Malacoda è dunque analogo a quello di tutte le altre figure diaboliche che tentano di opporsi al passaggio dei due poeti, ma diversamente dalle altre occasioni il diavolo si prende gioco di Virgilio che non può sapere del crollo dei ponti (il suo precedente passaggio era avvenuto prima della morte di Cristo, quando era da poco nel Limbo), nonostante la diffidenza di Dante che tenta inutilmente di metterlo in guardia per paura dei Malebranche. Si è molto discusso sul valore allegorico di questa ingenuità di Virgilio, che gli sarà rimproverata non senza ironia da un dannato della Bolgia seguente, ma probabilmente essa rientra nel gioco delle beffe che domina largamente l'episodio e in cui entreranno anche i dannati nel Canto successivo.
Quanto ai dieci diavoli cui Malacoda affida il compito di guidare i due poeti, è inutile cercare riferimenti a personaggi del tempo di Dante, se non addirittura ai Guelfi Neri di Firenze come pure alcuni hanno fatto. I loro nomi fantasiosi sono semplici storpiature di parole correnti, o alludono a certe loro caratteristiche animalesche, o echeggiano nomi propri di famiglie contemporanee: Firenze è certo sullo sfondo per via dell'accusa di baratteria che i concittadini di Dante gli avevano rivolto condannandolo all'esilio, ma nessun riferimento esplicito è fatto dal poeta contro gli abitanti della sua città visto che tra i barattieri della Bolgia vi sono lucchesi, un navarrese, due sardi e nessun fiorentino. Sembra anzi che il poeta voglia prendere le distanze dalla baratteria con l'arma dell'ironia, degradando questi peccatori al rango di piccoli imbroglioni di mezza tacca che in vita hanno nascosamente arraffato denari e ora, all'Inferno, sono invischiati nella pegola spessa della pece: abbastanza chiaro è il senso del contrappasso, ma nel seguito dell'episodio si vedrà come tutti alla fine siano beffati, compresi i diavoli che addirittura daranno luogo a una zuffa e si lasceranno sfuggire i due poeti, pronti ad approfittare della loro disattenzione. È come se Dante rinunciasse a esprimere sdegno verso il peccato punito in questo luogo infernale per usare la cifra del sarcasmo e dell'ironia, per assumere il maggior distacco possibile dalle sue personali vicende autobiografiche: lo spettacolo del peccato punito si colora di tinte comiche e grottesche, come avverrà anche per i falsari della X Bolgia, senza che per questo la condanna dell'avarizia e della corruzione politica perda di vigore ed efficacia.
Ironia e beffa dominano anche il seguito della farsa, con Virgilio che invita Dante a restare nascosto mentre lui, che ha le cose conte (che sa il fatto suo) andrà a parlamentare coi diavoli come già fece nella sua prima discesa infernale, evocato dalla maga Eritone. C'è qualcosa di fortemente grottesco nella scena di Virgilio che va incontro ai diavoli ostentando una sicurezza che non pare molto convincente, osservato da Dante che resta nascosto dietro uno spuntone di roccia: la situazione è analoga a quella del Canto IX di fronte alla città di Dite, ma qui siamo lontanissimi da quell'atmosfera magica e irreale che preludeva all'arrivo del messo celeste, destinato a vincere le resistenze dei diavoli. E infatti Malacoda, il capo di questo scalcinato esercito di diavoli, si prenderà gioco di Virgilio dandogli un'informazione esatta e mentendo poi sul modo di passare alla Bolgia successiva. Il demone spiega che il ponte che porta di lì all'altra Bolgia è crollato, cosa che è realmente avvenuta nel terremoto il giorno della morte di Cristo, ma mente lasciando intendere che più avanti lungo l'argine ve ne sia un altro intatto, mentre si saprà in seguito che tutti i ponti sono in realtà crollati. Si offre di dare ai due poeti una scorta di dieci diavoli, che faranno loro da guida sino a l'altro scheggio senza far loro del male, mentre sarà evidente che le sue intenzioni sono tutt'altro che pacifiche. Il ruolo di Malacoda è dunque analogo a quello di tutte le altre figure diaboliche che tentano di opporsi al passaggio dei due poeti, ma diversamente dalle altre occasioni il diavolo si prende gioco di Virgilio che non può sapere del crollo dei ponti (il suo precedente passaggio era avvenuto prima della morte di Cristo, quando era da poco nel Limbo), nonostante la diffidenza di Dante che tenta inutilmente di metterlo in guardia per paura dei Malebranche. Si è molto discusso sul valore allegorico di questa ingenuità di Virgilio, che gli sarà rimproverata non senza ironia da un dannato della Bolgia seguente, ma probabilmente essa rientra nel gioco delle beffe che domina largamente l'episodio e in cui entreranno anche i dannati nel Canto successivo.
Quanto ai dieci diavoli cui Malacoda affida il compito di guidare i due poeti, è inutile cercare riferimenti a personaggi del tempo di Dante, se non addirittura ai Guelfi Neri di Firenze come pure alcuni hanno fatto. I loro nomi fantasiosi sono semplici storpiature di parole correnti, o alludono a certe loro caratteristiche animalesche, o echeggiano nomi propri di famiglie contemporanee: Firenze è certo sullo sfondo per via dell'accusa di baratteria che i concittadini di Dante gli avevano rivolto condannandolo all'esilio, ma nessun riferimento esplicito è fatto dal poeta contro gli abitanti della sua città visto che tra i barattieri della Bolgia vi sono lucchesi, un navarrese, due sardi e nessun fiorentino. Sembra anzi che il poeta voglia prendere le distanze dalla baratteria con l'arma dell'ironia, degradando questi peccatori al rango di piccoli imbroglioni di mezza tacca che in vita hanno nascosamente arraffato denari e ora, all'Inferno, sono invischiati nella pegola spessa della pece: abbastanza chiaro è il senso del contrappasso, ma nel seguito dell'episodio si vedrà come tutti alla fine siano beffati, compresi i diavoli che addirittura daranno luogo a una zuffa e si lasceranno sfuggire i due poeti, pronti ad approfittare della loro disattenzione. È come se Dante rinunciasse a esprimere sdegno verso il peccato punito in questo luogo infernale per usare la cifra del sarcasmo e dell'ironia, per assumere il maggior distacco possibile dalle sue personali vicende autobiografiche: lo spettacolo del peccato punito si colora di tinte comiche e grottesche, come avverrà anche per i falsari della X Bolgia, senza che per questo la condanna dell'avarizia e della corruzione politica perda di vigore ed efficacia.
La cronologia del viaggio dantesco
A. di Buonaiuto, Affreschi di S. Maria Novella
Il discorso di Malacoda a Virgilio è di fondamentale importanza per la cronologia del viaggio nell'Oltretomba, in quanto il diavolo inganna il poeta latino dicendo che il ponte che sovrasta la VI Bolgia è crollato nel momento della morte di Cristo (in realtà sono crollati tutti, come si saprà in seguito). Malacoda dichiara che il giorno prima, cinque ore più tardi di quella presente, si sono compiuti 1266 anni da quel momento: Virgilio ha già spiegato a Dante (Inf., XII, 37-45) che il giorno della morte di Cristo la Terra fu scossa da un terremoto che provocò la frana all'imbocco del VII Cerchio, quindi Malacoda si riferisce senz'altro a quello stesso evento. Poiché Dante era convinto che Cristo fosse morto all'età di 34 anni (Conv., IV, 23) e secondo il Vangelo di Luca ciò era avvenuto all'ora sesta (mezzogiorno) di venerdì, ciò vuol dire che quando Malacoda parla sono circa le sette del mattino del sabato santo dell'anno 1300 (1266+34=1300). L'unica incertezza è nella data esatta, poiché l'inizio del viaggio potrebbe essere venerdì 25 marzo, anniversario storico della morte di Cristo che si riteneva avvenuta quel giorno, oppure venerdì 8 aprile, che era il venerdì santo dell'anno 1300 (la Pasqua quell'anno fu il 10 aprile). Sembra in realtà preferibile questa seconda ipotesi, giacché Virgilio ha spiegato che quando Dante si è perso nella selva oscura, la notte tra giovedì e venerdì, c'era la luna tonda (Inf., XX, 127): la Pasqua cristiana cade sempre la domenica successiva al primo plenilunio di primavera, che nel 1300 fu appunto il 4 aprile, quindi sembra evidente che il viaggio dantesco sia iniziato l'8 aprile di quell'anno.
Note e passi controversi
I vv. 7-15 sono una efficace descrizione dell'Arsenale della Repubblica di Venezia, ovvero il cantiere navale creato nel 1104 e ampliato nel XIV sec., tra i più imponenti d'Europa. La precisione dei dettagli farebbe pensare che Dante l'avesse visto coi suoi occhi, anche se non ci sono conferme della sua presenza a Venezia negli anni della composizione dell'Inferno (ma potrebbe essere un ritocco posteriore). La pece veniva usata per tappare le falle agli scafi, essendo un materiale impermeabile all'acqua.
I vv. 34-36 indicano che il diavolo porta il dannato riverso sulla spalla, con la testa dietro la schiena e le gambe davanti, che il demone afferra con la mano artigliata.
Santa Zita (v. 38) era il comune di Lucca, mentre gli «anziani» erano un collegio formato da dieci magistrati. Il dannato portato nella Bolgia è stato identificato con un Martino Bottario, che sarebbe morto proprio nel 1300.
Il Bonturo citato dal diavolo al v. 41 è Bonturo Dati, che fu capo di parte popolare e commise moltissime baratterie; le parole del diavolo sono dunque ironiche, come quando dice (v. 42) che a Lucca per denaro ogni «no» diventa «sì», cioè si approvano provvedimenti che si dovrebbero respingere (ita è avverbio latino che indica affermazione).
L'aggettivo convolto (v. 46) vuol dire probabilmente «imbrattato di pece».
Il Santo Volto (v. 48) è il crocifisso bizantino di legno nero custodito in una cappella nella basilica di San Martino, a Lucca: le parole irriverenti del diavolo paragonano la preziosa reliquia al volto del barattiere, tutto impiastricciato di pece nera.
I raffi (v. 52) sono gli uncini posti in punta ai bastoni dei Malebranche, mentre il verbo accaffi (v. 54) significa «arraffare», come fecero i barattieri in vita (è voce dialettale e arcaica).
Al v. 55 cuoci è plurale arcaico per «cuochi».
Il v. 69 vuol dire che il mendico, assalito dai cani, si arresta e chiede l'elemosina dal punto in cui si è fermato, per paura.
Il verbo arruncigliarmi (v. 75) è creazione di Dante da runcigli, i bastoni uncinati dei diavoli.
I vv. 94-96 alludono alla resa del castello di Caprona del 1289, battaglia a cui avrebbe preso parte anche Dante.
Quest'otta (v. 112) significa «quest'ora» ed è un fiorentinismo come allotta per «allora».
Le boglienti pane (v. 124) sono le «panie» della pece, viscosa e appiccicosa (è forma arcaica).
I vv. 34-36 indicano che il diavolo porta il dannato riverso sulla spalla, con la testa dietro la schiena e le gambe davanti, che il demone afferra con la mano artigliata.
Santa Zita (v. 38) era il comune di Lucca, mentre gli «anziani» erano un collegio formato da dieci magistrati. Il dannato portato nella Bolgia è stato identificato con un Martino Bottario, che sarebbe morto proprio nel 1300.
Il Bonturo citato dal diavolo al v. 41 è Bonturo Dati, che fu capo di parte popolare e commise moltissime baratterie; le parole del diavolo sono dunque ironiche, come quando dice (v. 42) che a Lucca per denaro ogni «no» diventa «sì», cioè si approvano provvedimenti che si dovrebbero respingere (ita è avverbio latino che indica affermazione).
L'aggettivo convolto (v. 46) vuol dire probabilmente «imbrattato di pece».
Il Santo Volto (v. 48) è il crocifisso bizantino di legno nero custodito in una cappella nella basilica di San Martino, a Lucca: le parole irriverenti del diavolo paragonano la preziosa reliquia al volto del barattiere, tutto impiastricciato di pece nera.
I raffi (v. 52) sono gli uncini posti in punta ai bastoni dei Malebranche, mentre il verbo accaffi (v. 54) significa «arraffare», come fecero i barattieri in vita (è voce dialettale e arcaica).
Al v. 55 cuoci è plurale arcaico per «cuochi».
Il v. 69 vuol dire che il mendico, assalito dai cani, si arresta e chiede l'elemosina dal punto in cui si è fermato, per paura.
Il verbo arruncigliarmi (v. 75) è creazione di Dante da runcigli, i bastoni uncinati dei diavoli.
I vv. 94-96 alludono alla resa del castello di Caprona del 1289, battaglia a cui avrebbe preso parte anche Dante.
Quest'otta (v. 112) significa «quest'ora» ed è un fiorentinismo come allotta per «allora».
Le boglienti pane (v. 124) sono le «panie» della pece, viscosa e appiccicosa (è forma arcaica).
TestoCosì di ponte in ponte, altro parlando
che la mia comedìa cantar non cura, venimmo; e tenavamo il colmo, quando 3 restammo per veder l’altra fessura di Malebolge e li altri pianti vani; e vidila mirabilmente oscura. 6 Quale ne l’arzanà de’ Viniziani bolle l’inverno la tenace pece a rimpalmare i legni lor non sani, 9 ché navicar non ponno - in quella vece chi fa suo legno novo e chi ristoppa le coste a quel che più viaggi fece; 12 chi ribatte da proda e chi da poppa; altri fa remi e altri volge sarte; chi terzeruolo e artimon rintoppa -; 15 tal, non per foco, ma per divin’arte, bollia là giuso una pegola spessa, che ’nviscava la ripa d’ogne parte. 18 I’ vedea lei, ma non vedea in essa mai che le bolle che ’l bollor levava, e gonfiar tutta, e riseder compressa. 21 Mentr’io là giù fisamente mirava, lo duca mio, dicendo «Guarda, guarda!», mi trasse a sé del loco dov’io stava. 24 Allor mi volsi come l’uom cui tarda di veder quel che li convien fuggire e cui paura sùbita sgagliarda, 27 che, per veder, non indugia ’l partire: e vidi dietro a noi un diavol nero correndo su per lo scoglio venire. 30 Ahi quant’elli era ne l’aspetto fero! e quanto mi parea ne l’atto acerbo, con l’ali aperte e sovra i piè leggero! 33 L’omero suo, ch’era aguto e superbo, carcava un peccator con ambo l’anche, e quei tenea de’ piè ghermito ’l nerbo. 36 Del nostro ponte disse: «O Malebranche, ecco un de li anzian di Santa Zita! Mettetel sotto, ch’i’ torno per anche 39 a quella terra che n’è ben fornita: ogn’uom v’è barattier, fuor che Bonturo; del no, per li denar vi si fa ita». 42 Là giù ’l buttò, e per lo scoglio duro si volse; e mai non fu mastino sciolto con tanta fretta a seguitar lo furo. 45 Quel s’attuffò, e tornò sù convolto; ma i demon che del ponte avean coperchio, gridar: «Qui non ha loco il Santo Volto: 48 qui si nuota altrimenti che nel Serchio! Però, se tu non vuo’ di nostri graffi, non far sopra la pegola soverchio». 51 Poi l’addentar con più di cento raffi, disser: «Coverto convien che qui balli, sì che, se puoi, nascosamente accaffi». 54 Non altrimenti i cuoci a’ lor vassalli fanno attuffare in mezzo la caldaia la carne con li uncin, perché non galli. 57 Lo buon maestro «Acciò che non si paia che tu ci sia», mi disse, «giù t’acquatta dopo uno scheggio, ch’alcun schermo t’aia; 60 e per nulla offension che mi sia fatta, non temer tu, ch’i’ ho le cose conte, perch’altra volta fui a tal baratta». 63 Poscia passò di là dal co del ponte; e com’el giunse in su la ripa sesta, mestier li fu d’aver sicura fronte. 66 Con quel furore e con quella tempesta ch’escono i cani a dosso al poverello che di sùbito chiede ove s’arresta, 69 usciron quei di sotto al ponticello, e volser contra lui tutt’i runcigli; ma el gridò: «Nessun di voi sia fello! 72 Innanzi che l’uncin vostro mi pigli, traggasi avante l’un di voi che m’oda, e poi d’arruncigliarmi si consigli». 75 Tutti gridaron: «Vada Malacoda!»; per ch’un si mosse - e li altri stetter fermi -, e venne a lui dicendo: «Che li approda?». 78 «Credi tu, Malacoda, qui vedermi esser venuto», disse ’l mio maestro, «sicuro già da tutti vostri schermi, 81 sanza voler divino e fato destro? Lascian’andar, ché nel cielo è voluto ch’i’ mostri altrui questo cammin silvestro». 84 Allor li fu l’orgoglio sì caduto, ch’e’ si lasciò cascar l’uncino a’ piedi, e disse a li altri: «Omai non sia feruto». 87 E ’l duca mio a me: «O tu che siedi tra li scheggion del ponte quatto quatto, sicuramente omai a me ti riedi». 90 Per ch’io mi mossi, e a lui venni ratto; e i diavoli si fecer tutti avanti, sì ch’io temetti ch’ei tenesser patto; 93 così vid’io già temer li fanti ch’uscivan patteggiati di Caprona, veggendo sé tra nemici cotanti. 96 I’ m’accostai con tutta la persona lungo ’l mio duca, e non torceva li occhi da la sembianza lor ch’era non buona. 99 Ei chinavan li raffi e «Vuo’ che ’l tocchi», diceva l’un con l’altro, «in sul groppone?». E rispondien: «Sì, fa che gliel’accocchi!». 102 Ma quel demonio che tenea sermone col duca mio, si volse tutto presto, e disse: «Posa, posa, Scarmiglione!». 105 Poi disse a noi: «Più oltre andar per questo iscoglio non si può, però che giace tutto spezzato al fondo l’arco sesto. 108 E se l’andare avante pur vi piace, andatevene su per questa grotta; presso è un altro scoglio che via face. 111 Ier, più oltre cinqu’ore che quest’otta, mille dugento con sessanta sei anni compié che qui la via fu rotta. 114 Io mando verso là di questi miei a riguardar s’alcun se ne sciorina; gite con lor, che non saranno rei». 117 «Tra’ti avante, Alichino, e Calcabrina», cominciò elli a dire, «e tu, Cagnazzo; e Barbariccia guidi la decina. 120 Libicocco vegn’oltre e Draghignazzo, Ciriatto sannuto e Graffiacane e Farfarello e Rubicante pazzo. 123 Cercate ’ntorno le boglienti pane; costor sian salvi infino a l’altro scheggio che tutto intero va sovra le tane». 126 «Omè, maestro, che è quel ch’i’ veggio?», diss’io, «deh, sanza scorta andianci soli, se tu sa’ ir; ch’i’ per me non la cheggio. 129 Se tu se’ sì accorto come suoli, non vedi tu ch’e’ digrignan li denti, e con le ciglia ne minaccian duoli?». 132 Ed elli a me: «Non vo’ che tu paventi; lasciali digrignar pur a lor senno, ch’e’ fanno ciò per li lessi dolenti». 135 Per l’argine sinistro volta dienno; ma prima avea ciascun la lingua stretta coi denti, verso lor duca, per cenno; ed elli avea del cul fatto trombetta. 139 |
ParafrasiCosì, parlando di altre cose che la mia Commedia non si cura di riferire, giungemmo all'altro ponte; ed eravamo sul punto più alto, quando ci fermammo per vedere l'altra Bolgia e gli altri inutili pianti dei dannati; e la vidi incredibilmente oscura.
Come nell'Arsenale dei Veneziani d'inverno bolle la pece viscosa per riparare le loro navi danneggiate, poiché non possono navigare (intanto alcuni costruiscono uno scafo nuovo e altri riparano le fiancate alle navi che fecero molti viaggi in mare; alcuni battono i chiodi da prora o da poppa; altri riparano i remi e avvolgono le sartie; altri rappezzano il terzerolo e l'artimone); così laggiù bolliva una spessa pece, non per un fuoco ma per arte divina, la quale invischiava ogni lato delle pareti della Bolgia. Io vedevo la pece, ma dentro di essa non vedevo altro che le bolle che affioravano in superficie, e la vedevo gonfiarsi tutta per poi abbassarsi. Mentre io fissavo attentamente in basso, il mio maestro mi tirò a sé dal punto dove stavo, dicendomi: «Guarda, guarda!» Allora mi voltai, come chi si attarda a vedere ciò che deve sfuggire e cui la paura toglie subito gagliardia, e che mentre osserva non esita comunque a scappare: e vidi dietro di noi un diavolo nero che veniva correndo su per il ponte. Ah, quanto mi sembrava feroce nell'aspetto! e come mi pareva crudele nei suoi atti, mentre correva agilmente coi piedi e le ali spalancate! La sua spalla, acuminata e rialzata, caricava un peccatore che giaceva riverso con entrambi i fianchi, del quale il diavolo teneva strettamente le caviglie. Il diavolo dal ponte dove eravamo disse: «O Malebranche, ecco uno degli anziani di Santa Zita (del comune di Lucca)! Gettatelo nella pece, mentre io torno nuovamente a quella città che è piena di barattieri: lo sono tutti tranne Bonturo Dati; là, per denaro, ogni 'no' diventa 'sì'». Lo scaraventò nella pece e si voltò sulla roccia del ponte; e nessun mastino sciolto fu tanto rapido a inseguire il ladro. Il dannato si immerse e tornò a galla tutto imbrattato; ma i diavoli che erano nascosti dietro il ponte gridarono: «Qui non c'è il Santo Volto! Qui si nuota diversamente che nel fiume Serchio! Perciò, se vuoi evitare che ti straziamo, non emergere al di sopra della pece». Poi lo afferrarono con più di cento uncini e dissero: «Qui devi ballare coperto dalla pece, così, se puoi, arraffi di nascosto». Non diversamente da loro, i cuochi fanno immergere ai loro sguatteri la carne con gli uncini in mezzo alla pentola, perché non venga a galla. Il buon maestro mi disse: «Affinché non sembri che tu ci sia, nasconditi dietro una sporgenza rocciosa, che ti faccia da riparo; e non temere, qualunque offesa mi sia rivolta, perché so cosa devo fare in quanto già un'altra volta partecipai a una tale contesa». Poi giunse all'altro capo del ponte; e appena giunse sull'argine della Bolgia successiva, gli servì ostentare un'aria sicura. Con lo stesso furore e fragore con cui i cani escono contro il mendicante che si ferma e chiede la carità da quel punto, i diavoli uscirono da sotto il ponte e rivolsero contro Virgilio tutti i bastoni uncinati; ma lui gridò: «Nessuno di voi mi faccia oltraggio! Prima che i vostri uncini mi colpiscano, si faccia avanti uno di voi che mi ascolti, e poi decidete se è il caso o meno di uncinarmi». Tutti urlarono: «Vada Malacoda!»; allora un diavolo si mosse, mentre gli altri stavano fermi, e giunse a Virgilio dicendogli: «A che gli giova (venire qui?)» Il mio maestro disse: «Tu credi, Malacoda, di vedermi qui, sicuro da tutte le vostre minacce, senza il volere divino e un destino a me favorevole? Lasciaci andare, poiché il cielo vuole che io mostri a qualcun altro questo arduo cammino». Allora al diavolo cadde l'orgoglio, al punto che lasciò cadere ai piedi l'uncino e disse agli altri: «Non fategli alcun male». E il mio maestro mi disse: «O tu che ti nascondi quatto quatto tra le rocce del ponte, puoi tornare a me senza pericolo». Allora mi mossi e lo raggiunsi rapidamente; e i diavoli si fecero tutti avanti, così che ebbi paura che non rispettassero i patti; allo stesso modo vidi temere i fanti che uscivano dal castello di Caprona secondo i termini della resa, vedendosi tra tanti nemici. Io mi strinsi tutto alla mia guida, e non staccavo gli occhi dall'aspetto poco rassicurante dei diavoli. Essi chinavano gli uncini e si dicevano l'un con l'altro: «Vuoi che lo colpisca sul groppone?» E rispondevano: «Sì, fa' in modo di assestargli un colpo!» Ma quel diavolo che parlava col mio maestro si voltò rapidamente e disse: «Sta' fermo, Scarmiglione!» Poi disse a noi: «Non si può procedere oltre per questo ponte, visto che giace crollato al fondo della VI Bolgia. E se volete andare comunque avanti, procedete lungo questo argine; non lontano c'è un altro ponte che permette il passaggio. Ieri, cinque ore più tardi dell'ora presente, si compirono 1266 anni da quando il ponte è crollato. Io mando in quella direzione i miei diavoli per controllare che nessun dannato esca dalla pece; andate con loro, si comporteranno bene». Cominciò a dire: «Fatevi avanti, Alichino e Calcabrina, e tu, Cagnazzo; e Barbariccia sia a capo dei dieci diavoli. Vengano inoltre Libicocco e Draghignazzo, Ciriatto dalle lunghe zanne e Graffiacane, Farfarello e Rubicante pazzo. Perlustrate intorno la bollente pece viscosa; questi due siano sani e salvi fino all'altro ponte che, intatto, dà accesso alla prossima Bolgia». Allora io dissi: «Ahimè, maestro, cosa vedo mai? Per favore, andiamo laggiù senza guida, se tu sai la strada; io non la chiedo di sicuro. Se sei saggio come al solito, non vedi che i diavoli digrignano i denti e ci lanciano occhiate minacciose?» E lui a me: «Non voglio che tu abbia timore; lasciali pure digrignare i denti come vogliono, poiché fanno così per i dannati immersi nella pece». I diavoli si voltarono a sinistra sull'argine; ma prima ognuno di loro aveva stretto la lingua tra i denti, voltandosi alla loro guida (Barbariccia) come a un segnale convenuto; e quello aveva emesso uno sconcio rumore col sedere. |