La Divina Commedia
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Le Epistole

Sono tredici lettere scritte in latino e indirizzate a vari interlocutori, reali e ideali, concepite da Dante come vere opere letterarie destinate alla pubblicazione. Assai incerta è la loro datazione, anche se  furono sicuramente tutte composte durante l'esilio. In esse Dante affronta vari argomenti, per lo più politici e relativi alla personale vicenda del suo esilio, mentre alcune sono redatte per conto dei signori da cui era ospitato; la lingua e lo stile sono particolarmente curati, con ampio ricorso agli strumenti retorici e ai dettami delle artes dictandi, con l'uso ad esempio del cursus (ovvero la scansione ritmata delle parole, specie alla fine delle frasi). Abbiamo testimonianza di altre lettere scritte da Dante sempre durante l'esilio, che però sono andate perdute.
Questi i destinatari e gli argomenti trattati in ognuna delle Epistole che ci sono giunte:

I - A Niccolò vescovo di Ostia e Velletri, «paciaro» in Toscana, Romagna e Marca Trevigiana
II- A Oberto e Guido, conti di Romena, dopo la morte dello zio Alessandro
III - A Cino da Pistoia, esule come Dante
IV - A Moroello Malaspina, signore di Lunigiana
V - Ai signori d'Italia
VI - Agli «scelleratissimi» Fiorentini
VII - All'imperatore Arrigo VII di Lussemburgo, durante la sua discesa in Italia
VIII, IX, X - Dalla contessa di Battifolle a Margherita di Brabante, moglie di Arrigo VII
XI - Ai cardinali italiani
XII - A un amico fiorentino
XIII - A Cangrande della Scala, signore di Verona

Tra le lettere particolarmente interessanti sono quelle di argomento politico, fra cui la V, la VI e soprattutto la VII, indirizzata all'imperatore Arrigo VII durante la sua discesa in Italia (databile quindi intorno al 1310-1313) in cui Dante esorta il sovrano a mettere da parte gli indugi e stroncare le resistenze dei Comuni italiani guelfi che si oppongono alla sua restaurazione, in particolare Firenze che è a capo del movimento di opposizione antimperiale e contro cui lo scrittore si scaglia con furore biblico.
L'Epistola XI risale al periodo successivo al 20 aprile 1314 (morte di papa Clemente V), quando bisognava eleggere un nuovo pontefice: Dante si rivolge ai cardinali esortandoli a scegliere un papa italiano, che riporti a Roma la sede pontificia spostata da Clemente ad Avignone.
L'Epistola XII fu scritta dopo il 19 maggio 1315 ed è indirizzata a un amico fiorentino (non sappiamo se reale o immaginario), per respingere in modo sdegnato la possibilità di rientrare a Firenze usufruendo dell'amnistia concessa a tutti gli esuli di parte Bianca: Dante rifiuta di ammettere colpe non sue attraverso il pagamento di una multa, affermando orgogliosamente la propria innocenza e ribadendo che rientrerà a Firenze solo alle sue condizioni, ovvero da uomo libero.
L'Epistola XIII è la più discussa, essendo la lettera con cui Dante invia a Cangrande della Scala un gruppo di canti del Paradiso e con la quale gli dedica la III Cantica: nella lettera Dante fornisce al suo illustre protettore alcune spiegazioni circa il contenuto del poema, in particolare sulla struttura allegorica dell'opera in cui sono da individuare quattro «sensi» (letterale, allegorico, morale, anagogico, secondo il modello dell'interpretazione biblica). L'autenticità dell'Epistola è stata più volte messa in dubbio dagli studiosi moderni per via di alcune affermazioni circa l'interpretazione del poema, anche se l'orientamento prevalente oggi è incline a riconoscere la paternità dantesca.
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