Paradiso, Canto IV
S. Dalì, Spiegazione di Beatrice
Fé sì Beatrice qual fé Daniello,
Nabuccodonosor levando d'ira,
che l'avea fatto ingiustamente fello...
"...Quel che Timeo de l'anime argomenta
non è simile a ciò che qui si vede,
però che, come dice, par che senta..."
"...Se violenza è quando quel che pate
niente conferisce a quel che sforza,
non fuor quest'alme per essa scusate..."
Nabuccodonosor levando d'ira,
che l'avea fatto ingiustamente fello...
"...Quel che Timeo de l'anime argomenta
non è simile a ciò che qui si vede,
però che, come dice, par che senta..."
"...Se violenza è quando quel che pate
niente conferisce a quel che sforza,
non fuor quest'alme per essa scusate..."
Argomento del Canto
Ancora nel I Cielo della Luna. Beatrice risolve due dubbi di Dante, circa la sede dei beati e l'inadempienza del voto. Volontà assoluta e relativa. Nuovo dubbio di Dante: le opere buone possono sostituire i voti pronunciati?
È il tardo pomeriggio di mercoledì 13 aprile (o 30 marzo) del 1300.
È il tardo pomeriggio di mercoledì 13 aprile (o 30 marzo) del 1300.
Beatrice intuisce i due dubbi di Dante (1-27)
Il profeta Daniele
Dante ha due dubbi e non sa quale esprimere per primo, come un uomo fra due cibi ugualmente distanti e attrattivi, o un agnello tra due lupi o un cane fra due daini, per cui tace e ciò non è da biasimare né da lodare. Il desiderio di Dante traspare comunque dal suo viso, per cui Beatrice si comporta come Daniele quando indovinò e interpretò il sogno del re Nabucodonor, placando la sua ira. La donna dice di sapere quali sono i due dubbi di Dante, il primo dei quali riguarda l'inadempienza del voto quando essa è causata dalla violenza altrui, mentre il secondo concerne la sede dei beati e si riferisce all'opinione espressa in proposito da Platone nel Timeo. Beatrice si propone di risolverli entrambi, cominciando dal secondo in quanto più pericoloso sul piano della fede.
Beatrice risolve il secondo dubbio sulla sede dei beati (28-63)
L'accademia platonica (mos. I sec. a.C.)
Beatrice spiega che il serafino più vicino a Dio, Mosè, Samuele, Giovanni Battista o Evangelista, la stessa Vergine Maria, hanno tutti la loro sede nello stesso Cielo (l'Empireo) in cui risiedono le anime degli spiriti difettivi, né la loro permanenza lì varia nel numero di anni. Tutti i beati hanno dunque la loro sede nel Cielo più alto, anche se la loro beatitudine varia di intensità. Gli spiriti difettivi si sono mostrati a Dante nel I Cielo non perché confinati in esso, ma solo per manifestare il loro minor grado di felicità. Così, infatti, bisogna parlare all'intelletto umano, che apprende le nozioni attraverso i sensi, per cui la Sacra Scrittura attribuisce tratti fisici a Dio intendendo altro, e la Chiesa raffigura gli arcangeli Gabriele, Michele e Raffaele con aspetto umano. Ciò che Platone afferma nel Timeo sulle anime che tornerebbero dopo la morte alla stella dalla quale sono state separate, è dunque errato se detto in senso letterale, mentre può avere elementi di verità se detto in senso metaforico e se allude all'influenza che gli astri esercitano sulle anime in vita. Questo principio male interpretato indusse il mondo pagano nell'errore e lo spinse a identificare gli dei come Giove, Mercurio, Marte con i rispettivi pianeti.
Beatrice risolve il primo dubbio sui voti inadempiuti (64-90)
Martirio di s. Lorenzo (XIV sec.)
Beatrice si accinge a sciogliere il primo dubbio di Dante sui voti non compiuti, meno pericoloso sul piano dottrinale. La giustizia divina, spiega, può sembrare ingiusta agli uomini e ciò è argomento di fede e non di eresia, ma poiché l'intelletto umano può capire bene questa verità Dante sarà accontentato. Se la violenza avviene quando colui che la subisce non asseconda in nulla colui che la compie, allora gli spiriti difettivi non furono scusati per non aver compiuto il voto: infatti la volontà non viene meno per quanto venga sforzata, come il fuoco tende sempre verso l'alto. Se la volontà si piega alla violenza che patisce, allora la asseconda almeno in parte, e questo fecero quelle anime (Piccarda e Costanza d'Altavilla) perché avrebbero potuto tornare al convento da cui erano state rapite. Se la loro volontà fosse stata irriducibile, come quella che tenne san Lorenzo sulla graticola o quella che spinse Mucio Scevola a bruciarsi la mano destra, essa le avrebbe fatte tornare alla strada da cui erano state sottratte, ma una volontà simile è molto rara. Con queste parole Beatrice ha risolto il dubbio di Dante in proposito, che avrebbe potuto arrecargli ancora danno.
Volontà assoluta e relativa (91-117)
La spiegazione di Beatrice ha acceso un nuovo dubbio in Dante, tale che non potrebbe risolverlo da solo: lei ha detto che le anime beate non possono mentire e il poeta ha sentito da Piccarda che Costanza è sempre stata fedele in cuore alla regola monastica, il che sembra contraddire le parole di Beatrice. La donna spiega che spesso, per evitare un pericolo, si fa quello che non si vorrebbe, come Alcmeone che uccise la madre su preghiera del padre. In questi casi la violenza patita si mescola alla volontà, per cui le offese a Dio non possono essere scusate. La volontà assoluta non acconsente al male, ma quella relativa vi acconsente in quanto ha timore di subire un danno maggiore se si oppone. Dunque, quando Piccarda ha fatto quell'affermazione si riferiva alla volontà assoluta, mentre ciò che ha detto Beatrice riguardava la volontà relativa e tra le due cose non c'è contraddizione. La spiegazione di Beatrice è come un fiume che sgorga dalla fonte di ogni verità (Dio), ed essa placa entrambi i dubbi espressi da Dante.
Volontà assoluta e relativa (91-117)
La spiegazione di Beatrice ha acceso un nuovo dubbio in Dante, tale che non potrebbe risolverlo da solo: lei ha detto che le anime beate non possono mentire e il poeta ha sentito da Piccarda che Costanza è sempre stata fedele in cuore alla regola monastica, il che sembra contraddire le parole di Beatrice. La donna spiega che spesso, per evitare un pericolo, si fa quello che non si vorrebbe, come Alcmeone che uccise la madre su preghiera del padre. In questi casi la violenza patita si mescola alla volontà, per cui le offese a Dio non possono essere scusate. La volontà assoluta non acconsente al male, ma quella relativa vi acconsente in quanto ha timore di subire un danno maggiore se si oppone. Dunque, quando Piccarda ha fatto quell'affermazione si riferiva alla volontà assoluta, mentre ciò che ha detto Beatrice riguardava la volontà relativa e tra le due cose non c'è contraddizione. La spiegazione di Beatrice è come un fiume che sgorga dalla fonte di ogni verità (Dio), ed essa placa entrambi i dubbi espressi da Dante.
Nuovo dubbio di Dante (118-142)
J. Flaxman, Il Cielo della Luna
Dante si rivolge nuovamente a Beatrice e le esprime la sua gratitudine per aver risolto le sue incertezze, che è tale che la donna può essere ricompensata solo da Dio. Dante dichiara che l'intelletto umano non si sazia mai se non è illuminato dalla luce della verità divina, per cui si posa in essa appena l'ha raggiunta, come una fiera nella tana. Tale desiderio di raggiungere la verità fa nascere sempre nuovi dubbi come dei germogli, per effetto di un impulso naturale, e ciò spinge Dante a manifestare a Beatrice una nuova incertezza che è nata in lui. Il poeta vuole sapere se l'uomo può compensare il voto non compiuto con un'opera buona e Beatrice gli rivolge uno sguardo talmente pieno di amore che la vista di Dante è abbagliata ed egli è costretto ad abbassare gli occhi, smarrito.
Interpretazione complessiva
Il Canto rappresenta una nuova pausa didascalica simile a quella del Canto II, destinata a risolvere due dubbi di Dante nati in lui dopo l'incontro con gli spiriti difettivi del Canto precedente, relativi alla sede effettiva dei beati nel Paradiso e al problema dell'inadempienza dei voti quando è causata da violenza. Come già nei Canti I-II è nuovamemente Beatrice a fornire la necessaria spiegazione a Dante alla luce della teologia, secondo uno schema espositivo che tante volte verrà riproposto nella III Cantica: Dante ricopre il ruolo di allievo attento agli insegnamenti della sua guida, ai quali spesso Virgilio lo aveva rinviato nella prima parte del viaggio e che nel Paradiso hanno la funzione di risolvere delicati problemi di natura dottrinale, alcuni dei quali rimandano al cosiddetto traviamento del poeta (del resto Beatrice aveva assunto questa funzione già negli ultimi Canti del Purgatorio, spiegando che la dottrina seguita in passato da Dante era pericolosa sul piano della salvezza).
Il primo dubbio sciolto da Beatrice è quello più insidioso sul piano teologico, ovvero la sede in cui risiedono i beati nel terzo regno: Dante potrebbe essere indotto a credere che le varie schiere di anime siano confinate nei Cieli dalla cui stella hanno subìto in vita l'influenza, ma in realtà tutti i beati hanno sede nell'Empireo ed appaiono a Dante nei vari Cieli per manifestare visivamente i diversi gradi di beatitudine di cui godono. Ciò è dovuto alla necessità di spiegare questi concetti all'intelletto umano con immagini concrete, poiché la ragione umana apprende le nuove nozioni attraverso i sensi, ed è lo stesso motivo per cui non tutto ciò che si legge nelle Sacre Scritture va intepretato alla lettera: esiste un senso letterale ma, talvolta, un sovrasenso allegorico che necessita di un'approfondita esegesi, per cui non è da credere ad esempio che Dio e gli angeli abbiano attributi umani (tale interpretazione in senso «figurale» della Bibbia aveva una lunga tradizione patristica e di essa Dante tiene conto anche nella rappresentazione astratta del Paradiso). La precisazione di Beatrice serve a confutare l'opinione espressa da Platone nel Timeo secondo cui le anime, dopo la morte, tornano alla stella dalla quale si sono separate al momento della venuta al mondo e che si rifaceva alla superstizione per cui gli astri venivano identificati con gli dei pagani: tale credenza, aggiunge Beatrice, non è forse da respingere totalmente, se Platone ha inteso dire che le anime hanno subìto in vita l'influsso della stella, quindi se le sue affermazioni sono da intendere in senso metaforico e non letterale. In questo Dante si rifà alle affermazioni di Alberto Magno nel De natura et origine animae, in cui il filosofo medievale accenna specificamente al Timeo (può darsi che questa sia la fonte dantesca del pensiero platonico) e propone questa interpretazione «allegorica» del filosofo greco, per cui lo stesso poeta ribadisce la possibilità che la dottrina platonica possa essere conciliata alla Scolastica, in maniera non diversa dalla rilettura in chiave cristiana di tanti aspetti del mito pagano tra cui, ad esempio, l'accostamento tra alcune divinità antiche e le intelligenze angeliche (cfr. a riguardo Conv., II, 4).
L'altro dubbio di Dante è legato anch'esso al concetto delle influenze celesti subìte dalle anime sulla Terra e riguarda l'apparente ingiustizia compiuta verso gli spiriti difettivi che non hanno portato a termine i loro voti a causa della violenza altrui. Dante ha già chiarito in modo netto (Purg., XVI, 67 ss., il discorso di Marco Lombardo) che gli influssi astrali possono solo indirizzare gli atti degli uomini, che sono dotati di libero arbitrio e possono dunque scegliere autonomamente tra bene e male; qui nasce un ulteriore problema dal fatto che anime come Piccarda e Costanza hanno subìto un atto di violenza e ciò sembrerebbe giustificare il non compimento del voto, facendo apparire iniquo il minor grado di beatitudine di cui esse godono. La questione è materia di fede ed è affine al problema della mancata salvezza di coloro che non hanno conosciuto il Cristianesimo, che sarà ampiamente affrontata nel Canto XIX: qui Beatrice spiega che quelle anime avrebbero potuto resistere alla violenza patita con un atto supremo della volontà, quindi (nel caso delle due donne citate) rientrare in convento o rifiutarsi di contrarre matrimonio, mentre non l'hanno fatto per umana debolezza e timore di subire più gravi conseguenze. Tale suprema volontà è simile a quella dimostrata da san Lorenzo sulla graticola o da Mucio Scevola nel bruciarsi la mano, ma essa è molto rara e non si può pretendere che tutti ne siano dotati, per cui questi spiriti non sono esclusi dalla beatitudine e, tuttavia, non possono godere del massimo grado di comunione con Dio. Beatrice distingue ulteriormente tra volontà assoluta e relativa (o condizionata), poiché la prima può essere contraria al male, ma la seconda può essere influenzata dalle circostanze del momento e, se colui che subisce violenza la asseconda con la volontà relativa, se ne rende in certo modo complice, non potendo addurre a scusante la prepotenza che gli è stata perpetrata. A questo riguardo Dante si rifà alla dottrina aristotelica dell'Etica Nicomachea (III, 1), secondo la quale ad id quod agitur per metum, voluntas timentis aliquid confert («la volontà di chi teme conferisce qualche cosa a ciò che si fa per timore»), ripresa poi da san Tommaso d'Aquino nella Summa Theologica e dalla Scolastica in genere che distingueva tra absoluta voluntas e voluntas secundum quid. Tale spiegazione è posta nei Canti iniziali del Paradiso in quanto essenziale alla comprensione della struttura del terzo regno e poiché la considerazione della debolezza umana di fronte a influenze di vario tipo poteva ingenerare dubbi insidiosi sul piano escatologico, attribuendo la responsabilità delle azioni degli uomini ad altro che non fosse la libera volontà; a un argomento simile sarà dedicata la prima parte del Canto seguente, in cui Beatrice risponderà al nuovo dubbio di Dante espresso alla fine di questo, ovvero se e in che misura i voti incompiuti possano essere ripagati da una azione virtuosa (il problema dei voti e del loro scioglimento era molto sentito al tempo di Dante e poneva conseguenze non meno rilevanti sul piano della salvezza).
Il primo dubbio sciolto da Beatrice è quello più insidioso sul piano teologico, ovvero la sede in cui risiedono i beati nel terzo regno: Dante potrebbe essere indotto a credere che le varie schiere di anime siano confinate nei Cieli dalla cui stella hanno subìto in vita l'influenza, ma in realtà tutti i beati hanno sede nell'Empireo ed appaiono a Dante nei vari Cieli per manifestare visivamente i diversi gradi di beatitudine di cui godono. Ciò è dovuto alla necessità di spiegare questi concetti all'intelletto umano con immagini concrete, poiché la ragione umana apprende le nuove nozioni attraverso i sensi, ed è lo stesso motivo per cui non tutto ciò che si legge nelle Sacre Scritture va intepretato alla lettera: esiste un senso letterale ma, talvolta, un sovrasenso allegorico che necessita di un'approfondita esegesi, per cui non è da credere ad esempio che Dio e gli angeli abbiano attributi umani (tale interpretazione in senso «figurale» della Bibbia aveva una lunga tradizione patristica e di essa Dante tiene conto anche nella rappresentazione astratta del Paradiso). La precisazione di Beatrice serve a confutare l'opinione espressa da Platone nel Timeo secondo cui le anime, dopo la morte, tornano alla stella dalla quale si sono separate al momento della venuta al mondo e che si rifaceva alla superstizione per cui gli astri venivano identificati con gli dei pagani: tale credenza, aggiunge Beatrice, non è forse da respingere totalmente, se Platone ha inteso dire che le anime hanno subìto in vita l'influsso della stella, quindi se le sue affermazioni sono da intendere in senso metaforico e non letterale. In questo Dante si rifà alle affermazioni di Alberto Magno nel De natura et origine animae, in cui il filosofo medievale accenna specificamente al Timeo (può darsi che questa sia la fonte dantesca del pensiero platonico) e propone questa interpretazione «allegorica» del filosofo greco, per cui lo stesso poeta ribadisce la possibilità che la dottrina platonica possa essere conciliata alla Scolastica, in maniera non diversa dalla rilettura in chiave cristiana di tanti aspetti del mito pagano tra cui, ad esempio, l'accostamento tra alcune divinità antiche e le intelligenze angeliche (cfr. a riguardo Conv., II, 4).
L'altro dubbio di Dante è legato anch'esso al concetto delle influenze celesti subìte dalle anime sulla Terra e riguarda l'apparente ingiustizia compiuta verso gli spiriti difettivi che non hanno portato a termine i loro voti a causa della violenza altrui. Dante ha già chiarito in modo netto (Purg., XVI, 67 ss., il discorso di Marco Lombardo) che gli influssi astrali possono solo indirizzare gli atti degli uomini, che sono dotati di libero arbitrio e possono dunque scegliere autonomamente tra bene e male; qui nasce un ulteriore problema dal fatto che anime come Piccarda e Costanza hanno subìto un atto di violenza e ciò sembrerebbe giustificare il non compimento del voto, facendo apparire iniquo il minor grado di beatitudine di cui esse godono. La questione è materia di fede ed è affine al problema della mancata salvezza di coloro che non hanno conosciuto il Cristianesimo, che sarà ampiamente affrontata nel Canto XIX: qui Beatrice spiega che quelle anime avrebbero potuto resistere alla violenza patita con un atto supremo della volontà, quindi (nel caso delle due donne citate) rientrare in convento o rifiutarsi di contrarre matrimonio, mentre non l'hanno fatto per umana debolezza e timore di subire più gravi conseguenze. Tale suprema volontà è simile a quella dimostrata da san Lorenzo sulla graticola o da Mucio Scevola nel bruciarsi la mano, ma essa è molto rara e non si può pretendere che tutti ne siano dotati, per cui questi spiriti non sono esclusi dalla beatitudine e, tuttavia, non possono godere del massimo grado di comunione con Dio. Beatrice distingue ulteriormente tra volontà assoluta e relativa (o condizionata), poiché la prima può essere contraria al male, ma la seconda può essere influenzata dalle circostanze del momento e, se colui che subisce violenza la asseconda con la volontà relativa, se ne rende in certo modo complice, non potendo addurre a scusante la prepotenza che gli è stata perpetrata. A questo riguardo Dante si rifà alla dottrina aristotelica dell'Etica Nicomachea (III, 1), secondo la quale ad id quod agitur per metum, voluntas timentis aliquid confert («la volontà di chi teme conferisce qualche cosa a ciò che si fa per timore»), ripresa poi da san Tommaso d'Aquino nella Summa Theologica e dalla Scolastica in genere che distingueva tra absoluta voluntas e voluntas secundum quid. Tale spiegazione è posta nei Canti iniziali del Paradiso in quanto essenziale alla comprensione della struttura del terzo regno e poiché la considerazione della debolezza umana di fronte a influenze di vario tipo poteva ingenerare dubbi insidiosi sul piano escatologico, attribuendo la responsabilità delle azioni degli uomini ad altro che non fosse la libera volontà; a un argomento simile sarà dedicata la prima parte del Canto seguente, in cui Beatrice risponderà al nuovo dubbio di Dante espresso alla fine di questo, ovvero se e in che misura i voti incompiuti possano essere ripagati da una azione virtuosa (il problema dei voti e del loro scioglimento era molto sentito al tempo di Dante e poneva conseguenze non meno rilevanti sul piano della salvezza).
Note e passi controversi
Gli esempi citati da Dante ai vv. 1-6 sono affini a quello cosiddetto dell'«asino di Buridano», attribuito al filosofo scolastico francese del XIV sec. secondo cui un asino, posto tra due mucchi di fieno ugualmente distanti e appetibili, morirebbe di fame non sapendo quale scegliere. Dante sostituisce all'asino l'uomo, ovvero un essere dotato di intelletto e non spinto solo dagli appetiti sensibili.
Ai vv. 13-15 si allude al racconto biblico (Dan., II, 1 ss.) in cui il profeta Daniele interpretò il sogno del re babilonese Nabucodonosor, che l'aveva dimenticato e, adirato, voleva condannare a morte i saggi che non erano riusciti a soddisfare le sue richieste.
Al v. 27 felle significa «fiele» e, per estensione, veleno (Beatrice indica che tale opinione è pericolosa sul piano dell'ortodossia).
Al v. 28 s'india è neologismo dantesco e vuol dire «penetra in Dio».
Il v. 33 allude alla dottrina platonica per cui l'anima permarrebbe più o meno a lungo nell'astro a seconda dei meriti.
Ai vv. 43-45 Dante si rifà a san Tommaso, Summa theol., I, q. I, a. 9: conveniens est Sacrae Scripturae divina et spiritualia sub similitudine corporalium tradere... Est autem naturale homini ut per sensibilia ad intellegibilia veniat: quia omnis nostra cognitio a sensu initium habet («è necessario che la Sacra Scrittura tramandi le cose divine e spirituali attraverso similitudini fisiche; del resto è naturale per l'uomo giungere alla conoscenza intellettiva attraverso immagini sensibili, poiché ogni nostra conoscenza prende inizio dai sensi»).
L'altro che Tobia rifece sano (v. 48) è l'arcangelo Raffaele, che guarì Tobia dalla cecità (Tob., III, 25; VI, 16).
Al v. 53 decisa è latinismo e vuol dire «separata» (da decĭdo, «tagliare»).
Al v. 68 argomento è stato variamente interpretato, poiché può voler dire «prova», «dimostrazione», oppure «motivo». Forse Beatrice indica semplicemente che la giustizia divina è argumentum fidei, ovvero materia inconoscibile all'intelletto e che può essere solo oggetto di fede.
I due esempi ai vv. 82-84 sono relativi a san Lorenzo, il martire spagnolo arso vivo su una graticola nel 258 d.C. durante le persecuzioni dell'imperatore Valeriano, e a Gaio Mucio Scevola, il giovane romano che tentò di uccidere il re di Chiusi Porsenna e, avendo fallito, bruciò la mano destra per punirla (Livio, Ab Urbe condita, II, 12). Da osservare che i due esempi sono tratti dalla tradizione cristiana e pagana.
Ai vv. 103-105 Dante allude al mito di Alcmeone, il figlio di Anfiarao che uccise la madre Erifile poiché questa aveva rivelato il nascondiglio del padre (Stazio, Theb., VII, 787-788; Ovidio, Met., IX, 408). Qui Dante dice in maniera imprecisa che era stato Anfiarao a chiedere al figlio di vendicarlo.
Al v. 118 amanza è provenzalismo e vale «prediletta».
La formula esse frustra (v. 129) nel senso di «essere invano» è propria del linguaggio della Scolastica.
L'espressione mia virtute diè le reni (v. 141) indica che la virtù visiva di Dante, sopraffatta dall'aspetto di Beatrice, batte in ritirata, cioè viene meno.
Ai vv. 13-15 si allude al racconto biblico (Dan., II, 1 ss.) in cui il profeta Daniele interpretò il sogno del re babilonese Nabucodonosor, che l'aveva dimenticato e, adirato, voleva condannare a morte i saggi che non erano riusciti a soddisfare le sue richieste.
Al v. 27 felle significa «fiele» e, per estensione, veleno (Beatrice indica che tale opinione è pericolosa sul piano dell'ortodossia).
Al v. 28 s'india è neologismo dantesco e vuol dire «penetra in Dio».
Il v. 33 allude alla dottrina platonica per cui l'anima permarrebbe più o meno a lungo nell'astro a seconda dei meriti.
Ai vv. 43-45 Dante si rifà a san Tommaso, Summa theol., I, q. I, a. 9: conveniens est Sacrae Scripturae divina et spiritualia sub similitudine corporalium tradere... Est autem naturale homini ut per sensibilia ad intellegibilia veniat: quia omnis nostra cognitio a sensu initium habet («è necessario che la Sacra Scrittura tramandi le cose divine e spirituali attraverso similitudini fisiche; del resto è naturale per l'uomo giungere alla conoscenza intellettiva attraverso immagini sensibili, poiché ogni nostra conoscenza prende inizio dai sensi»).
L'altro che Tobia rifece sano (v. 48) è l'arcangelo Raffaele, che guarì Tobia dalla cecità (Tob., III, 25; VI, 16).
Al v. 53 decisa è latinismo e vuol dire «separata» (da decĭdo, «tagliare»).
Al v. 68 argomento è stato variamente interpretato, poiché può voler dire «prova», «dimostrazione», oppure «motivo». Forse Beatrice indica semplicemente che la giustizia divina è argumentum fidei, ovvero materia inconoscibile all'intelletto e che può essere solo oggetto di fede.
I due esempi ai vv. 82-84 sono relativi a san Lorenzo, il martire spagnolo arso vivo su una graticola nel 258 d.C. durante le persecuzioni dell'imperatore Valeriano, e a Gaio Mucio Scevola, il giovane romano che tentò di uccidere il re di Chiusi Porsenna e, avendo fallito, bruciò la mano destra per punirla (Livio, Ab Urbe condita, II, 12). Da osservare che i due esempi sono tratti dalla tradizione cristiana e pagana.
Ai vv. 103-105 Dante allude al mito di Alcmeone, il figlio di Anfiarao che uccise la madre Erifile poiché questa aveva rivelato il nascondiglio del padre (Stazio, Theb., VII, 787-788; Ovidio, Met., IX, 408). Qui Dante dice in maniera imprecisa che era stato Anfiarao a chiedere al figlio di vendicarlo.
Al v. 118 amanza è provenzalismo e vale «prediletta».
La formula esse frustra (v. 129) nel senso di «essere invano» è propria del linguaggio della Scolastica.
L'espressione mia virtute diè le reni (v. 141) indica che la virtù visiva di Dante, sopraffatta dall'aspetto di Beatrice, batte in ritirata, cioè viene meno.
Testo
Intra due cibi, distanti e
moventi
d’un modo, prima si morria di fame, che liber’omo l’un recasse ai denti; 3 sì si starebbe un agno intra due brame di fieri lupi, igualmente temendo; sì si starebbe un cane intra due dame: 6 per che, s’i’ mi tacea, me non riprendo, da li miei dubbi d’un modo sospinto, poi ch’era necessario, né commendo. 9 Io mi tacea, ma ‘l mio disir dipinto m’era nel viso, e ‘l dimandar con ello, più caldo assai che per parlar distinto. 12 Fé sì Beatrice qual fé Daniello, Nabuccodonosor levando d’ira, che l’avea fatto ingiustamente fello; 15 e disse: «Io veggio ben come ti tira uno e altro disio, sì che tua cura sé stessa lega sì che fuor non spira. 18 Tu argomenti: "Se ‘l buon voler dura, la violenza altrui per qual ragione di meritar mi scema la misura?". 21 Ancor di dubitar ti dà cagione parer tornarsi l’anime a le stelle, secondo la sentenza di Platone. 24 Queste son le question che nel tuo velle pontano igualmente; e però pria tratterò quella che più ha di felle. 27 D’i Serafin colui che più s’india, Moisè, Samuel, e quel Giovanni che prender vuoli, io dico, non Maria, 30 non hanno in altro cielo i loro scanni che questi spirti che mo t’appariro, né hanno a l’esser lor più o meno anni; 33 ma tutti fanno bello il primo giro, e differentemente han dolce vita per sentir più e men l’etterno spiro. 36 Qui si mostraro, non perché sortita sia questa spera lor, ma per far segno de la celestial c’ha men salita. 39 Così parlar conviensi al vostro ingegno, però che solo da sensato apprende ciò che fa poscia d’intelletto degno. 42 Per questo la Scrittura condescende a vostra facultate, e piedi e mano attribuisce a Dio, e altro intende; 45 e Santa Chiesa con aspetto umano Gabriel e Michel vi rappresenta, e l’altro che Tobia rifece sano. 48 Quel che Timeo de l’anime argomenta non è simile a ciò che qui si vede, però che, come dice, par che senta. 51 Dice che l’alma a la sua stella riede, credendo quella quindi esser decisa quando natura per forma la diede; 54 e forse sua sentenza è d’altra guisa che la voce non suona, ed esser puote con intenzion da non esser derisa. 57 S’elli intende tornare a queste ruote l’onor de la influenza e ‘l biasmo, forse in alcun vero suo arco percuote. 60 Questo principio, male inteso, torse già tutto il mondo quasi, sì che Giove, Mercurio e Marte a nominar trascorse. 63 L’altra dubitazion che ti commove ha men velen, però che sua malizia non ti poria menar da me altrove. 66 Parere ingiusta la nostra giustizia ne li occhi d’i mortali, è argomento di fede e non d’eretica nequizia. 69 Ma perché puote vostro accorgimento ben penetrare a questa veritate, come disiri, ti farò contento. 72 Se violenza è quando quel che pate niente conferisce a quel che sforza, non fuor quest’alme per essa scusate; 75 ché volontà, se non vuol, non s’ammorza, ma fa come natura face in foco, se mille volte violenza il torza. 78 Per che, s’ella si piega assai o poco, segue la forza; e così queste fero possendo rifuggir nel santo loco. 81 Se fosse stato lor volere intero, come tenne Lorenzo in su la grada, e fece Muzio a la sua man severo, 84 così l’avria ripinte per la strada ond’eran tratte, come fuoro sciolte; ma così salda voglia è troppo rada. 87 E per queste parole, se ricolte l’hai come dei, è l’argomento casso che t’avria fatto noia ancor più volte. 90 Ma or ti s’attraversa un altro passo dinanzi a li occhi, tal che per te stesso non usciresti: pria saresti lasso. 93 Io t’ho per certo ne la mente messo ch’alma beata non poria mentire, però ch’è sempre al primo vero appresso; 96 e poi potesti da Piccarda udire che l’affezion del vel Costanza tenne; sì ch’ella par qui meco contradire. 99 Molte fiate già, frate, addivenne che, per fuggir periglio, contra grato si fé di quel che far non si convenne; 102 come Almeone, che, di ciò pregato dal padre suo, la propria madre spense, per non perder pietà, si fé spietato. 105 A questo punto voglio che tu pense che la forza al voler si mischia, e fanno sì che scusar non si posson l’offense. 108 Voglia assoluta non consente al danno; ma consentevi in tanto in quanto teme, se si ritrae, cadere in più affanno. 111 Però, quando Piccarda quello spreme, de la voglia assoluta intende, e io de l’altra; sì che ver diciamo insieme». 114 Cotal fu l’ondeggiar del santo rio ch’uscì del fonte ond’ogne ver deriva; tal puose in pace uno e altro disio. 117 «O amanza del primo amante, o diva», diss’io appresso, «il cui parlar m’inonda e scalda sì, che più e più m’avviva, 120 non è l’affezion mia tanto profonda, che basti a render voi grazia per grazia; ma quei che vede e puote a ciò risponda. 123 Io veggio ben che già mai non si sazia nostro intelletto, se ‘l ver non lo illustra di fuor dal qual nessun vero si spazia. 126 Posasi in esso, come fera in lustra, tosto che giunto l’ha; e giugner puollo: se non, ciascun disio sarebbe frustra. 129 Nasce per quello, a guisa di rampollo, a piè del vero il dubbio; ed è natura ch’al sommo pinge noi di collo in collo. 132 Questo m’invita, questo m’assicura con reverenza, donna, a dimandarvi d’un’altra verità che m’è oscura. 135 Io vo’ saper se l’uom può sodisfarvi ai voti manchi sì con altri beni, ch’a la vostra statera non sien parvi». 138 Beatrice mi guardò con li occhi pieni di faville d’amor così divini, che, vinta, mia virtute diè le reni, e quasi mi perdei con li occhi chini. 142 |
ParafrasiUn uomo dotato di libera scelta, posto fra due cibi a uguale distanza e ugualmente appetibili, morirebbe di fame prima di mangiarne uno;
così un agnello starebbe tra due lupi che vogliono divorarlo, ugualmente temendo; così starebbe un cane tra due daini: per cui, se io tacevo, non biasimo né lodo me stesso, poiché ciò era inevitabile visto che ero spinto dai miei dubbi allo stesso modo. Io tacevo, ma il mio desiderio era dipinto sul mio viso e insieme ad esso la mia domanda, ancora più evidente che se non avessi parlato. Beatrice si comportò come Daniele quando placò l'ira di Nabucodonosor, che era diventato ingiustamente crudele; e disse: «Vedo bene come entrambi i desideri ti attraggono, così che la tua ansia frena se stessa e non traspare al di fuori. Tu ragioni così: "Se la buona volontà persiste, per quale motivo la violenza altrui diminuisce per me la misura di ben meritare (la mia beatitudine)?". Ti dà ancora motivo di dubitare il fatto che le anime sembrano tornare alle stelle, secondo l'opinione di Platone. Queste sono le questioni che premono in egual misura la tua volontà; perciò tratterò per prima quella che è più pericolosa sul piano dottrinale. Quel Serafino che è più vicino a Dio, Mosè, Samuele, Giovanni Battista o Evangelista, addirittura Maria, hanno la loro sede nello stesso Cielo (Empireo) di questi spiriti che ti sono appena apparsi, né la loro permanenza lì ha una durata più lunga o più breve; ma tutti loro adornano il Cielo più alto, e hanno un grado di felicità diverso a seconda che sentano più o meno lo Spirito Santo. Ti sono apparsi qui nel I Cielo non perché esso sia assegnato loro come sede, ma per manifestare visibilmente il loro minor grado di beatitudine. Bisogna parlare così al vostro ingegno, poiché apprende solo attraverso i sensi ciò che poi diventa oggetto di conoscenza intellettiva. Per questo la Scrittura si adegua alle vostre facoltà e attribuisce tratti fisici a Dio, intendendo altro; e la Santa Chiesa raffigura con aspetto umano gli arcangeli Gabriele e Michele, e l'altro (Raffaele) che guarì Tobia. Ciò che il dialogo platonico Timeo afferma riguardo alle anime è diverso da ciò che si vede qui, dal momento che sembra che il filosofo intenda proprio quello che dice. Platone afferma che l'anima torna dopo la morte alla sua stella, poiché crede che essa se ne sia staccata quando la natura diede ad essa una forma sostanziale; ma forse la sua opinione è diversa dal senso letterale, e in tal caso non è degna di essere derisa. Se Platone vuole attribuire a queste sfere celesti il merito e il biasimo dell'influenza astrale, forse non è lontano dalla verità. Questa dottrina, male interpretata, indusse all'errore quasi tutti i popoli, così che identificarono con i pianeti Giove, Mercurio, Marte. L'altro dubbio che ti tormenta è meno pericoloso, poiché la sua malizia non ti potrebbe allontanare da me (dalla teologia). Il fatto che la giustizia divina possa sembrare iniqua agli occhi degli uomini, è argomento di fede e non di eresia. Ma poiché il vostro intelletto può ben interpretare questa verità, ti accontenterò come desideri. Se la violenza sussiste quando colui che la subisce non asseconda in nulla colui che la compie, allora queste anime non furono scusate per essa; infatti la volontà, se non vuole, non viene meno, ma fa come il fuoco che tende per natura a salire, anche se mille volte la violenza (del vento) lo spinge in basso. Infatti, se la volontà si piega poco o molto, asseconda la violenza; e così fecero queste anime, dal momento che potevano tornare nel loro convento. Se la loro volontà fosse stata integra, come quella che tenne san Lorenzo sulla graticola e quella che indusse Mucio Scevola ad essere severo con la sua mano, essa le avrebbe riportate sulla strada da cui erano state portate via, non appena libere dall'impedimento fisico; ma una volontà suprema di tal genere è troppo rara. E grazie a queste mie parole, se le hai ascoltate nel modo dovuto, è confutato l'argomento che ti avrebbe danneggiato altre volte. Ma ora ti si presenta agli occhi un nuovo interrogativo, tale che non potresti risolverlo da solo: prima ne saresti vinto. Io ti ho detto con certezza che l'anima beata non può mentire, poiché è sempre in comunione con la verità divina; e poi hai sentito da Piccarda che Costanza si mantenne fedele in cuore alla regola monastica, cosicché sembra contraddirmi. Molte volte, fratello, è accaduto che, per sfuggire un pericolo, si fece controvoglia ciò che non bisognava fare; come Alcmeone, che, su preghiera del padre, uccise la propria madre, e mostrandosi devoto diventò spietato. A questo proposito voglio che tu pensi che la violenza si mescola alla volontà, e questo fa sì che le offese compiute non si possono giustificare. La volontà assoluta non acconsente al danno; ma vi acconsente in tanto in quanto teme di subire un danno maggiore, se si tira indietro. Perciò, quando Piccarda esprime quel concetto, parla della volontà assoluta, mentre io parlo di quella relativa; quindi diciamo entrambe una cosa vera». Questo fu il fluire abbondante e scorrevole del santo fiume (le parole di Beatrice) che sgorgò dalla fonte da cui deriva ogni verità (Dio); esso risolse entrambi i miei dubbi. Dopo io dissi: «O prediletta del primo amante (di Dio), o donna divina, le cui parole mi inondano e scaldano al punto che mi ravvivano sempre di più, il mio sentimento non è abbastanza intenso per potervi ringraziare a sufficienza; Colui che tutto vede e tutto può (Dio) lo faccia per me. Vedo bene che il nostro intelletto non si sazia mai, se non è illuminato da quel vero al di fuori del quale nessun'altra verità può sussistere. Esso riposa in quella verità, come una belva nella sua tana, non appena l'ha raggiunta; e la può raggiungere, altrimenti ogni desiderio cadrebbe in vano. Per questo desiderio di conoscenza ai piedi della verità nasce il dubbio, come un germoglio; e la natura ci spinge di altura in altura alla vetta più alta (alla verità). Questo mi rende sicuro e mi spinge a domandarvi con deferenza, donna, di un'altra verità che non mi è chiara. Io voglio sapere se l'uomo può compensare i voti mancati con altre opere di bene, tali che alla vostra bilancia non siano irrisorie». Beatrice mi guardò con gli occhi pieni di scintille di amore così vive, che la mia virtù visiva, vinta, venne meno e per poco non mi smarrii con gli occhi bassi. |