Marco Lombardo
Personaggio di cui si hanno scarse notizie, forse da identificare con un uomo di corte della Lombardia (intesa come la Pianura Padana), più precisamente della Marca Trevigiana, saggio e valente, vissuto nella seconda metà del XIII sec. Dante lo include fra gli iracondi della III Cornice del Purgatorio, facendone il protagonista del Canto XVI della II Cantica. È il penitente a rivolgersi a Dante, chiedendogli chi sia dal momento che attraversa il fumo della Cornice da vivo, e il poeta gli risponde invitandolo a seguirlo. I due procedono nel fumo senza vedersi e Dante conferma di essere vivo, chiedendo poi allo spirito il suo nome: egli si presenta come Marco Lombardo e dichiara di aver coltivato in vita le virtù cavalleresche, ora abbandonate da quasi tutti. Dante ha un dubbio, che le parole di Marco accentuano dopo quelle con cui Guido del Duca (XIV, 37 ss.) aveva espresso il medesimo concetto: la mancanza di virtù nel mondo è colpa degli uomini o degli influssi celesti? Marco risponde con un'espressione di disappunto, poi spiega che se le azioni umane fossero determinate dal Cielo, il libero arbitrio sarebbe distrutto e non sarebbe giusto premiare la virtù e punire le colpe. Il Cielo può dare avvio alle azioni umane, ma poi queste sono il frutto di libere scelte individuali, per cui se il mondo è malvagio la colpa è tutta e solo degli uomini. Per confermare ciò, il penitente spiega che l'anima umana ricerca il piacere, il che la induce talvolta a rivolgersi ai beni materiali e al peccato; per questo esistono le leggi, ma non c'è un potere temporale in grado di farle rispettare con rigore. Questo avviene per la confusione di potere spirituale e temporale, in quanto il papa pretende di governare e sottrae il potere all'imperatore, cosa che provoca i guasti del mondo presente. A conferma di ciò, Marco cita l'esempio di tre vecchi di Lombardia in cui rifulgono ancora le virtù del mondo antico, mentre ora in quella regione esse sono spente: si tratta di Corrado da Palazzo, Gherardo da Camino e Guido da Castello. Dante è soddisfatto della risposta, ma chiede maggiori ragguagli sull'identità di Gherardo. Marco è stupito che Dante, toscano, non lo conosca, e afferma che non saprebbe con quale soprannome indicarlo, se non dicendo che è il padre di Gaia. A questo punto il penitente scorge la luce (del sole, o forse dell'angelo) tra il fumo, per cui si congeda dai due poeti e si allontana da loro.