Guido del Duca
Nobile ravennate della famiglia degli Onesti, signori di Bertinoro, imparentato coi Traversari e i Mainardi, di parte ghibellina; fu per lunghi anni giudice in varie città della Romagna, tra cui Imola, Faenza, Rimini e nella stessa Bertinoro dove visse a lungo. L'ultimo documento che lo cita è del 1249.
Dante lo include fra gli invidiosi della II Cornice del Purgatorio, facendone il protagonista (insieme a Rinieri da Calboli) del Canto XIV della II Cantica; non sappiamo perché gli attribuisca questo peccato. I due penitenti si accorgono che Dante è vivo e non ha gli occhi cuciti, per cui uno di loro gli chiede di dire il proprio nome e il luogo da cui proviene. Dante risponde di provenire dalla valle dell'Arno usando una perifrasi, rifiutando di dire il proprio nome in quanto non è ancora abbastanza noto e sarebbe inutile. Rinieri si domanda perché il poeta abbia omesso di pronunciare il nome dell'Arno e Guido risponde di non saperlo, anche se è giusto che il nome di quella valle sparisca: infatti l'Arno scorre fra terre abitate da popoli che rifuggono ogni virtù, dai Casentinesi (paragonati a porci), agli Aretini (botoli ringhiosi), ai Fiorentini (lupi famelici), fino ai Pisani (volpi dediti alla frode). Guido profetizza a Dante che il nipote di Rinieri, Fulcieri da Calboli, si metterà in caccia dei lupi di Firenze e ne farà strage, uscendo coperto di sangue da quella trista selva che non sarà ripopolata prima di mille anni (Guido allude al fatto che Fulcieri sarà podestà a Firenze nel 1303, diventando lo strumento dei Guelfi Neri nella persecuzione dei Bianchi).
Le parole di Guido fanno turbare Rinieri, per cui Dante prega i due di presentarsi. Guido osserva che il poeta chiede loro di fare ciò che lui rifiuta, ma il privilegio concessogli dalla grazia è tale che non può celare la sua identità e si presenta come Guido del Duca, che in vita fu pieno di invidia. Presenta il suo compagno come Rinieri da Calboli e lo definisce pregio e onore della sua casata, cosa che non può dirsi dei suoi discendenti. Ciò vale anche per altre famiglie nobili della Romagna, che conosce una grave decadenza dei costumi cavallereschi: Guido inizia una lunga rassegna di antichi cavalieri romagnoli, ormai scomparsi e i cui eredi non dimostrano certo lo stesso valore. Ben fanno quelle casate che evitano di lasciare figli, mentre fanno male quelle che lasciano molti eredi; alla fine il penitente prega Dante di andarsene, poiché questi discorsi gli hanno fatto venire la voglia di piangere.
Dante lo include fra gli invidiosi della II Cornice del Purgatorio, facendone il protagonista (insieme a Rinieri da Calboli) del Canto XIV della II Cantica; non sappiamo perché gli attribuisca questo peccato. I due penitenti si accorgono che Dante è vivo e non ha gli occhi cuciti, per cui uno di loro gli chiede di dire il proprio nome e il luogo da cui proviene. Dante risponde di provenire dalla valle dell'Arno usando una perifrasi, rifiutando di dire il proprio nome in quanto non è ancora abbastanza noto e sarebbe inutile. Rinieri si domanda perché il poeta abbia omesso di pronunciare il nome dell'Arno e Guido risponde di non saperlo, anche se è giusto che il nome di quella valle sparisca: infatti l'Arno scorre fra terre abitate da popoli che rifuggono ogni virtù, dai Casentinesi (paragonati a porci), agli Aretini (botoli ringhiosi), ai Fiorentini (lupi famelici), fino ai Pisani (volpi dediti alla frode). Guido profetizza a Dante che il nipote di Rinieri, Fulcieri da Calboli, si metterà in caccia dei lupi di Firenze e ne farà strage, uscendo coperto di sangue da quella trista selva che non sarà ripopolata prima di mille anni (Guido allude al fatto che Fulcieri sarà podestà a Firenze nel 1303, diventando lo strumento dei Guelfi Neri nella persecuzione dei Bianchi).
Le parole di Guido fanno turbare Rinieri, per cui Dante prega i due di presentarsi. Guido osserva che il poeta chiede loro di fare ciò che lui rifiuta, ma il privilegio concessogli dalla grazia è tale che non può celare la sua identità e si presenta come Guido del Duca, che in vita fu pieno di invidia. Presenta il suo compagno come Rinieri da Calboli e lo definisce pregio e onore della sua casata, cosa che non può dirsi dei suoi discendenti. Ciò vale anche per altre famiglie nobili della Romagna, che conosce una grave decadenza dei costumi cavallereschi: Guido inizia una lunga rassegna di antichi cavalieri romagnoli, ormai scomparsi e i cui eredi non dimostrano certo lo stesso valore. Ben fanno quelle casate che evitano di lasciare figli, mentre fanno male quelle che lasciano molti eredi; alla fine il penitente prega Dante di andarsene, poiché questi discorsi gli hanno fatto venire la voglia di piangere.
Personaggi e luoghi collegati
invidiosi - superbi - Rinieri da Calboli - Sapìa - Virgilio
II Cornice - Firenze
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