Sapìa
Appartenne alla famiglia senese dei Salvani (era zia di Provenzano, incluso da Dante fra i superbi della I Cornice del Purgatorio) e fu sposa di Ghinibaldo di Saracino, signore di Castiglioncello presso Monteriggioni (citato da Dante nella similitudine di Inf., XXXI, 41 relativa ai giganti). Non si conosce molto della sua vita, tranne che forse collaborò col marito per la fondazione dell'ospizio di S. Maria per i Pellegrini, lungo la Via Francigena (vi lasciò un legato nel testamento del 1274).
Dante la colloca fra gli invidiosi della II Cornice del Purgatorio, presentandola nel Canto XIII: è Dante a rivolgersi alle anime, che non possono vederlo perché hanno gli occhi cuciti, pregando di dirgli se qualcuna tra esse è di origine italiana; Sapìa risponde dicendo che ognuna di loro è cittadina del Paradiso, mentre in Italia è stata solo di passaggio. Dante chiede alla penitente di presentarsi e questa dichiara di essere stata senese e di chiamarsi Sapìa, benché in vita non sia stata savia (il suo nome era collegato etimologicamente all'agg. savio). Aggiunge che quando i suoi concittadini erano impegnati nella battaglia di Colle Vel d'Elsa contro i Guelfi fiorentini lei pregò Dio di farli sconfiggere, cosa che poi avvenne: fu lieta a tal punto della rotta dei senesi che ebbe l'ardire di rivolgersi a Dio dicendo di non temerlo più. Si pentì in punto di morte e sarebbe ancora nell'Antipurgatorio, se Pier Pettinaio non avesse pregato per la sua anima. Sapìa chiede poi a Dante chi sia, visto che ha intuito che lui è vivo e ha gli occhi aperti, e il poeta risponde che quando sarà in Purgatorio sosterà poco tempo in questa Cornice, avendo molto più timore del peccato di superbia che si sconta in quella sottostante. Sapìa gli chiede chi lo abbia condotto lì e Dante indica Virgilio, aggiungendo che, se la penitente vuole, lui potrà andare da qualcuno per suo conto in Terra. Sapìa gli chiede di restaurare la sua fama presso i concittadini senesi, che definisce come un popolo vano che spera nel porto di Talamone (i Senesi l'avevano acquistato a caro prezzo, per procurarsi uno sbocco sul mare) e non otterrà mai ciò che spera.
Dante la colloca fra gli invidiosi della II Cornice del Purgatorio, presentandola nel Canto XIII: è Dante a rivolgersi alle anime, che non possono vederlo perché hanno gli occhi cuciti, pregando di dirgli se qualcuna tra esse è di origine italiana; Sapìa risponde dicendo che ognuna di loro è cittadina del Paradiso, mentre in Italia è stata solo di passaggio. Dante chiede alla penitente di presentarsi e questa dichiara di essere stata senese e di chiamarsi Sapìa, benché in vita non sia stata savia (il suo nome era collegato etimologicamente all'agg. savio). Aggiunge che quando i suoi concittadini erano impegnati nella battaglia di Colle Vel d'Elsa contro i Guelfi fiorentini lei pregò Dio di farli sconfiggere, cosa che poi avvenne: fu lieta a tal punto della rotta dei senesi che ebbe l'ardire di rivolgersi a Dio dicendo di non temerlo più. Si pentì in punto di morte e sarebbe ancora nell'Antipurgatorio, se Pier Pettinaio non avesse pregato per la sua anima. Sapìa chiede poi a Dante chi sia, visto che ha intuito che lui è vivo e ha gli occhi aperti, e il poeta risponde che quando sarà in Purgatorio sosterà poco tempo in questa Cornice, avendo molto più timore del peccato di superbia che si sconta in quella sottostante. Sapìa gli chiede chi lo abbia condotto lì e Dante indica Virgilio, aggiungendo che, se la penitente vuole, lui potrà andare da qualcuno per suo conto in Terra. Sapìa gli chiede di restaurare la sua fama presso i concittadini senesi, che definisce come un popolo vano che spera nel porto di Talamone (i Senesi l'avevano acquistato a caro prezzo, per procurarsi uno sbocco sul mare) e non otterrà mai ciò che spera.
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invidiosi - superbi - Guido del Duca - Rinieri da Calboli - Virgilio
II Cornice - Firenze
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