La Vita nuova
J. W. Waterhouse, Dante e Beatrice (1915)
È la prima opera organica progettata e realizzata da Dante, che la portò a termine con ogni probabilità negli anni immediatamente successivi alla morte di Beatrice (forse nel 1293-95). Si tratta di un «prosimetro», ovvero un'opera che alterna passi in prosa a componimenti poetici: il libello, come lo definisce Dante stesso, è diviso in 42 capitoli e comprende 31 liriche, tratte dalla precedente produzione stilnovistica dell'autore. I passi in prosa hanno sia funzione narrativa, in quanto raccontano i momenti salienti della vicenda amorosa che legò il poeta a Beatrice, sia funzione di commento e spiegazione delle liriche raccolte, secondo il modello delle razos dei trovatori provenzali.
I testi poetici sono stati composti nell'arco di tutta la giovinezza di Dante e il più antico è databile al 1283, poiché l'autore ci informa di averlo scritto a diciotto anni di età, mentre il più recente risale al primo anniversario della morte di Beatrice, quindi al 1291 (queste date sono da prendere con grande cautela, in quanto la vicenda biografica di Dante e Beatrice è sottoposta dal poeta a una profonda rielaborazione, anche in chiave simbolica). I trentuno testi inseriti nell'opera sono venticinque sonetti, tre canzoni compiute e due incomplete, una ballata. È difficile definire il genere cui appartiene la Vita nuova, dal momento che essa può apparire un romanzo autobiografico (anche se lontanissimo da ogni tipo di narrazione moderna), una raccolta commentata di liriche, un'opera allegorica e simbolica; il titolo stesso è discusso, perché Vita nuova può voler dire «giovinezza» (è il significato che assume l'espressione in Purg., XXX, 115), ma anche «vita rinnovata dall'amore» (le due interpretazioni non si escludono a vicenda). L'opera è dedicata a Guido Cavalcanti, che Dante definisce primo de li miei amici (cap. III).
I testi poetici sono stati composti nell'arco di tutta la giovinezza di Dante e il più antico è databile al 1283, poiché l'autore ci informa di averlo scritto a diciotto anni di età, mentre il più recente risale al primo anniversario della morte di Beatrice, quindi al 1291 (queste date sono da prendere con grande cautela, in quanto la vicenda biografica di Dante e Beatrice è sottoposta dal poeta a una profonda rielaborazione, anche in chiave simbolica). I trentuno testi inseriti nell'opera sono venticinque sonetti, tre canzoni compiute e due incomplete, una ballata. È difficile definire il genere cui appartiene la Vita nuova, dal momento che essa può apparire un romanzo autobiografico (anche se lontanissimo da ogni tipo di narrazione moderna), una raccolta commentata di liriche, un'opera allegorica e simbolica; il titolo stesso è discusso, perché Vita nuova può voler dire «giovinezza» (è il significato che assume l'espressione in Purg., XXX, 115), ma anche «vita rinnovata dall'amore» (le due interpretazioni non si escludono a vicenda). L'opera è dedicata a Guido Cavalcanti, che Dante definisce primo de li miei amici (cap. III).
La narrazione
D. G. Rossetti, Morte di Beatrice
L'opera racconta le tappe principali dell'amore tra Dante e Beatrice, in un arco di tempo che va dal primo incontro dei due a nove anni di età fino al periodo successivo alla morte della donna, anche se la narrazione è priva di alcuni riferimenti fondamentali (Firenze non è mai nominata espressamente, così come è assente qualunque precisa descrizione dei luoghi in cui la vicenda si svolge). Il libro racconta dunque una vicenda autobiografica, che però viene rivisitata e rielaborata secondo elementi simbolici e allegorici, per cui, ad esempio, la morte di Beatrice viene descritta in termini che rimandano a quella di Cristo, di cui la donna è figura.
Dopo il brevissimo proemio (cap. I), Dante descrive il primo incontro con Beatrice quando entrambi hanno nove anni, presentandola come un'angiola giovanissima, vestita di rosso e talmente bella da provocare l'immediato innamoramento (cap. II). Beatrice saluta per la prima volta il poeta nove anni dopo, quando entrambi ne hanno diciotto, rafforzando il sentimento amoroso e provocando in lui una visione in cui c'è già un presagio della futura morte della giovane (capp. III-IV). Un giorno, in chiesa, Dante fissa Beatrice ma i presenti credono che lui stia guardando un'altra donna posta fra i due; Dante non fa nulla per smentire il malinteso e, anzi, lo alimenta per proteggere la sua innamorata dalle chiacchiere dei malparlieri (capp. V-VI: è il motivo della donna-schermo, tipico della tradizione provenzale). A causa della partenza di questa donna da Firenze, Dante la sostituisce con una seconda donna-schermo, ma la finzione crea la fama di una relazione disonesta tra i due, il che provoca il risentimento di Beatrice e la spinge a negare a Dante il suo saluto, nel quale era riposta tutta la gioia del poeta (capp. VII-XI).
Dopo un periodo di smarrimento e sofferenza, accresciuti dalla derisione delle amiche di Beatrice e della stessa donna amata (capp. XII-XVII), Dante raggiunge una nuova maturità, fissata in una nuova poetica: non esprimerà più i suoi sentimenti rivolgendosi all'amata, ma descriverà nei suoi versi la bellezza di Beatrice, rivolgendosi a un nuovo pubblico esperto delle problematiche dell'amore secondo la tradizione di Guinizelli e Cavalcanti (sono le cosiddette nove rime: capp. XVIII-XXI). La morte del padre di Beatrice viene vissuta come un nuovo e più esplicito preannuncio della morte dell'amata, specie in una seconda visione in cui la dipartita della donna è anticipata da elementi che richiamano la morte di Cristo (capp. XXII-XXIII).
Dopo l'affermazione di voler legare l'opera all'uso del volgare, seguono altre rime di lode a Beatrice (capp. XXIV-XXVII), finché la morte di lei inaugura una nuova fase nella produzione poetica di Dante, che ha come fine quello di rappresentare il dolore della perdita (capp. XXVIII-XXXIV). Probabilmente due anni dopo la morte di Beatrice, almeno secondo la successiva indicazione del Convivio, si colloca l'episodio della donna gentile, la quale consola Dante con la propria pietà fino a coinvolgerlo in una nuova passione (capp. XXXV-XXXVIII). A questo punto Dante ha una terza visione di Beatrice, che gli mostra la donna accolta nello splendore dell'Empireo fra i beati, per cui il poeta si vergogna di averne tradito la memoria avvicinandosi a un'altra donna (capp. XXXIX-XLI). Un'ultima mirabile visione di Beatrice spinge Dante a concludere questa fase della propria ricerca, nell'attesa di poter parlare dell'amata in modo più degno, per dire di lei cose che nessun poeta ha mai detto di nessuna donna (cap. XLII).
Dopo il brevissimo proemio (cap. I), Dante descrive il primo incontro con Beatrice quando entrambi hanno nove anni, presentandola come un'angiola giovanissima, vestita di rosso e talmente bella da provocare l'immediato innamoramento (cap. II). Beatrice saluta per la prima volta il poeta nove anni dopo, quando entrambi ne hanno diciotto, rafforzando il sentimento amoroso e provocando in lui una visione in cui c'è già un presagio della futura morte della giovane (capp. III-IV). Un giorno, in chiesa, Dante fissa Beatrice ma i presenti credono che lui stia guardando un'altra donna posta fra i due; Dante non fa nulla per smentire il malinteso e, anzi, lo alimenta per proteggere la sua innamorata dalle chiacchiere dei malparlieri (capp. V-VI: è il motivo della donna-schermo, tipico della tradizione provenzale). A causa della partenza di questa donna da Firenze, Dante la sostituisce con una seconda donna-schermo, ma la finzione crea la fama di una relazione disonesta tra i due, il che provoca il risentimento di Beatrice e la spinge a negare a Dante il suo saluto, nel quale era riposta tutta la gioia del poeta (capp. VII-XI).
Dopo un periodo di smarrimento e sofferenza, accresciuti dalla derisione delle amiche di Beatrice e della stessa donna amata (capp. XII-XVII), Dante raggiunge una nuova maturità, fissata in una nuova poetica: non esprimerà più i suoi sentimenti rivolgendosi all'amata, ma descriverà nei suoi versi la bellezza di Beatrice, rivolgendosi a un nuovo pubblico esperto delle problematiche dell'amore secondo la tradizione di Guinizelli e Cavalcanti (sono le cosiddette nove rime: capp. XVIII-XXI). La morte del padre di Beatrice viene vissuta come un nuovo e più esplicito preannuncio della morte dell'amata, specie in una seconda visione in cui la dipartita della donna è anticipata da elementi che richiamano la morte di Cristo (capp. XXII-XXIII).
Dopo l'affermazione di voler legare l'opera all'uso del volgare, seguono altre rime di lode a Beatrice (capp. XXIV-XXVII), finché la morte di lei inaugura una nuova fase nella produzione poetica di Dante, che ha come fine quello di rappresentare il dolore della perdita (capp. XXVIII-XXXIV). Probabilmente due anni dopo la morte di Beatrice, almeno secondo la successiva indicazione del Convivio, si colloca l'episodio della donna gentile, la quale consola Dante con la propria pietà fino a coinvolgerlo in una nuova passione (capp. XXXV-XXXVIII). A questo punto Dante ha una terza visione di Beatrice, che gli mostra la donna accolta nello splendore dell'Empireo fra i beati, per cui il poeta si vergogna di averne tradito la memoria avvicinandosi a un'altra donna (capp. XXXIX-XLI). Un'ultima mirabile visione di Beatrice spinge Dante a concludere questa fase della propria ricerca, nell'attesa di poter parlare dell'amata in modo più degno, per dire di lei cose che nessun poeta ha mai detto di nessuna donna (cap. XLII).
Fonti e modelli
Nell'opera si fondono elementi provenienti da diverse fonti, religiose e profane (queste ultime sia classiche che medievali), dimostrando la capacità di Dante di sintetizzare apporti culturali diversi al fine di creare un prodotto originale e personalmente rielaborato, come poi avverrà su un livello più alto nella Commedia. La struttura del prosimetro si ritrova in varie opere mediolatine e provenzali, specie nel De consolatione philosophiae («Sulla consolazione della filosofia») di Severino Boezio, autore del VI sec. che esalta il potere della ricerca filosofica. Altro contributo fondamentale è offerto dalle Confessioni di sant'Agostino (V sec.), soprattutto per quanto riguarda il tema, centrale nel libello, dell'introspezione psicologica e personale.
Alla tradizione trobadorica e cortese l'opera si ricollega per i generi della vida e della razo, ovvero della narrazione biografica contenuta nel canzoniere di un trovatore e del commento in prosa del significato dei testi poetici. Il libro si rifà anche al genere religioso dell'agiografia, ovvero la biografia dei santi di ambito soprattutto francescano, in quanto al modello dell'alter Christus rappresentato da Francesco si può avvicinare la figura di Beatrice, vera e propria allegoria di Cristo e della grazia. Il linguaggio e lo stile, a tratti elevati e retoricamente sostenuti, si rifanno molto agli stilemi propri del linguaggio biblico e in generale alla tradizione delle Sacre Scritture.
Alla tradizione trobadorica e cortese l'opera si ricollega per i generi della vida e della razo, ovvero della narrazione biografica contenuta nel canzoniere di un trovatore e del commento in prosa del significato dei testi poetici. Il libro si rifà anche al genere religioso dell'agiografia, ovvero la biografia dei santi di ambito soprattutto francescano, in quanto al modello dell'alter Christus rappresentato da Francesco si può avvicinare la figura di Beatrice, vera e propria allegoria di Cristo e della grazia. Il linguaggio e lo stile, a tratti elevati e retoricamente sostenuti, si rifanno molto agli stilemi propri del linguaggio biblico e in generale alla tradizione delle Sacre Scritture.
La nuova poetica del libello, tra simbolo e allegoria
M. Spatali Stillman, Beatrice
Le rime raccolte nella Vita nuova esemplificano, almeno in parte, l'evoluzione della poesia di Dante, che parte da modelli siculo-toscani per poi aderire pienamente allo Stilnovo, subendo in particolare l'influenza di Guinizelli (per il binomio amore-cuore nobile, la figura della donna-angelo, il motivo del saluto) e di Cavalcanti (per la «teatralizzazione» del mondo interiore con gli spiriti e l'alto impegno filosofico con cui il tema amoroso è affrontato). Nell'opera, tuttavia, Dante conquista una posizione di assoluta originalità rispetto ai maestri stilnovisti: egli ne utilizza gli insegnamenti per elaborare una nuova poetica, in cui l'interesse non è più centrato sugli effetti che l'amore provoca sull'animo del poeta ma nella descrizione della donna amata, per cui le lodi diventano lo scopo prioritario della scrittura poetica. Inoltre il tema propriamente stilnovistico della donna angelicata acquista un più profondo significato teologico, per cui Beatrice non è più solo colei che dà beatitudine, ma diventa il tramite fra gli uomini sulla Terra e Dio in cielo, tra esperienza individuale e storia universale (la donna è una cosa venuta / da cielo in terra a miracol mostrare, come afferma il sonetto Tanto gentile contenuto nel cap. XXVI, quindi è il collegamento tra verità incarnata e verità trascendente).
Il libello diventa quindi qualcosa di più profondo di una semplice vicenda autobiografica, è il racconto di un amore che da umano e terreno si fa via via più spiritualizzato e porta l'uomo a un vero rapimento estatico, che lo mette in comunione con la dimensione del divino. In questo senso è possibile interpretare Beatrice come figura Christi e, quindi, allegoria della grazia santificante e della teologia già nella Vita nuova, come poi avverrà in modo più compiuto nell'architettura allegorica della Commedia; allo stesso modo la donna gentile, che qui non è altro che una nobildonna che consola Dante della sua perdita, verrà reinterpretata nel Convivio come allegoria della filosofia, lo studio della quale consolò il poeta della morte della gentilissima (ed è, forse, all'origine del traviamento morale descritto poi nella selva oscura del poema). Il punto è che Dante utilizza i dati biografici e artistici in modo da creare un sistema organico e coerente, aperto alla possibilità di successive reinterpretazioni e tuttavia stabile nelle sue caratteristiche salienti; una sorta di «mitologia» personale, entro la quale è assai difficile distinguere tra verità storica e creazione fantastica, cosa che del resto avverrà anche nella Commedia. A ciò contribuisce anche il riferimento insistito al numero nove, l'uso delle simmetrie compositive che fanno parte integrante della mentalità medievale così lontana dalla nostra, il che suggerisce grande prudenza nel prendere come dati oggettivi gli elementi della narrazione che l'autore ci propone nel suo racconto. Di certo è innegabile un forte legame letterario e biografico tra la Vita nuova e la Commedia, dal momento che il poema presuppone nel lettore la conoscenza dell'opera giovanile di cui è, in certo qual modo, la continuazione: le rispondenze sono a livello tematico, nella mitizzazione e allegorizzazione di Beatrice su cui si insiste soprattutto negli ultimi Canti del Purgatorio, nonché in frequenti riprese stilistiche e lessicali.
Il libello diventa quindi qualcosa di più profondo di una semplice vicenda autobiografica, è il racconto di un amore che da umano e terreno si fa via via più spiritualizzato e porta l'uomo a un vero rapimento estatico, che lo mette in comunione con la dimensione del divino. In questo senso è possibile interpretare Beatrice come figura Christi e, quindi, allegoria della grazia santificante e della teologia già nella Vita nuova, come poi avverrà in modo più compiuto nell'architettura allegorica della Commedia; allo stesso modo la donna gentile, che qui non è altro che una nobildonna che consola Dante della sua perdita, verrà reinterpretata nel Convivio come allegoria della filosofia, lo studio della quale consolò il poeta della morte della gentilissima (ed è, forse, all'origine del traviamento morale descritto poi nella selva oscura del poema). Il punto è che Dante utilizza i dati biografici e artistici in modo da creare un sistema organico e coerente, aperto alla possibilità di successive reinterpretazioni e tuttavia stabile nelle sue caratteristiche salienti; una sorta di «mitologia» personale, entro la quale è assai difficile distinguere tra verità storica e creazione fantastica, cosa che del resto avverrà anche nella Commedia. A ciò contribuisce anche il riferimento insistito al numero nove, l'uso delle simmetrie compositive che fanno parte integrante della mentalità medievale così lontana dalla nostra, il che suggerisce grande prudenza nel prendere come dati oggettivi gli elementi della narrazione che l'autore ci propone nel suo racconto. Di certo è innegabile un forte legame letterario e biografico tra la Vita nuova e la Commedia, dal momento che il poema presuppone nel lettore la conoscenza dell'opera giovanile di cui è, in certo qual modo, la continuazione: le rispondenze sono a livello tematico, nella mitizzazione e allegorizzazione di Beatrice su cui si insiste soprattutto negli ultimi Canti del Purgatorio, nonché in frequenti riprese stilistiche e lessicali.