La Divina Commedia
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Falsari

Sono i dannati della X e ultima Bolgia dell'VIII Cerchio, la cui pena è mostrata da Dante nei Canti XXIX-XXX dell'Inferno: sono divisi in quattro schiere, ovvero i falsari di metalli (alchimisti), di persona, di parola e di monete. Gli alchimisti sono affetti da una sorta di scabbia lebbrosa che ricopre il loro corpo di croste purulente, i falsari di persona sono preda di una follia rabbiosa, quelli di parola sono fiaccati dalla febbre e quelli di monete sono colpiti da idropisia, col ventre gonfio d'acqua e tormentati dalla sete.
Dante include tra gli alchimisti Griffolino d'Arezzo, arso vivo come eretico prima del 1272 per volontà di Albero da Siena, al quale avrebbe detto per scherzo di saper volare (il signore gli chiese di dimostrarlo e di fronte al suo rifiuto chiese al vescovo della città di bruciarlo: il fatto è narrato da alcuni commentatori) e Capocchio da Siena (o forse da Firenze), arso vivo come alchimista nel 1293 e che a quanto riferiscono i commentatori conobbe direttamente Dante. I due dannati compaiono alla fine del Canto XXIX, appoggiati l'uno all'altro e intenti a grattarsi le croste: Griffolino narra la sua storia e Dante commenta che i Senesi sono proverbialmente sciocchi e frivoli, cosa che è confermata da Capocchio. Questi afferma ironicamente che tra i Senesi devono essere salvati solo Stricca dei Salimbeni e il fratello Niccolò, dediti a spese folli, e la cosiddetta «brigata spendereccia» formata da dodici giovani che dilapidarono in sciocchezze i loro averi.
Tra i falsari di persona troviamo poi (Canto XXX) Gianni Schicchi dei Cavalcanti, fiorentino, morto prima del 1280 (finse di essere Buoso Donati, appena morto, mettendosi nel letto al suo posto e dettando un falso testamento a favore del nipote di Buoso, Simone, appropriandosi di una bella giumenta) e Mirra, la mitica figlia del  re di Cipro Ciniro che, innamorata del padre, si finse un'altra donna per giacere con lui e fu poi tramutata in pianta. I due dannati assalgono a morsi Capocchio e Griffolino, ed è poi quest'ultimo a indicare entrambi a Dante, spiegando nei dettagli l'inganno perpetrato da Gianni ai danni di Buoso (quest'ultimo potrebbe essere nipote dell'omonimo ladro visto nella VII Bolgia, nel Canto XXV).
Tra i falsari di monete Dante include Mastro Adamo, forse da identificare con un artigiano inglese vissuto a Bologna intorno al 1270 e dipendente dai conti Guidi di Romena: questi lo istigarono a falsificare il fiorino di Firenze e per questo fu arso sul rogo nel 1281. Il dannato ha il ventre enormemente gonfio a causa dell'idropisia ed è descritto da Dante come una sorta di liuto: è lui a presentarsi e a dichiarare la propria colpa, affermando di sognare i freschi ruscelli del Casentino dove sorge Romena e dove commise la falsificazione per cui fu bruciato. Adamo augura la dannazione anche ai conti di Romena Guido II, Alessandro e Aghinolfo, figli di Guido I di Romena che lo spinsero al peccato: Guido II, a quanto ha sentito, è già in quella Bolgia e lui vorrebbe potersi alzare per andare a vederlo.
Dante chiede poi al dannato chi siano i due compagni di pena accanto a lui che bruciano di febbre, e Mastro Adamo li presenta come falsari di parola: essi sono la moglie di Putifarre, che secondo il racconto biblico accusò ingiustamente Giuseppe di violenza (Gen., XXXIX) e il greco Sinone, che secondo il mito classico aveva ingannato i Troiani con il falso racconto del cavallo di Troia (Aen., II, 147 ss.). Sententosi nominato, Sinone colpisce Adamo sul ventre con un pugno e i due iniziano una volgare rissa in cui si scambiano improperi di vario tipo. Dante si attarda ad assistere all'alterco e alla fine dell'episodio Virgilio gli rivolgerà un aspro rimprovero.

Per approfondire, ecco un breve video dal canale YouTube "La Divina Commedia in HD"

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