La Divina Commedia
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Seminatori di discordie

Sono i dannati della IX Bolgia dell'VIII Cerchio, la cui pena è mostrata da Dante nei Canti XXVIII-XXIX dell'Inferno: sono orrendamente mutilati da un diavolo armato di spada, che li fa a pezzi come essi hanno creato ad arte lacerazioni in campo politico, religioso, sociale; prima che siano tornati davanti al demone avendo compiuto un giro completo della Bolgia, le ferite si sono rimarginate.
Dante colloca fra questi peccatori Maometto, tagliato dal mento all'ano e paragonato a una botte priva del fondo (la sua descrizione usa termini crudi e volgari). È lui a spiegare la natura del loro peccato e la pena del contrappasso, ovvero il fatto che essi hanno seminato scandalo e scisma e quindi sono fessi, fatti a pezzi nello stesso modo. Maometto indica come suo compagno di pena Alì, suo cugino e quarto successore come califfo: Alì è tagliato dal mento alla fronte, in modo complementare rispetto al profeta dell'Islam, probabilmente in quanto ne proseguì l'opera (è quasi impossibile che Dante sapesse dello scisma sciita in seno all'Islam, di cui peraltro Alì non fu che causa indiretta).
Viene poi presentato Pier da Medicina, personaggio di cui non si sa praticamente nulla se non quanto dice di lui Dante, ovvero che fu originario della Pianura Padana (si è ipotizzato che seminasse discordia in campo politico, ma è pura congettura). Il dannato predice la proditoria uccisione di due personaggi, Guido del Cassero e Angiolello da Carignano, ad opera di Malatestino di Verrucchio, il signore di Rimini: questi li avrebbe attirati in un tranello col pretesto di un abboccamento, per poi farli gettare in mare da una nave presso Cattolica (del fatto non c'è alcuna testimonianza certa e alcuni hanno ipotizzato che Pier da Medicina se lo inventi per seminare zizzania tra i vivi). Il dannato indica poi un compagno di pena, quel Curione che secondo il racconto di Lucano avrebbe spinto Cesare a varcare il Rubicone nel 49 a.C. dando così inizio alla guerra con Pompeo: Pier da Medicina gli apre la bocca e mostra che la sua lingua è stata mozzata, il che rende Curione sbigottito.
Dopo l'apparizione di Mosca dei Lamberti, che ha le mani mozzate e alza i moncherini facendo cadere il sangue sul volto, Dante presenta l'anima di Bertram del Bornio (Bertran de Born), trovatore provenzale vissuto tra 1140 e 1215 che lui stesso aveva lodato nel DVE come esempio di poeta d'armi (II, 2). Il dannato ha la testa mozzata e la tiene in mano come una lanterna, rivolgendosi poi a Dante che lo osserva dal ponte: egli alza il braccio protendendo la testa che parla, presentandosi e dichiarando che la sua pena è la più grave di tutto l'Inferno. Dichiara di avere messo discordia tra Enrico II, re d'Inghilterra e duca d'Aquitania di cui lui era feudatario, e il figlio Enrico III, come Achitofel aizzò Assalonne contro il padre David. Il dannato conclude indicando la sua pena come il giusto contrapasso per aver diviso il padre dal figlio, visto che ora lui ha il capo diviso dal resto del corpo.
All'inizio del Canto XXIX è poi evocata la presenza nella Bolgia di Geri del Bello: Virgilio ha rimproverato Dante perché si è attardato ad osservare i dannati nella Bolgia e il poeta si giustifica asserendo che in quel luogo dovrebbe trovarsi qualcuno della sua famiglia. Virglio riferisce che mentre Dante era intento alle parole di Bertan de Born, un dannato lo ha indicato minacciosamente col dito ed è stato indicato dagli altri come Geri del Bello: Dante spiega che si tratta di un suo parente, ucciso proditoriamente e ancora invendicato da parte della sua consorteria. Geri del Bello era figlio di Bello di Aligherio I, cugino primo del padre di Dante, e fu processato in contumacia a Prato nel 1280 per rissa e percosse; incerte le testimonianze sul suo conto, ma pare che fosse stato ucciso da un Brodaio dei Sacchetti, fatto per cui fu stipulata una pace tra le due famiglie nel 1342.


Personaggi e luoghi collegati
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