Spiriti operanti per la gloria terrena
Sono i beati che appaiono a Dante nel II Cielo del Paradiso, in quanto in vita subirono l'influsso di Mercurio che nel mito classico era il messaggero degli dei e veniva associato alla vita mercantile e al lucro: essi operarono per la gloria terrena e quindi godono di un grado di felicità eterna superiore solo agli spiriti del I Cielo. Sono descritti nei Canti V-VI del Paradiso: dopo l'ingresso nel II Cielo, Dante vede ben più di mille splendori farglisi incontro come pesci che si avvicinano alla superficie di una peschiera, e ciascuno manifesta il desiderio di accrescere la propria carità rispondendo alle domande di Dante. Rispetto agli spiriti difettivi, ancora in possesso di una forma vagamente umana, questi beati appaiono totalmente avvolti dalla luce, nella quale la sagoma umana è a malapena distinguibile: Dante include tra essi l'anima dell'imperatore Giustiniano, che invita il poeta a porgli liberamente degli interrogativi. Sarà proprio lui a spiegargli la condizione di queste anime (VI, 112-126), dicendo che esse furono attive per ricercare onore e fama e aggiungendo che quando i desideri sono rivolti a beni terreni, pur compiendo azioni virtuose, si ricerca in minor misura l'amore divino. Giustiniano precisa inoltre che il minor grado di beatitudine che essi godono non è motivo di rimpianto, confermando quanto già spiegato da Piccarda Donati (Canto III).
L'imperatore indica anche l'anima di Romeo di Villanova, ministro e gran siniscalco di Raimondo Berengario IV conte di Provenza, vissuto tra 1170 e 1250: alla morte di Raimondo divenne tutore della figlia Beatrice, che andò poi in sposa a Carlo I d'Angiò, e amministrò la contea sino alla morte. Dante accoglie una leggenda che circolava al suo tempo ed è attestata anche da G. Villani, in base alla quale Romeo, oscuro pellegrino, fu accolto alla corte di Raimondo di cui divenne ministro, conquistandone il favore: raddoppiò le rendite dello Stato e riuscì a ottenere per le quattro figlie del suo signore onorevoli nozze. L'invidia dei cortigiani spinse Raimondo a chiedere conto del suo operato a Romeo, il quale si allontanò dalla Provenza povero come era venuto e senza dare più notizie di sé. Nella figura dell'umile pellegrino sembra essere adombrata quella di Dante stesso, cacciato in esilio dai suoi concittadini di Firenze nonostante il suo operare virtuoso.
L'imperatore indica anche l'anima di Romeo di Villanova, ministro e gran siniscalco di Raimondo Berengario IV conte di Provenza, vissuto tra 1170 e 1250: alla morte di Raimondo divenne tutore della figlia Beatrice, che andò poi in sposa a Carlo I d'Angiò, e amministrò la contea sino alla morte. Dante accoglie una leggenda che circolava al suo tempo ed è attestata anche da G. Villani, in base alla quale Romeo, oscuro pellegrino, fu accolto alla corte di Raimondo di cui divenne ministro, conquistandone il favore: raddoppiò le rendite dello Stato e riuscì a ottenere per le quattro figlie del suo signore onorevoli nozze. L'invidia dei cortigiani spinse Raimondo a chiedere conto del suo operato a Romeo, il quale si allontanò dalla Provenza povero come era venuto e senza dare più notizie di sé. Nella figura dell'umile pellegrino sembra essere adombrata quella di Dante stesso, cacciato in esilio dai suoi concittadini di Firenze nonostante il suo operare virtuoso.
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spiriti difettivi - spiriti amanti - spiriti sapienti - spiriti combattenti per la fede - spiriti giusti - spiriti contemplanti - Beatrice - Giustiniano
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