Spiriti contemplanti
Sono i beati che appaiono a Dante nel VII Cielo di Saturno, di cui subirono in vita l'influsso dedicandosi alla contemplazione di Dio e alla preghiera: sono descritti nei Canti XXI e XXII del Paradiso e si manifestano come luci che scendono lungo i gradini di una scala dorata, la quale sale verso l'alto a perdita d'occhio e simboleggia chiaramente la contemplazione come mezzo di ascesa a Dio. Dante descrive le anime (XXI) ricorrendo a una similitudine con le pole, i corvi grigi che nelle mattine d'inverno si muovono per scaldarsi, in modo tale che alcuni volano via senza tornare, altri tornano al punto da cui si erano allontanati e altri volteggiano sempre nello stesso punto (probabilmente Dante intende dire solo che le luci dei beati compiono vari movimenti lungo i gradini della scala, senza assegnare un valore simbolico ad ogni singolo gesto). Uno degli spiriti (Pier Damiani) si ferma più vicino a Dante e Beatrice, per cui il poeta gli chiede perché si trattenga presso di lui e per quale ragione i beati non cantano come nei Cieli inferiori: lo spirito spiega dapprima che il loro silenzio ha la stessa ragione del fatto che Beatrice non sorride (l'udito di Dante ne sarebbe irrimediabilmente danneggiato, essendo troppo debole), quindi precisa che egli è stato prescelto per scendere lungo la scala e festeggiare la presenza di Dante, per il quale non prova un affetto superiore a quello degli altri. In seguito il beato spiega che la predestinazione è imperscrutabile, quindi è impossibile dire per quale motivo proprio lui sia stato designato a compiere la sua ambasceria a Dante, poi si presenta come Pier Damiani e descrive il monastero di Fonte Avellana, nel quale visse in meditazione e che un tempo era ricco di anime sante e devote, mentre ormai il lusso sfrenato si è diffuso tra gli alti prelati della Chiesa. Le altre anime scendono dalla scala roteando intorno al santo e accrescendo il proprio splendore, quindi alzano un grido fortissimo di cui Dante non riesce a comprendere il significato.
In seguito (XXII) Beatrice spiega al poeta che il grido preannunciava la giusta punizione divina contro la corruzione ecclestiastica, anche se Dante non è stato in grado di capire. Su invito di Beatrice rivolge ancora lo sguardo alla scala d'oro e vede innumerevoli sfere lucenti che si illuminano a vicenda, quindi la più splendente di tutte inizia a parlare e si presenza come san Benedetto da Norcia, colui che portò il messaggio cristiano presso i pagani di Monte Cassino. Il beato indica poi le anime di altri spiriti contemplanti, tra cui san Macario e san Romualdo degli Onesti: il primo è di difficile identificazione, poiché vi furono molti eremiti e anacoreti con quel nome, anche se Dante probabilmente allude a san Macario l'Egiziano, vissuto intorno nel IV sec., oppure a Macario l'Alessandrino, contemporaneo del precedente e che visse nel deserto vicino alla città egiziana; entrambi erano discepoli di sant'Antonio e venivano spesso confusi, per cui non è da escludere che anche Dante faccia lo stesso (la fonte potrebbe essere la Legenda aurea di Jacopo da Varazze, dove elementi biografici dei due anacoreti sono attribuiti allo stesso personaggio). Il secondo beato, Romualdo, era nato a Ravenna verso il 956 e istituì l'Ordine camaldolese nel 1018, fondando tra l'altro l'eremo di Camaldoli in Toscana (citato in Purg., V, 96); morì nel 1027 e una sua biografia fu scritta da Pier Damiani, appartenente al suo stesso Ordine. Nel finale dell'episodio Dante chiede a san Benedetto di mostrare il suo aspetto celato dalla luce, cosa che però sarà possibile solo nell'Empireo dove tutti i desideri sono appagati, quindi il beato pronuncia una dura invettiva contro la corruzione dei Benedettini, preannunciando la prossima punizione divina. Al termine del suo discorso il santo si raccoglie con le altre anime e tutte le luci salgono rapidissime verso l'alto, lungo la scala d'oro, imitato in seguito da Dante che viene sospinto da Beatrice.
In seguito (XXII) Beatrice spiega al poeta che il grido preannunciava la giusta punizione divina contro la corruzione ecclestiastica, anche se Dante non è stato in grado di capire. Su invito di Beatrice rivolge ancora lo sguardo alla scala d'oro e vede innumerevoli sfere lucenti che si illuminano a vicenda, quindi la più splendente di tutte inizia a parlare e si presenza come san Benedetto da Norcia, colui che portò il messaggio cristiano presso i pagani di Monte Cassino. Il beato indica poi le anime di altri spiriti contemplanti, tra cui san Macario e san Romualdo degli Onesti: il primo è di difficile identificazione, poiché vi furono molti eremiti e anacoreti con quel nome, anche se Dante probabilmente allude a san Macario l'Egiziano, vissuto intorno nel IV sec., oppure a Macario l'Alessandrino, contemporaneo del precedente e che visse nel deserto vicino alla città egiziana; entrambi erano discepoli di sant'Antonio e venivano spesso confusi, per cui non è da escludere che anche Dante faccia lo stesso (la fonte potrebbe essere la Legenda aurea di Jacopo da Varazze, dove elementi biografici dei due anacoreti sono attribuiti allo stesso personaggio). Il secondo beato, Romualdo, era nato a Ravenna verso il 956 e istituì l'Ordine camaldolese nel 1018, fondando tra l'altro l'eremo di Camaldoli in Toscana (citato in Purg., V, 96); morì nel 1027 e una sua biografia fu scritta da Pier Damiani, appartenente al suo stesso Ordine. Nel finale dell'episodio Dante chiede a san Benedetto di mostrare il suo aspetto celato dalla luce, cosa che però sarà possibile solo nell'Empireo dove tutti i desideri sono appagati, quindi il beato pronuncia una dura invettiva contro la corruzione dei Benedettini, preannunciando la prossima punizione divina. Al termine del suo discorso il santo si raccoglie con le altre anime e tutte le luci salgono rapidissime verso l'alto, lungo la scala d'oro, imitato in seguito da Dante che viene sospinto da Beatrice.
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Beatrice - Pier Damiani - san Benedetto
VII Cielo (di Saturno)
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