San Francesco d'Assisi
Caravaggio, S. Francesco in meditazione (1605)
Nato ad Assisi, in Umbria, il 26 sett. 1181 (o 1182), figlio del ricco mercante Pietro Bernardone, condusse vita spensierata e gaudente sino alla prigionia di oltre un anno dopo la battaglia di Ponte San Giovanni contro Perugia (1202), in seguito alla quale fu colto da una crisi religiosa che lo portò alla conversione (1206). Iniziò ad aiutare i bisognosi e a donare le sue ricchezze, così che il padre lo convocò davanti alla corte episcopale e in quella sede Francesco si spogliò pubblicamente, rinunciando di fatto all'eredità (1207). Proseguì nella predicazione di una vita semplice e modesta, curando i malati e mendicando; raccolse intorno a sé un certo numero di seguaci, organizzandoli secondo una Regola che fu approvata prima da papa Innocenzo III (1210) e poi da Onorio III (1223). Compì un viaggio pacifico in Terrasanta (1219), dove incontrò il Sultano che tentò vanamente di convertire. Rientrato in Italia e amareggiato dai contrasti tra i confratelli, si ritirò nell'eremo della Verna, presso Arezzo, dove (secondo la leggenda) ricevette le stimmate nel 1224. Malato e quasi totalmente cieco, compose (forse nel 1224) il «Cantico di Frate Sole», primo testo letterario in volgare italiano, quindi morì nel 1226 nella Porziuncola, una chiesetta divenuta la sede dell'Ordine ad Assisi. Per sua volontà venne sepolto nella nuda terra e papa Gregorio IX lo proclamò santo nel 1228 (festa il 4 ottobre).
Dante lo include ovviamente tra i beati del Paradiso, mostrandolo seduto nella rosa celeste illustrata nei Canti XXXI-XXXII: è san Bernardo a spiegare che Francesco, assieme san Benedetto e sant'Agostino, siede subito al di sotto di san Giovanni Battista, che a sua volta è su un seggio di fronte a quello di Maria (XXXII, 28-36). Il santo è anche protagonista del Canto XI, attraverso il panegirico pronunciato dal domenicano san Tommaso d'Aquino cui segue il biasimo del proprio Ordine (struttura speculare nel Canto XII, con san Bonaventura da Bagnoregio che pronuncia il panegirico di san Domenico e biasima i difetti dell'Ordine francescano). Nel Canto XI san Tommaso presenta lui e san Domenico come i due principi disposti dalla Provvidenza per guidare la Chiesa e definisce Francesco tutto serafico in ardore, per poi raccontare la vita del santo di Assisi. Dopo la descrizione dei luoghi in cui nacque vengono narrate le «mistiche nozze» con Madonna Povertà, per cui il giovane Francesco fu contrastato dal padre e rinunciò ai suoi beni di fronte alla spirital corte; molti seguaci si raccolgono intorno a lui (Bernardo di Quintavalle, Egidio, Silvestro), finché Francesco ottiene da papa Innocenzo il primo sigillo alla Regola e un secondo avallo da papa Onorio. Si reca dal Sultano per sete del martiro, ma dopo aver trovato le genti islamiche non ancora pronte alla conversione torna in Italia, ritirandosi nel crudo sasso del monte della Verna dove riceve l'ultimo sigillo, le stimmate. In punto di morte raccomanda ai suoi fedeli la sua sposa, la Povertà, per poi essere sepolto nella nuda terra, senza altra bara. L'agiografia del santo è costruita da Dante con linguaggio solenne ma semplice, basandosi sulle leggende che circolavano ampiamente nel Due-Trecento ma senza indulgere agli aneddoti più fantasiosi, per cui la vita di Francesco diventa modello esemplare di una esistenza pura e votata a Dio, tutta fondata sulla povertà e la rinuncia, opposta all'avidità e alla cupidigia condannate in apertura di Canto e biasimate da Tommaso nella conclusione sull'Ordine domenicano, che di nuova vivanda / è fatto ghiotto. Il poeta sottolinea soprattutto il carattere di Francesco come alter Christus, manifestatosi nell'episodio delle stimmate che, non a caso, vengono indicate come il definitivo sigillo dello Spirito Santo sulla Regola da lui fondata: il santo è anche colui che ha preso in moglie la Povertà, rimasta più di mille anni senza marito dopo la morte di Gesù, la cui povertà è l'ideale religioso esaltato da Dante in opposizione alla degenerazione e alla corruzione della Chiesa del suo tempo.
In Inf., XXVII, 112 ss., Guido da Montefeltro racconta a Dante che dopo la sua morte la sua anima venne contesa da san Francesco e un diavolo, che alla fine prevalse a causa del peccato commesso dal dannato, incluso tra i consiglieri fraudolenti dell'VIII Bolgia dell'VIII Cerchio (questi contrasti per il destino dell'anima erano spesso oggetto di aneddoti e materia di novelle popolari, oltre ad essere rappresentati nell'iconografia religiosa delle chiese; cfr. anche Purg., V, 103 ss., in cui l'anima di Bonconte, figlio di Guido da Montefeltro, è ugualmente contesa tra un angelo e un demone) .
Per approfondire, ecco un breve video dal canale YouTube "La Divina Commedia in HD"
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