La Divina Commedia
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Carlo Martello d'Angiò

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Carlo Martello (ms. XIV sec.)
Figlio di Carlo II d'Angiò (lo Zoppo) e di Maria d'Ungheria, figlia a sua volta di Stefano V, nacque intorno al 1271. Sposò una figlia dell'imperatore Rodolfo d'Asburgo, Clemenza (cui forse si accenna in Par., IX, 1), da cui ebbe due figli: Carlo Roberto (Caroberto), poi re d'Ungheria, e Clemenza, che fu moglie di Luigi X di Francia. Morì giovanissimo, nel 1295. Già nel 1292 era stato eletto re d'Ungheria e nel 1294 si recò a Firenze per incontrare i suoi genitori che rientravano dalla Francia, trattenendosi nella città toscana per una ventina di giorni. Per onorare il principe angioino, fu predisposta una delegazione capeggiata da Giano di Vieri de' Cerchi, della quale pare facesse parte lo stesso Dante che forse, in quell'occasione, strinse amicizia col giovane Carlo, probabilmente per una vicinanza di gusti letterari.
Dante lo colloca tra gli spiriti amanti del III Cielo di Venere, presentandolo nei Canti VIII-IX del Paradiso: è Carlo a rivolgersi al poeta appena asceso al Cielo (VIII), dichiarando di essere pronto come gli altri spiriti a soddisfare ogni sua curiosità e riconoscendolo come l'autore della canzone Voi che 'ntendendo il terzo ciel movete, commentata nel II Trattato del Convivio. Dante chiede al beato di presentarsi e Carlo rivela la sua identità, dicendo di essere stato poco tempo nel mondo e di essere stato amico di Dante: indica i domini sui quali avrebbe dovuto regnare, ovvero la Provenza, l'Italia meridionale e l'Ungheria, spiegando poi che avrebbe regnato anche sulla Sicilia se la rivoluzione del Vespro non avesse cacciato dall'isola gli Angioini favorendo l'arrivo degli Aragonesi. A questo proposito Carlo ammonisce il fratello Roberto d'Angiò a fuggire l'avara povertà di Catalogna (probabilmente si riferisce alla sua natura gretta, o forse ai dignitari catalani di cui si circondava) prima che ciò arrechi danni a lui e alla sua stirpe, aggiungendo che Roberto è diventato meschino nonostante i suoi antenati siano stati liberali.
L'affermazione di Carlo Martello spinge Dante a chiedergli come sia possibile che da un padre liberale nasca un figlio avaro, quindi il beato risponde spiegando la complessa teoria degli influssi celesti, che indirizzano ogni essere al suo fine in base all'imperscrutabile disegno della Provvidenza divina. Naturalmente in una società evoluta è necessario che i vari cittadini si dedichino a diversi mestieri e funzioni: a questo provvedono gli influssi astrali, che però predispongono in ciascuno le varie inclinazioni senza distinguere la casata, per cui Esaù è ben diverso dal fratello Giacobbe, e Romolo è stato generato da un umile pastore. Carlo aggiunge come corollario la considerazione che il mondo non sempre tiene conto di queste inclinazioni e forza a monacarsi chi è nato per essere re, mentre fa re chi sarebbe destinato a diventare un religioso, il che è causa di forti disordini in seno alla società.
Alla fine del suo discorso (IX), Carlo profetizza a Dante gli inganni che dovrà subire la sua discendenza, ma gli ingiunge di non riferire le sue parole e di lasciare passare il tempo, poiché la giusta vendetta seguirà i danni che la sua «semenza» riceverà. Quindi il beato torna a volgersi a Dio e Dante rivolge un'aspro rimprovero a quegli uomini malvagi che, attratti dalle vanità terrene, distolgono la loro anima dall'unico vero bene che è Dio.



Personaggi e luoghi collegati
Beatrice - spiriti amanti - Carlo II d'Angiò - Cunizza da Romano - Folchetto di Marsiglia
Firenze - III Cielo (di Venere)
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