Il conte Ugolino della Gherardesca
W. Blake, Ugolino e i figli
Nobile pisano (1220-1289), seguì dapprima la parte ghibellina per poi accostarsi al partito guelfo dei Visconti, adoperandosi per il trattato che Pisa strinse nel 1272 con Carlo I d'Angiò. Dopo un breve esilio dalla sua città, acquistò prestigio per un'incursione navale nel porto di Genova, ma nella rovinosa battaglia della Meloria (1284) si ritirò velocemente, alimentando voci di tradimento. Nel 1285, eletto capitano del popolo per dieci anni, tentò un accordo coi Guelfi cedendo a Firenze e Lucca alcuni castelli del territorio pisano, mentre la guerra con Genova proseguiva. Per rafforzare il suo potere si associò il nipote Nino Visconti, promuovendo alcune riforme popolari; rotta l'alleanza con lui, si avvicinò all'arcivescovo Ruggieri degli Ubaldini e alla nobiltà ghibellina. Il Visconti fu cacciato, ma poco dopo la nobiltà ghibellina insorse sotto la guida di Ruggieri e delle potenti famiglie Gualandi, Sismondi e Lanfranchi: Ugolino fu accusato di tradimento perché ritenuto responsabile del disastro della Meloria e rinchiuso nella Torre della Muda insieme ai figli Gaddo e Uguccione, e ai nipoti Anselmuccio e Nino, detto il Brigata. Dopo alcuni mesi di prigionia vennero lasciati morire di fame (la Muda fu in seguito ribattezzata «Torre della Fame»).
Dante lo colloca tra i traditori della patria nell'Antenòra, la seconda zona del IX Cerchio dell'Inferno in cui i dannati sono imprigionati nel ghiaccio. Ugolino appare alla fine del Canto XXXII, sepolto in una buca insieme all'arcivescovo Ruggieri: il conte sta sopra di lui e addenta bestialmente il cranio del compagno di pena. Dante si rivolge a lui chiedendogli la ragione di un tale odio, e Ugolino (Canto XXXIII) racconta la sua terribile storia al poeta: non ha bisogno di spiegare in che modo Ruggieri lo avesse ingannato e attirato in una trappola per imprigionarlo, ma ciò che Dante non può sapere è la crudezza della sua morte. Il conte narra di come, dopo vari mesi di prigionia nella Muda, in seguito a un fosco sogno premonitore fatto da lui una notte, il mattino dopo l'uscio della torre fu inchiodato e a lui e ai figli non fu più portato il cibo. L'atroce agonia dei prigionieri durò circa sei giorni, durante i quali Ugolino vide morire i figli uno ad uno senza poter far nulla per aiutarli; per due giorni aveva brancolato sui loro cadaveri chiamandoli per nome, poi il digiuno aveva prevalso sul dolore. Alla fine del suo racconto, il cui scopo è infamare la memoria di Ruggieri, Ugolino torna ad addentarne orribilmente il cranio.
Dante colloca Ugolino tra questi peccatori probabilmente per il tradimento del partito ghibellino, poiché lascia nel dubbio la questione della cessione dei castelli (XXXIII, 85-86), mentre non è del tutto chiaro quale sia l'inganno da lui rimproverato all'arcivescovo: pare però che Ugolino, dopo la cacciata di Nino Visconti da Pisa, essendo lontano dalla città, vi fosse rientrato per accordarsi con Ruggieri, il quale invece l'aveva fatto imprigionare (sarebbero questi i mai pensieri, i piani malvagi del prelato). Di certo i quattro con cui il conte fu rinchiuso alla Muda non erano tutti suoi figli come vorrebbe Dante, né erano di età novella (il più giovane, Anselmuccio, aveva forse quindici anni) e non erano tutti innocenti (il Brigata era noto infatti per l'efferatezza dei suoi delitti). L'intento di Dante non è tuttavia quello di riabilitare la memoria del conte o di risarcirlo per l'ingiustizia subita, dal momento che lo include tra i peccatori del Cerchio più basso, quanto piuttosto quello di sfruttare la sua orribile vicenda personale per stigmatizzare le lotte poltiche che dilaniavano i Comuni dell'Italia di fine Duecento, tra cui Pisa (colpita da una dura invettiva al termine dell'episodio) spiccava per la sua crudeltà. Per quanto riguarda la questione della presunta antropofagia di Ugolino, si rimanda alla Guida del Canto XXXIII dell'Inferno.
Dante lo colloca tra i traditori della patria nell'Antenòra, la seconda zona del IX Cerchio dell'Inferno in cui i dannati sono imprigionati nel ghiaccio. Ugolino appare alla fine del Canto XXXII, sepolto in una buca insieme all'arcivescovo Ruggieri: il conte sta sopra di lui e addenta bestialmente il cranio del compagno di pena. Dante si rivolge a lui chiedendogli la ragione di un tale odio, e Ugolino (Canto XXXIII) racconta la sua terribile storia al poeta: non ha bisogno di spiegare in che modo Ruggieri lo avesse ingannato e attirato in una trappola per imprigionarlo, ma ciò che Dante non può sapere è la crudezza della sua morte. Il conte narra di come, dopo vari mesi di prigionia nella Muda, in seguito a un fosco sogno premonitore fatto da lui una notte, il mattino dopo l'uscio della torre fu inchiodato e a lui e ai figli non fu più portato il cibo. L'atroce agonia dei prigionieri durò circa sei giorni, durante i quali Ugolino vide morire i figli uno ad uno senza poter far nulla per aiutarli; per due giorni aveva brancolato sui loro cadaveri chiamandoli per nome, poi il digiuno aveva prevalso sul dolore. Alla fine del suo racconto, il cui scopo è infamare la memoria di Ruggieri, Ugolino torna ad addentarne orribilmente il cranio.
Dante colloca Ugolino tra questi peccatori probabilmente per il tradimento del partito ghibellino, poiché lascia nel dubbio la questione della cessione dei castelli (XXXIII, 85-86), mentre non è del tutto chiaro quale sia l'inganno da lui rimproverato all'arcivescovo: pare però che Ugolino, dopo la cacciata di Nino Visconti da Pisa, essendo lontano dalla città, vi fosse rientrato per accordarsi con Ruggieri, il quale invece l'aveva fatto imprigionare (sarebbero questi i mai pensieri, i piani malvagi del prelato). Di certo i quattro con cui il conte fu rinchiuso alla Muda non erano tutti suoi figli come vorrebbe Dante, né erano di età novella (il più giovane, Anselmuccio, aveva forse quindici anni) e non erano tutti innocenti (il Brigata era noto infatti per l'efferatezza dei suoi delitti). L'intento di Dante non è tuttavia quello di riabilitare la memoria del conte o di risarcirlo per l'ingiustizia subita, dal momento che lo include tra i peccatori del Cerchio più basso, quanto piuttosto quello di sfruttare la sua orribile vicenda personale per stigmatizzare le lotte poltiche che dilaniavano i Comuni dell'Italia di fine Duecento, tra cui Pisa (colpita da una dura invettiva al termine dell'episodio) spiccava per la sua crudeltà. Per quanto riguarda la questione della presunta antropofagia di Ugolino, si rimanda alla Guida del Canto XXXIII dell'Inferno.
Personaggi e luoghi collegati
Nino Visconti - traditori della patria
IX Cerchio (Cocito) - Benevento - Firenze - Montaperti - Pisa
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