Rifeo
Personaggio dell'Eneide di Virgilio, che compare tra i compagni unitisi a Enea la notte della caduta di Troia e morto eroicamente nell'estrema difesa della città (Aen., II, 339, 394, 426-428): a lui è dedicato un brevissimo cenno, allorché Enea nel suo racconto alla regina Didone dichiara cadit et Ripheus, iustissimus unus / qui fuit in Teucris et servantissimus aequi: / dis aliter visum («cadde anche Rifeo, che fu tra i Troiani il più giusto e il più osservante del diritto: ma gli dei pensarono diversamente»). Dante lo colloca tra gli spiriti giusti del VI Cielo del Paradiso, tra i beati che formano l'occhio dell'aquila, costituendo assieme all'imperatore Traiano un esempio clamoroso di salvezza toccata a un pagano (Par., XX, 68 ss.): Dante si serve di lui per fare un importante discorso relativo all'imperscrutabilità del giudizio divino e alla predestinazione, affermando che egli credette in Cristo venturo grazie alla sua giustizia e quindi ottenne la salvezza. Va detto che a differenza del caso di Traiano, per esistevano numerose leggende medievali circa la sua salvezza e numerose spiegazioni teologiche, la presenza di Rifeo tra i beati sembra essere pura invenzione dantesca, per cui è arduo ipotizzare da dove il poeta abbia tratto questa sua convizione: specie pensando allo scarsissimo peso che il personaggio ha nell'Eneide da cui è tratto, in cui compare in appena cinque versi. È probabile che Dante fosse colpito dall'appellativo iustissimus unus... et servantissimus aequi con cui è designato da Virgilio, mentre l'espressione dis aliter visum poteva indurre il poeta a credere che il Dio cristiano serbasse per lui un destino ultraterreno in contrasto con la sua precedente vita pagana. Non è poi da escludere che Dante si sia rifatto a qualche commento o chiosa medievale del testo virgiliano a noi ignota che avallava tale interpretazione, in accordo con quella rilettura in chiave cristiana di tanta parte della poesia classica (cfr. a questo proposito la nota Egloga IV).