Manfredi di Svevia
Incoronazione di Manfredi
Figlio naturale di Federico II di Svevia e di Bianca Lancia, nipote di Costanza d'Altavilla che aveva sposato Enrico VI, alla morte del padre (1250) fu reggente di Sicilia per il fratellastro Corrado IV allora in Germania. Morto Corrado (1254), tentò di ottenere il riconoscimento del fanciullo Corradino e della propria posizione da parte del papa; di fronte all'ostilità del pontefice, riparò a Lucera dove si impadronì del tesoro degli Svevi e in una guerra di tre anni riconquistò contro il legato pontificio tutto il regno di Sicilia, facendosi incoronare re a Palermo (1258) dopo aver diffuso ad arte la voce della morte di Corradino. Riprese la politica degli Svevi in Italia e si inserì ovunque nelle lotte delle fazioni cittadine, fino alla vittoria di Montaperti (1260) che segnò il culmine della sua potenza. Ma la Chiesa continuava ad essergli ostile (era stato scomunicato una prima volta nel 1254, provvedimento poi ribadito da numerosi pontefici), finché il papa Urbano IV offrì il regno a Carlo I d'Angiò (1263), il quale ottenne l'aiuto dei banchieri toscani. Manfredi, abbandonato via via dai suoi alleati, affrontò Carlo nella battaglia di Benevento (1266), dove fu sconfitto e morì sul campo. Il cadavere fu sepolto presso un ponte, poi fu fatto disseppellire e disperdere dall'arcivescovo di Cosenza, su ordine di papa Clemente IV.
Dante lo colloca tra i contumaci dell'Antipurgatorio e ne fa il protagonista del Canto III della II Cantica. Dopo che Dante e Virgilio hanno incontrato le anime dei morti in contumacia sulla spiaggia del Purgatorio, una di queste si fa avanti e chiede al poeta se lo abbia mai visto. Dante lo osserva e lo descrive come un uomo bello, biondo e di aspetto nobile, con un ciglio diviso in due da una ferita. Dopo che Dante ha negato di conoscerlo, il penitente mostra una piaga sul suo petto e si presenta come Manfredi, nipote dell'imperatrice Costanza d'Altavilla; prega Dante di riferire la verità sul suo destino alla figlia Costanza, una volta tornato sulla Terra. Manfredi racconta che dopo essere stato colpito a morte nella battaglia di Benevento, si pentì dei suoi orribili peccati e chiese perdono a Dio, che gli concesse per questo la salvezza: se il vescovo di Cosenza, spinto da papa Clemente IV a dargli la caccia, si fosse reso conto di questo, il suo corpo sarebbe ancora sotto il mucchio di pietre presso il ponte dove fu sepolto, invece di essere stato disseppellito e trasportato a lume spento lungo il fiume Liri. È pur vero che chi muore dopo essere stato scomunicato dalla Chiesa, anche se si è pentito, deve attendere nell'Antipurgatorio un tempo trenta volte superiore a quello trascorso in vita in contumacia, a meno che i vivi non gli abbrevino questa attesa con le preghiere. Manfredi prega allora Dante di dire tutto questo alla figlia Costanza, perché la fanciulla sappia che lui non è dannato e preghi per la sua anima.
Dante, attraverso la figura di Manfredi, mostra con un esempio clamoroso e inatteso come la giustizia divina segua vie imperscrutabili e possa concedere la salvezza anche a un personaggio «scandaloso» come il re siciliano, morto di morte violenta dopo essere stato scomunicato e colpito da una violenta campagna diffamatoria della pubblicistica guelfa. Il suo caso si collega a quello, altrettanto sorprendente, di Catone l'Uticense custode del Purgatorio, nonché alla salvezza del poeta pagano Stazio e dell'imperatore Traiano che Dante incontrerà tra i beati del Paradiso.
Per approfondire, ecco un breve video dal canale YouTube "La Divina Commedia in HD"
Dante lo colloca tra i contumaci dell'Antipurgatorio e ne fa il protagonista del Canto III della II Cantica. Dopo che Dante e Virgilio hanno incontrato le anime dei morti in contumacia sulla spiaggia del Purgatorio, una di queste si fa avanti e chiede al poeta se lo abbia mai visto. Dante lo osserva e lo descrive come un uomo bello, biondo e di aspetto nobile, con un ciglio diviso in due da una ferita. Dopo che Dante ha negato di conoscerlo, il penitente mostra una piaga sul suo petto e si presenta come Manfredi, nipote dell'imperatrice Costanza d'Altavilla; prega Dante di riferire la verità sul suo destino alla figlia Costanza, una volta tornato sulla Terra. Manfredi racconta che dopo essere stato colpito a morte nella battaglia di Benevento, si pentì dei suoi orribili peccati e chiese perdono a Dio, che gli concesse per questo la salvezza: se il vescovo di Cosenza, spinto da papa Clemente IV a dargli la caccia, si fosse reso conto di questo, il suo corpo sarebbe ancora sotto il mucchio di pietre presso il ponte dove fu sepolto, invece di essere stato disseppellito e trasportato a lume spento lungo il fiume Liri. È pur vero che chi muore dopo essere stato scomunicato dalla Chiesa, anche se si è pentito, deve attendere nell'Antipurgatorio un tempo trenta volte superiore a quello trascorso in vita in contumacia, a meno che i vivi non gli abbrevino questa attesa con le preghiere. Manfredi prega allora Dante di dire tutto questo alla figlia Costanza, perché la fanciulla sappia che lui non è dannato e preghi per la sua anima.
Dante, attraverso la figura di Manfredi, mostra con un esempio clamoroso e inatteso come la giustizia divina segua vie imperscrutabili e possa concedere la salvezza anche a un personaggio «scandaloso» come il re siciliano, morto di morte violenta dopo essere stato scomunicato e colpito da una violenta campagna diffamatoria della pubblicistica guelfa. Il suo caso si collega a quello, altrettanto sorprendente, di Catone l'Uticense custode del Purgatorio, nonché alla salvezza del poeta pagano Stazio e dell'imperatore Traiano che Dante incontrerà tra i beati del Paradiso.
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Antipurgatorio - spiaggia del Purgatorio - I Cielo (della Luna) - Avignone - Benevento - Montaperti
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